Appunti Wiki
Iscriviti
Advertisement

ll diritto penale è un diritto di illeciti.

I reati sono contenuti nel Titolo II del codice penale. Vengono organizzati avendo riguardo all'oggetto dell'aggressione del reato stesso, e cioè avendo riguardo al bene giuridico protetto.

Esempio. Articolo 356 del codice penale: frode nelle pubbliche forniture. Punisce chiunque commette frode nei contratti di fornitura o nell'adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell'articolo precedente.

I delitti contro il patrimonio sono delitti che sono posti a salvaguardia dei beni patrimoniali della gente (furto, appropriazione indebita e truffa).

I delitti contro la persona sono delitti posti a tutela degli aspetti relativi alla persona umana, quindi all'integrità fisica, alla vita, all'integrità morale (omicidio che lede la vita, lesioni personali che ledono l'integrità fisica della persona).

I delitti contro la pubblica amministrazione tendono a tutelare in primo luogo la pubblica amministrazione nelle sue diverse forme (tutela il suo prestigio, la sua imparzialità, il fatto che al suo interno non avvengano delle ruberie).

I delitti contro l'amministrazione della giustizia sono delitti che incidono su un corretto funzionamento dell'attività giudiziaria di un Paese e, quindi, se realizzati, portano a delle sentenze sbagliate ed ingiuste perchè basate su fatti diversi dalla realtà.

Le norme di parte speciale descrivono il tipo di reato, cioè le sue caratteristiche. Però il reato non è solo questo pezzettino che noi leggiamo nella norma penale, ma è una somma di elementi particolari. Si compone di un elemento oggettivo (fatto, condotta, modalità della condotta ed eventualmente rapporto causale dell'evento nei reati materiali), ed è quello che noi chiamiamo "fatto in senso stretto", che si può leggere in ciascuna delle norme. Il fatto per acquisire rilevanza penale deve essere contornato da una serie di elementi negatibi. E poi c'è l'elemento soggettivo (dolo o colpa). Il dolo è volontà e rappresentazione, e quindi ci sarà la volontà e la rappresentazione di ciascuno degli elementi tipici per ciascuna norma penale incriminatrice.

La mancanza delle cause di giustificazione che rilevano per ciascun reato e l'elemento soggettivo si desumono dalla parte generale.

Le norme di parte generale contribuiscono ad integrare la disciplina di parte speciale. Nella parte generale esistono gli elementi del reato, poi esistono gli istituti che fanno riferimento alle forme di manifestazione del reato (tentativo, concorso di persone nel reato, concorso di reati, circostanze aggravanti ed attenuanti).

L'articolo 56 del codice penale si combina sempre con ciascuna delle norme che prevedono ciascun reato e permette di "sdoppiare" la fattispecie da consumata in tentata. Combinato con l'articolo 575 del codice penale consente di configurare il tentativo di omicidio, combinato con l'articolo 319 del codice penale consente di configurare il tentativo di corruzione propria.

Gli articoli 110 e seguenti consentono di strutturare la realizzazione concorsuale, cioè ad opera di più persone in un reato.

Le norme penali incriminatrici descrivono il fatto di reato e prevedono la relativa sanzione "pena". Ciascuna norma prevede la pena tra il minimo ed il massimo edittale.

Esempio. All'articolo 325 del codice penale "utilizzazione di invenzioni o scoperte conosciute per ragioni d'ufficio", un reato contro la pubblica amministrazione è punito con la reclusione da 1 a 5 anni. Per stabilire in concreto quale pena irrogare, si farà riferimento all'articolo 133 del codice penale, che prevede i criteri per la determinazione inconcreto della pena.

Ecco che anche con riguardo alla pena, si fa riferimento alla normativa di parte generale che ne stabilisce i criteri per la determinazione in concreto.

Codice penale.[]

Datato 1930. è stato profondamente modificato, non è più il codice penale Rocco fascista, in quanto una serie di interventi novellistici hanno modificato gli aspetti più profondamente inaccettabili di questo codice. Tutto sommato oggi è un codice accettato con tutti i suoi limiti perchè è un codice molto vecchio. Però è un codice di matrice autoritaria e ciò nondimeno ha continuato a classificare i reati tenendo conto degli interessi protetti. In origine prevedeva un livello di pene decisamente superiore rispetto a quello che era il livello medio di pene previsto dai codici liberali, come per esempio il Codice Zanardelli del 1889, a causa della sua matrice autoritaria. Perchè tendenzialmente un codice autoritario è meno attento alla tutela degli interessi protetti? Perchè la teoria del bene giuridico, cioè porre la tutela del bene al centro del sistema penale è caratterizzata dall'impostazione liberale del diritto penale.

La domanda fondamentale che bisogna porsi all'origine del diritto penale è: che senso ha il diritto penale? Qual è la sua funzione? I liberali, già nella seconda metà dell'Ottocento, dicevano che la funzione del diritto penale è la protezione dei beni, cioè il diritto penale non ha un connotato etico, ma al diritto penale interessa proteggere con sanzione forte della libertà personale gli interessi individuali o collettivi che si ritenevano di maggiore importanza. Quindi lo scopo del diritto penale non è di punire (la pena è uno strumento), ma con la minaccia della pena si crea un meccanismo di disincentivazione dal commettere reati.

Questa concezione si legava alle concezioni filosofiche dell'utilitarismo. La norma penale doveva avere una funzione di utilità sociale. Lo scopo della norma era quello di proteggere i beni. Il concetto di proporzione, che è ancora caratteristico della nostra legislazione penale, fra pena e reato deriva proprio dalla concezione utilitaristica. Era la stessa cosa che dicevano coloro che davano un'impronta etica al reato.

Scuola classica liberale. Più il bene era importante, più elevata doveva essere la pena. Esempio: in caso di omicidiopredeterminato, la pena doveva essere l'ergastolo; in caso di lieve ingiuria, la pena poteva essere anche una multa od una lievissima pena detentiva di qualche mese.

I reati erano organizzati in ragione dell'offesa. Però il concetto di offesa è molto stemperato, è servito soprattutto come criterio di classificazione. Il codice penale Rocco ha poi abbandonato quella che è un'idea forte delle codificazioni autenticamente liberali, cioè l'idea secondo cui una persona può essere punita soltanto se, realizzando un reato, ha effettivamente realizzato l'offesa che la norma penale intendeva punire.

I liberali su questo erano assolutamente precisi. Lo scopo del diritto penale è tutelare un bene, la norma penale viene quindi configurata per tutelare un bene contro una specifica aggressione. A questo punto, dicevano anche: se una condotta che riproduce il modello del furto, in concreto poi non viola la proprietà, perchè il furto è assolutamente inoffensivo nei confronti del patrimonio, è meritevole di punizione? Per i liberali no.

I reati di danno consistono nella distruzione o lesione di un bene. Molte volte è impensabile che la realizzazione del tipo non leda un interesse. Esempio: l'omicidio è reato tipico in cui non può esserci un fatto tipico inoffensivo. Si realizza quando a seguito di una condotta qualunque, si cagiona la morte di una persona. L'omicidio si perfeziona con la morte. Una volta che la persona è morta, si è avuta l'offesa dell'interesse protetto. Non ci può quindi essere uno spazio grigio in cui si può discutere dell'inoffensività del fatto tipico.

Nei reati di pericolo l'offesa consiste nella semplice messa in pericolo di un bene. Lo spazio grigio di inoffensività è frequentissimo. Per i liberali perchè si abbia punire per un fatto descritto in termini di reato di pericolo, occorre che il giudice accerti che c'è stato un pericolo concreto. Se non vi è stato, il fatto non può essere punito, perchè non è realizzata l'offesa.

Il codice penale Rocco ha costruito la maggioranza dei reati di pericolo con quello che nel gergo penalistico vengono chiamati "reati a pericolosità astratta" o "reati a pericolosità presunta". Si prevede la punizione per quella condotta senza chiedere al giudice l'accertamento della sua pericolosità. Sono previsti numerosissimi reati a pericolosità astratta.

Esempio. Apologia di reato, viene punito che fa l'apologia di un reato. Per apologia di reato si intende esaltare la commissione di un certo reato. Cosa vuol dire cosruire l'apologia di reato come reato a pericolosità astratta? Basta che la persona pronunci la frase esaltatrice di un reato perchè sia punibile per apologia. Anche se in concreto non c'è nessun pericolo che all'apologia segua la commissione di un reato da parte di chicchessia.

Quindi il codice penale Rocco costruiva una tutela al bene giuridico in concreto puramente formale, perchè consentiva di punire anche se il bene giuridico non era offeso.

Colui che effettivamente ha compiuto il fatto potrà essere punito soltanto se la realizzazione del fatto corrisponde all'effettiva offesa (lesione o messa in pericolo del bene protetto), perchè altrimenti non vi è ragione per punirlo. Oggi questo concetto è assolutamente assodato. Questa è stata una conquista lenta e progressiva ma inesorabile dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del diritto penali in questi ultimi 50 - 60 anni. In quegli anni si era rigorosamente ancorati al principio di riserva di legge di previsione legislativa, e si diceva che se non si trovava una norma che se dichiarava non punibile il fatto inoffensivo, come si può farlo? Oggi i discorsi sono molto più elastici, con una serie di norme inventate dalla Corte costituzionale, una serie di norme elaborate dalla Cassazione.

Marcello Gallo ha inventanto l'interpretazione dell'articolo 49 del codice penale (reato impossibile per inidoneità dell'azione).

Quello che leggiamo sul codice non è la norma, ma la proposizione normativa, la forma della norma va poi interpretata e la norma reale è la norma che costituisce oggetto di interpretazione, quella che viene applicata concretamente dai tribunali. Sotto una formula ci possono essere tre o quattro norme possibili, a seconda diquella che è l'interpretazione. Dobbiamo cercare l'interpretazione che oggi nel nostro Paese è stata accettata.

Quando c'è contrasto tra le diverse sezioni della Cassazione intervengono le Sezioni Unite della Cassazione. Quando una Sezione della Cassazione adotta un'interpretazione ed un'altra Sezione ritiene di dover adottare un'altra interpretazione, magari l'adotta, oppure può spostare il problema alle Sazioni Unite immediatamente, oppure quando ci sono due Sezioni che hanno deciso in maniera contraddittoria, il fatto arriva ad una terza Sezione, che ha quasi l'obbligo di chiedere la valutazione delle Sezioni Unite. Esse decidoo il problema di diritto. Si riuniscono con una Commissione di 15 componenti, di cui 6 presidenti delle corti penali tra i più autoreboli registrati dalla Corte. Quando le Sezioni Unite si pronunciano non è un precedente vincolante, ma è la norma reale.

Il concetto di norma reale ha acquisito un'enorme importanza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. La norma reale, che è da considerare in concreto operante, è una norma così come la interpreta la nostra Corte di Cassazione.

Oggi siamo molto meno attaccati alla lettera della legge od ai dati formali rispetto a 50 anni fa, proprio perchè oramai l'attenzione all'elaborazione giurisprudenziale è molto più grande, Le elaborazioni dottrinali autorevoli riescono ad influenzare la giurisprudenza.

L'interpretazione molte volte è dominata dalla politica, a seconda dell'impostazione politica di colui che fa l'interpretazione.

Il principio di legalità è uno dei principi fondamentali del diritto penale. Il divieto di analogia in malam partem è un principio rigoroso del diritto penale, non si può forzare la lettera della legge. Il problema è che molte volte la legge è elastica, è contraddittoria. Lo è già in alcune norme del codice penale, lo è molte volte nella legislazione speciale, soprattutto nella più recente produzione penalistica, dove le norme escono dopo un lungo e difficile confronto in Parlamento e per gli emendamenti perdono i loro connotati di chiarezza. Quindi la norma è suscettibile di molte interpretazioni, tutte compatibili con la realtà. Si tratta di scegliere una di queste interpretazioni.

Molte volte l'interpretazione è dominata dalla politica, dell'impostazione politica di colui che interpreta, che cerca di favorire una delle parti.

Il rapporto causale è uno dei nodi più spinosi del diritto penale. C'è una teoria che andava per la maggiore fino a 5 - 6 anni fa, la teoria dell'aumento del rischio. Tutte le volte in cui una determinata condotta dell'operatore del settore aumenta il rischio del verificarsi dell'evento, se l'evento si verifica è automaticamente provato il rapporto causale. Questa teoria dell'aumento del rischio dilatava enormemente il concetto di causa penalmente rilevante. Questa interpretazione era nata alla fine degli anni '60 e '70, quando sono esplosi una serie di processi clamorosi, c'era molta attenzione alla tutela dei beni collettivi ed allora la giurisdizione ha assunto un atteggiamento molto aggressivo nei confronti dei possibili autori di questo tipo di reati (ad esempio medici responsabili di colpa medica, imprenditori che attentavano alla salute pubblica).

Ad un certo punto c'è stata una reazione a questo atteggiamento, e cominciano ad essere elaborate delle nozioni più restrittive di rapporto causale. Perchè vi sia è necessaio apportare una norma di copertura (Quarta Sezione di Cassazione). Il rapporto causale viene ristretto in maniera clamorosa. Si è affermata politicamente, come reazione forte.

L'affiorare o l'affermarsi di uno di questi orientamenti ha dei background politici, quali siano gli interessi che si intendono far valere.

Delitti politici.[]

Articolo 8 del codice penale.

Sono trattati nella prima parte del codice penale, hanno un trattamento particolare per quanto riguarda la punibilità in Italia ove siano commessi all'estero ed hanno un trattamento particolare per quanto riguarda l'estradizione. Queste norme di diritto penale internazionale sono molto importanti.

Cosa sono i delitti politici?[]

Sono definiti così dal codice penale. Sono da un lato i cosiddetti delitti oggettivamente politici, cioè quelli che offendono un interesse dello Stato - persona (non Stato - amministrazione) quindi un interesse attinente all'organizzazione istituzionale dello Stato, quindi attentano ad un diritto politico del cittadino. Sono delitti oggettivamente politici tutti i delitti contemplati dal Titolo I del Libro II del codice penale, cioè quelli che vengono definiti dal nostro codice "delitti contro la personalità dello Stato", e che vengono distinti in: delitti contro la personalità interna dello Stato e delitti contro la personalità esterna dello Stato.

Poi l'articolo 8 accentua la nozione di diritto politico e dice che vengono considerati come delitti politici tutti i delitti comuni commessi per una finalità politica.

Quindi a fiando dei delitti che nella loro sostanza sono classificati come delitti politici, il nostro codice penale considera politico anche qualunque delitto commesso per scopo, finalità, politica.

La nozione di delitto politico ha avuto nella storia del nostro Paese una grossa trasformazione. Nell'800 si considerava il delitto politico con un certo favore, nel senso che dato che il nostro Risorgimento è sbocciato da una serie di delitti politici, ogni trasformazione violenta ed organizzazione statuale è fondata sulla rottura violenta delle istituzioni esistenti. Il Risorgimento è stato ovviamente, dal punto di vista dello status quo, fondato sulla delinquenza politica. Poi dopo di che i "delinquenti politici", quando vincono, tendono ad affermare che i loro atti di ribellione, violenza e rivoluzione erano atti meritori. Molte volte le rivoluzioni hanno contribuito a cambiare positivamente la storia. Quando il rivoluzionario vince il nuovo status quo è fondato su principi che costituiscono eversione secondo il regime precedente.

Ecco ancora che nell'800 il nostro Paese, con la rivoluzione risorgimentale, considerava con una certa benevolenza il diritto politico, quindi ha cercato di dare un'ampia nozione di diritto politico proprio per applicare ad un numero di reati più ampio possibile, un trattamento sostanzialmente di favore.

Tutto sommato di questo trattamento vi è ancora traccia nella legislazione che è stata approvata nel 1930 dal regime fascista e che poi è stata migliorata dalla nostra Costituzione del 1948, ad esempio con divieto di estradizione per i delitti politici. è chiaro che se un fatto è considerato delitto politico in uno Stato, la comunità internazionale tende a tare asilo politico a coloro che se ritornassero negli Stati originari, verrebbero perseguiti per delinquenza politica.

Al di là di questo aspetto molto marginale in realtà poi il delitto politico nelle legislazioni penali è stato trattato con una certa durezza e più uno Stato è autoritario, più la durezza è forte.

Che cosa sono i delitti contro la personalità dello Stato?[]

Oggi non li chiamiamo più così. ma li chiameremo "delitti contro l'ordine costituzionale" (come sono stati chiamati in tutti i progetti di riforma del codice penale). Sono dei reati in cui la realizzazione offende o tende ad offendere l'assetto costituzionale dello Stato. Sono fatti eversivi attraverso i quali una parte della popolazione tende a sovverture violentemente (o fuori dei canali normativi previsti dalla stessa Costituzione) l'ordinamento costituzionale, che è nell'assetto istituzionale di un Paese. La Costituzione è il testo fondamentale di un Paese, può comunque essere cambiata, ma secondo le regole previste dalla stessa Costituzione. Se qualcuno tende a sovvertire l'ordine costituzionale con strumenti non previsti dallo stesso ordinamento, realizza un attentato alla Costituzione e quindi un delitto contro l'asstto costituzionale dello Stato.

I delitti contro la personalità dello Stato sono tendenzialmente quelli che tendono a sovvertire lo Stato con mezzi non consentiti. La loro previsione tende a difendere l'assetto costituzionale dello Stato esistente in un certo momento storico, e quindi lo status quo.

Storia.[]

Il regime fascista aveva distinto questi reati in reati contro la personalità internazionale e la libertà interna dello Stato, a seconda se l'aggressione provenisse dall'esterno o dall'interno dello Stato stesso.

è chiaro che ogni Stato tende a difendere la propria organizzazione costituzionale, ecco perchè sono sempre stati considerati con molta severità sia dalle legislazioni liberali (anche se un po' meno), sia dalle legislazioni autoritarie.

Per dare il senso di come i giuristi liberali dell'800 ragionavano nei confronti dei delitti contro Francesco Carrara.

Francesco Carrara è stato un importantissimo studioso di diritto penale, insegnante nell'università di Pisa, ha operato nella seconda metà dell'800. è stato uno degli artefici del Codice penale Zanardelli. Fra le sue opere spicca un colossale programma di diritto criminale, pubblicato in 10 volumi. Come tutti i protagonisti della scuola classica, Carrara aveva un modo particolare di ragionare ed affrontare temi politici. I classici all'università non venivano a spiegare il codice penale, ma quello che secondo loro doveva essere il diritto penale ideale. Oggi qualsiasi manuale di diritto penale spiega come il nostro codice articola i reati, ai tempi liberali si raccontava il proprio sistema giuridico. Esempio: Carrara parlava del furto per 40 pagine e poi alla fine c'erano 3 righe dove citava il codice penale toscano. Insegnava nell'università di Pisa, posta nel territorio del Granducato di Toscana, dove si applicava un codice molto liberale, tanto che quando i Savoia hanno conquistato l'Italia hanno esteso il codice sardo a tutto il Paese eccetto la Toscana, dove non se la sono sentiti di imporre il codice penale sardo, molto meno liberale e più autoritario.

Ciò che Carrara spiegava non era il furto secondo il codice penale toscano, ma il furto secondo il pensiero personale. è molto significativo che nel programma di Carrara di diritto criminale non sono trattati nè i delitti contro lo Stato nè quelli contro l'ordine pubblico. Secondo Carrara non ci si può occupare dei delitti politici perchè sono sempre l'espressione della volontà del potere ed il potere, pur di tutelare sè stesso, tende a forzare quelli che sono i canoni ragionevoli di un'organizzazione di giustizia penale giusta. Non va ad impegnare in una costituzione logica e ragionevole del sistema i delitti politici perchè tanto sa che quella costruzione ragionevole liberale dei delitti politici non sarà mai fatta propria da nessuna legislazione, anche di scelta liberale, perchè il potere liberale tenderà ad articolare un sistema di norme molto dure per tutelare il sistema esistente. è molto significativo questo atteggiamento di Carrara, che era l'atteggiamento dei giuristi liberali che si rendevano conto che loro propugnavano certe idee agli effetti della costruzione del sistema penale, articolati su un concetto molto ampio e sostanziale di libertà, ma quando si trattava di difendere lo status quo anche il potere liberale usava i manganelli.

L'organizzazione dei delitti politici del codice penale Zanardelli era molto diversa rispetto all'organizzazione del codice penale Rocco che invece rifletteva in maniera diretta l'impronta fascista della realizzazione statuale dell'epoca, però in ogni caso i delitti politici tendono ad essere comunque aggressivi e duri nei confronti di coloro che cercano di sovvertire violentemente l'organizzazione dello status quo.

Bisogna tenere presente però che un trattamento duro del delitto politico è di per sè in ipsa di qualsiasi Stato, tutti si difendono.

Reati contro l'ordine pubblico.[]

Sono classificati in ragione della messa in pericolo o della lesione dell'ordine pubblico.

Dell'ordine pubblico sono state due nozioni:

  • In senso stretto, materiale, nozione più stringente, più rigorosa: si identifica con la tranquillità dei cittadini in ordine a cosa accade fuori delle loro case, nelle loro strade. I delitti contro l'ordine pubblico hanno costituito l'ossessione di tutto l'800 francese, mettevano in galera persone che mendicavano in strada, considerate presuntivamente pericolose per la buona società. Quindi atteggiamento molto pesante nei confronti degli emarginati, che danno disturbo nelle strade e rappresentavano un pericolo per la tranquillità dei cittadini che invece potevano vivere più tranquillamente.

Quando noi consideriamo i reati contro l'ordine pubblico vengono però inseriti reati che non hanno attinenza diretta con il concetto ristretto, cioè la tranquillità delle strade: si ha a riguardo un concetto più ampio:

  • In senso ampio, lato: violazione dell'ordine pubblico è tutto ciò che in qualche modo realizza una forma di tranquillità diffusa, che può avere effetti diffusi e che sotto questo profilo turba in maniera specifica la tranquillità dei cittadini. Il concetto è dai confini un po' evanescenti perchè si può dire che ogni reato, in quanto infrange la legalità prevista e cristallizzata in un codice penale, turba la tranquillità dei cittadini perchè aggredisce i suoi interessi. Sotto certi profili questo è vero. Nella categoria dei reati contro l'ordine pubblico (in realtà sono pochi, solo 6 o 7) vengono inseriti reati come l'associazione a delinquere e l'istigazione a delinquere che possono rappresentare una pericolosità in ordine alla diffusione della criminalità. In quest'ottica si costruisce una categoria di reati contro l'ordine pubblico che riguarda reati che rappresentano un pericolo diffuso di estensione della criminalità del Paese.

Generalità.[]

Il titolo V del libro II del codice contiene i delitti contro l'ordine pubblico. La determinazione esatta della caratteristica o dell'oggetto della tutela penale di questa classe di reati non è scevra di difficoltà.

La dottrina ha posto in rilievo che l'ordine pubblico non va confuso col più ampio concetto di ordine giuridico il quale comprende tutte le manifestazioni della vita del diritto. Non è neppure l'ordine pubblico generale, e cioè quell'ordine completo della collettività che consente a questa non solo di vivere, ma anche di prosperare. E non si tratta di quello che da taluno è stato chiamato ordine pubblico costituzionale, che ricomprenderebbe un tipo di convivenza sociale ispirato ai valori della nostra Costituzione.

Ai fini del diritto penale l'ordine pubblico ha significato più ristretto: è il buon assetto ed il regolare andamento della vita sociale: è l'armonica e pacifica coesistenza dei cittadini sotto la sovranità dello Stato e del diritto e, in questo senso, è sinonimo di pace pubblica.

Personalità dello Stato.[]

è l'assetto costituzionale: tutto ciò che attenta all'assetto costituzionale e tende a modificarlo con metodi non previsti dalla Costituzione stessa, è ascrivibile alla categoria di delitto oggettivamente politico, considerato delitto contro lo Stato. Si tratt poi di individuare i confini della realtà politica secondo l'organizzazione concreta della legislazione da parte del codice penale che abbiamo in vigore.

Bisogna avere chiaro il concetto che la categoria dei delitti contro l'ordine pubblico previsti dal Titolo V Libro II del codice penale, non si identifica con la tutela dell'ordine pubblico in senso stretto.

Vediamo che possiamo individuare il settore dei cosiddetti reati associativi (ne abbiamo alcuni nei reati contro l'ordine pubblico e molti nei reati contro la personalità dello Stato), poi abbiamo i delitti di attentato (pressochè tutti tra i delitti contro la personalità dello Stato, prevedendo questa difesa più intensa degli interessi fondamentali dello Stato, si tende a colpire il semplice attentato come reato consumato.

Tentativo.[]

Articolo 56 del codice penale:

Chiunque compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un reato, se l'azione non si compie o non si verifica.

Quindi la punibilità del tentativo nel codice penale Rocco è ancorato all'accertamento dell'idoneità ed univocità degli atti.

Il codice penale Zanardelli, come tutti i codici penali europei, non utilizza questa formula, ma costruisce il tentativo sul modello dell'atto esecutivo. Quindi tutti i codici europei costituiscono il tentativo in questo modo: "Colui che nell'eseguire un reato, compie atto immediatamente anteriore all'esercizio del reato". Probabilmente sono più garantisti, identificare l'idoneità è molto più incerto.

Nella discrezione dei delitti di attentati non si utilizza mai l'aggettivazione idoneo ed univoco riferito all'atto, ma si parla solo di "atto diretto", quindi qualunque atto diretto (secondo il legislatore del 1930) anche se era mero atto preparatorio, poteva essere punito come delitto di attentato. In realtà un magistrato può individuare come atto diretto un atto ancora lontanissimo dall'esecutorietà criminosa, quindi anticipazione dell'intervento penale che andava a scapito del diritto penale fatto.

In un ordinamento giuridico liberale non si punisce mai il pensiero, la volontà di realizzare il reato, ma l'atto, il fatto, la condotta. Cioè una punizione sganciata dall'accertamento di un dato materiale che rappresenta un pericolo concreto di aggressione di un interesse, non può essere punito: è fuori da qualunque concezione democratica e liberale del diritto penale non può intervenire sulle mere astratte costruzioni dell'illecito penale, sul pensiero. Direi che è principio di garanzia sostanziale fondamentale. Le caratteristiche di un diritto penale democratico liberale sono il diritto penale del fatto e diritto penale dell'offesa: non ci può essere punizione senza una condotta materiale, un eventi e non ci può essere punizione se quella condotta e quell'evento non realizzato l'offesa dell'interesse protetto.

Un diritto penale autoritario tende a soggettivizzare la responsabilità penale: si puniscono le mere manifestazioni di pensiero normalmente all'ordinamento e si puniscono le "tipologie di autore", cioè si costruisce il modello del delinquente e chi teoricamente entra in quel modello viene considerato automaticamente pericoloso e meritevole di punizione indipendentemente dalla commissione di specifici fatti delittuosi. Non è il caso che la teoria del diritto penale d'autore sia stata inventata ed elaborata dai giuristi tedeschi del periodo nazista.

Nessuno può essere punito che ha il pensiero in un certo modo se poi non commette in concreto un fatto. Se non c'è fatto non ci può essere punizione.

Il regime autoritario invece tende a soggettivizzare ed anticipare ciò che veniva chiamato diritto penale della volontà, contrapposto al diritto penale del fatto, che colpisce solo persone per quello che appaiono.

Nella storia del '900 abbiamo avuto alcune esperienze molto pesanti di diritto penale autoritario: il diritto penale nazista ed il diritto penale dell'Unione Sovietica che tendeva alla psichiatrizzazione del diritto penale. Faceva passare il delinquente come un infermo di mente per poterlo mettere senza garanzie in un manicomio e non in carcere garantito.

Perchè nel pensiero penalistico liberale una pena indeterminata sarebbe stata assolutamente inconcepibile?[]

Perchè una pena indeterminata, la cui durata è proporzionale alla pericolosità del soggetto, è una pena che sfugge alla possibilità di un controllo oggettivo. La pena per i liberali deve essere: proporzionata alla gravità del reato; definita in maniera precisa dai tribunali; il condannato deve avere diritto ad essere liberato il giorno in cui scade la pena per la quale è stato condannato.

Se invece si sottopone la persona ad un provvedimento restrittivo della libertà personale e le si dice che la liberiamo quando la sua pericolosità è sfumata perchè sono riusciti a rieducarti, qui c'è qualcosa che non va, chi è che valuta se la persona è rieducata o no, se si è inserita nella società? Questo è quello che capita con le misure di sicurezza. Chi è che giudica? Uno psichiatra, un cappellano, il direttore del carcere. Ma con quali strumenti oggettivamente scientifici si può valutare la rieducazione? è un problema molto grosso.

Pubblica istigazione a violare le leggi.[]

Raggruppiamo in questa categoria le quattro figure criminose che sono previste negli articoli 414 e 415, e cioè l'istigazione a delinquere, l'apologia di delitti, l'istigazione a disobbedire alle leggi e l'istigazione all'odio fra le classi sociali.

Carattere comune a tutte queste fattispecie è la pubblicità del comportamento; il fatto deve essere realizzato pubblicamente, e cioè deve essere commesso: col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda; in un luogo pubblico od aperto al pubblico ed in presenza di più persone; oppure, in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta o per il numero degli individui o per lo scopo od oggetto di essa abbia carattere di riunione non privata.

La pubblicità costituisce elemento essenziale dei reati in esame, non essendo giustificata da alcuna valida ragione, nè formale nè sostanziale l'opinione del Manzini, che la considera condizione obiettiva di punibilità. Per la sussistenza del dolo il soggetto deve avere la consapevolezza di agire in presenza di quelle condizioni da cui dipende la pubblicità del suo comportamento.

Istigazione a delinquere.[]

Per il comma 1 dell'articolo 414 risponde di questo delitto, per il solo fatto dell'istigazione, chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati.

Questa incriminazione rappresenta una deroga al principio generale sancito dall'articolo 115 del codice, secondo cui l'istigazione a commettere un reato non è punibile, se non sia accolta e seguita dalla commissione del reato medesimo. La minaccia all'ordine pubblico, derivante dalla pubblicità del fatto, spiega l'eccezione.

Il codice distingue secondo che si tratti di istigazione a commettere delitti o di istigazione a commettere contravvenzioni.

L'istigazione è sinonimo di eccitamento. Implica un'azione sulla psiche di altre persone per spronarle a compiere determinati fatti, facendo sorgere o rafforzando motivi di impulso, ovvero distruggendo od affievolendo motivi inibitori. Non si richiede che l'istigazione sia diretta al pubblico, e cioè alla folla. Deve ritenersi che quando il fatto sia commesso in presenza di due o più persone, il reato sussista, anche se l'istigazione è rivolta ad una sola persona.

L'istigazione può essere posta in essere nei modi e coi mezzi più svariati: scritti, parole, rappresentazioni teatrali, proiezioni cinematografiche, trasmissioni radiofoniche e telesive, e persino coi fatti. Anche l'istigazione indiretta, e cioè dissimulata attraverso scritti o discorsi apparentemente leciti, può integrare gli estremi del reato in esame.

Oggetto dell'istigazione deve essere la commissione di uno o più reati, delitti o contravvenzioni. è necessario che si tratti di reati determinati, e cioè di una o più figure criminose oppure di una o più fattispecie criminose concrete. L'istigazione a commettere reati in genere non realizza il reato in esame, ma rientra nella previsione dell'articolo successivo. Non occorre che l'agente indichi specificamente il nomen iuris del fatto istigato. Non si esige neppure che il fatto sia punibile in concreto, e perciò a nulla rileva che si tratti di un reato perseguibile a querela o di reato amnistiato.

Ai fini della consumazione è sufficiente il fatto dell'istigazione in pubblico: si prescinde dalle conseguenze che ne possono derivare. Se l'istigazione è accolta ed il reato viene realizzato, l'istigatore risponderà anche di quest'ultimo in qualità di concorrente, semprechè la sua azione abbia recato quel contributo causale al verificarsi del fatto che è richiesto affinchè possa parlarsi di compartecipazione criminosa.

Il dolo consiste nella volontà di istigare alla commissione di uno dei fatti costituenti reato. Tale volontà deve essere accompagnata dalla consapevolezza dell'effetto di istigazione e da quella di agire pubblicamente.

Il titolo delittuoso in esame ha carattere generico e, quindi, è applicabile soltanto allorchè il fatto non sia incriminato in modo specifico da altra norma penale.

La sanzione per l'istigazione a commettere uno o più delitti è la reclusione da 1 a 5 anni; per l'istigazione a commettere una o più contravvenzioni è la reclusione fino ad un anno ovvero la multa fino a 206 euro. Trattandosi di istigazione a commettere uno o più delitti ed una o più contravvenzioni si applica la reclusione da 1 a 5 anni.

Apologia di delitti.[]

Per il disposto del comma 3 dell'articolo 414, è punito chiunque pubblicamente fa apologia di uno o più delitti.

L'apologia è una manifestazione di pensiero consistente nell'esaltare un dato fatto od il suo autore, con intento di propaganda, e cioè con lo scopo di spronare, eccitare altri all'imitazione o quanto meno di eliminare in essi la ripugnanza verso il fatto medesimo od il suo autore.

L'apologia di reato si concreta nell'esaltazione di un'attività delittuosa capace di far sorgere il pericolo di ulteriori reati e di turbare l'ordine pubblico.

Oggetto dell'apologia nel reato in parola deve essere uno o più delitti; le contravvenzioni non sono considerate nella norma incriminatrice.

La sanzione è la reclusione da 1 a 5 anni.

Istigazione od apologia ai delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità.[]

Ai sensi del comma 4 dell'articolo 414 del codice penale, introdotto dal decreto legge 27 luglio 2005 numero 144 e convertito in legge il 31 luglio 2005 numero 155 recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, fuori dei casi di cui all'articolo 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà.

La creazione di tale circostanza aggravante ad effetto speciale si incardina nelle innovazioni del decreto Pisanu, finalizzate a rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto del terrorismo internazionale. Dalla lettera della previsione emerge che tale configurazione aggravata ha carattere sussidiario.

Istigazione a disobbedire alle leggi.[]

Contemplato nell'articolo 415, consiste nell'istigare pubblicamente alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico.

L'incriminazione non mira a prevenire la perpetrazione di determinati reati, ma è intesa ad evitare pericolosi stati d'animo, i quali se anche non portano a delinquere, costituiscono una pregiudizievole menomazione delle condizioni necessarie per il mantenimento dell'ordine pubblico.

La disobbedienza a cui deve essere rivolta l'istigazione è il rifiuto di osservare i precetti contenuti nella legge: è ribellione alla volontà giuridica superiore manifestata nella norma.

La determinazione del concetto di legge di ordine pubblico non è pacifica. Su un punto c'è accordo: l'espressione ordine pubblico non va intesa nel senso ristretto in cui viene usata quando si fa riferimento alla categoria di reati contemplati nel titolo del codice di cui ci stiamo occupando.

L'istigazione a disobbedire a leggi che non possono qualificarsi d'ordine pubblico anche se commessa pubblicamente, non concreta il reato in esame. è fuori dubbio che anche la disobbedienza ad una sola legge è sufficiente per concretare il reato, il plurale essendo qui in senso indeterminativo.

Se la disobbedienza istigata riguarda una data norma di diritto penale, per il principio di specialità si applica l'articolo precedente che prevede l'istigazione a delinquere.

Per ciò che riguarda i modi di esecuzione del reato, la consumazione ed il dolo, si rinvia a quanto è stato esposto per l'istigazione a delinquere, non essendovi altra differenza dra i due reati che quella che concerne l'oggetto dell'istigazione.

La sazione consiste nella reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Istigazione all'odio fra le classi sociali.[]

Questo delitto, che è previsto insieme col precedente nell'articolo 415, ne differisce sostanzialmente, perchè in esso la pubblica istigazione non mira alla disobbedienza alle leggi, ma all'odio fra le classi sociali, che è una cosa diversa. Con un certo sforzo vi si può ravvisare un'istigazione indiretta a quella disobbedienza.

L'interpretazione del termine classe sociale dà luogo ad incertezze perchè, mentre alcuni lo intendono nel senso di categoria sociale unificata dal vincolo di comuni interessi economici, altri ritengono che il concetto comprenda ogni accolta di persone tenute insieme da comuni sentimenti, interessi, ideologie, anche semplicemente spirituali.

Qualora all'elemento oggettivo, occorre tenere presente che l'odio non va confuso con la lotta: esso è un sentimento di profonda avversione che di regola porta a sopraffare o danneggiare, con ogni mezzo, l'oggetto odiato.

Perchè sussista il reato, basta che susciti o rafforzi l'odio delle persone, a cui si rivolge, contro gruppi di individui appartenenti, in linea di fondo o di diritto, a classi sociali diverse.

Nulla di particolare c'è da osservare in ordine al momento consumativo ed al dolo, valendo quanto è stato detto nell'illustrare le precedenti figure criminose.

La sanzione è la stessa stabilita per l'istigazione alla disobbedienza delle leggi, e cioè la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Scuola positiva.[]

La scuola positiva è espressione di queste grosse contraddizioni. Alla fine dell800 i positivisti vengono considerati come grandi innovatori perchè hanno ribaltato tutta l'impostazione classica del diritto penale. Partivano dal presupposto deterministico che il delinquente non è responsabile penalmente se malato, ma ci può essere solo difesa sociale. Difesa sociale: tu che hai ammazzato non sei delinquente, ma sei malato. Se hai ammazzato è solo un presupposto per metterti in un istituto di rieducazione (poi chiamata dal codice Rocco misura di sicurezza), se dopo anni si capisce che sei perfettamente rieducato vai fuori. Il professor Grosso non crede che non ci sia un libero arbitrio, una libertà di scelta tra il delinquente e non delinquente: si può accettare questa concezione, ma chi garantisce il poveretto che entra nella misura di sicurezza, sui tempi della libertà?

Poi c'è una grande contraddizione. Il Lombroso nel 1878 sosteneva che si valutava la forma del cranio per valutare il tipo di delinquente, Ferri vedeva l'infermità di mente come l'anima del delitto. Erano entrambi socialisti.

Zanardelli, 1889, era politicamente liberale e non positivista, non esistevano misure di sicurezza in questo codice.

1921: è stata creata una commissione diretta da Ferri per elaborare la parte generale del codice positivista, nel 1922 ci fu la Marcia su Roma e del codice penale Ferri non se ne fece più niente, erano tutti socialisti quello che lo fecero.

Nel 1925 si afferma lo Stato autoritario con le leggi antiliberali, l'istituzione di un "Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato" e viene nominata una commissione per la rielaborazione dei codici. La Commissione per il Codice Rocco lavora dal 1925 al 1930. Si varano tutte insieme le leggi fondamentali in materia penale: penale sostanziale, processo ed esecuzione sostanziale (con i codici penale, procedura penale, ordinamento giudiziario).

Il codice penale Rocco l'abbiamo ancora, anche se è saltato molto del regime fascista grazie agli interventi della Corte costituzionale e della Cassazione, soprattutto nei reati contro lo Stato, ora è molto diverso. Nel 1930 era però un codice penale autoritario.

Nel 1930 alla pena ha affiancato le misure di sicurezza, ha recepito tutto il bagaglio culturale dei positivisti: è stato giustificato in questo modo: vi sono due grandi scuole in Italia che si sono scontrate per mezzo secolo, è tempo di metterle insieme e creare una sintesi. Ecco allora che nasce il doppio binario: l'imputabile biene punito ed il soggetto pericoloso viene sottoposto a misure di sicurezza: doppia sanzione con tutte le abnormità. L'imputato pericoloso prima deve scontare la pena detentiva (non rieducativa) e poi solo dopo viene inserito in un istituto di rieducazione. Ma com'è possibile che i fascisti hanno inserito nel codice penale la sanzione positivistica? Avrebbero dovuto considerarla l'espressione dei loro avversari politici.

Misure di sicurezza sono le sanzioni meno garantiste perchè indeterminate nel tempo. In concreto ha fatto una pessima prova di sè. Chi entrava nei manicomi criminali non ne usciva più. Il professor Grosso pensava che, anche se non è scritto nei lavori preparatori, poteva essere estremamente funzionale al regime avere a disposizione una sanzione indeterminata (il manicomio criminale). Era un doppione del carcere, ma non veniva fatto niente per rieducare. Anche se quello fosse stato il diretto pensiero di coloro che gestivano la rielaborazione del codice penale, poi non c'era bisogno di colpire i dissidenti tramite misure di sicurezza: nel 1925 venne istituito il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato formato da membri del regime, non da magistrati di carriera. Chi commetteva reati contro lo Stato, anzichè andare da un Tribunale ordinario andava davanti a quello speciale e la condanna a 30 - 40 anni era praticamente automatica.

Aldi là di quella che è stata la ragione vera, c'è sempre una contraddizione.

Rieducazione nei confronti di tutti i diritti di reato? Anche contro quelli di opinione? è un problema dal punto di vista delle garanzie. è un principio di civiltà quello introdotto dall'articolo 27 comma 3 della Costituzione:

La pena deve tendere alla rieducazione del condannato.

Reati associativi.[]

Il prototipo, la figura base, è il reato di associazione per delinquere previsto dall'articolo 416 del codice penale: al comma 1 individua l'associazione a delinquere con questa espressione:

Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti...

Primo problema: cosa significa "che si associano"?

Bisogna distinguere molto chiaramente quello che il nostro codice individua come associazione a delinquere da quello che rappresenta la semplice esecuzione concorsuale di un reato, l'articolo 110 e seguenti della Costituzione:

Se più persone concorrono in un reato, tutte rispondono di tale reato.

Secondo la giurisprudenza, il requisito fondamentale perchè una persona possa essere considerata concorrente in un reato è che essa abbia apportato un qualunque contributo causale alla realizzazione del reato stesso.

Il contributo può essere tipico od atipico:

  • Contributo tipico: riproduce il modello di condotta descritto dalla norma penale incriminatrice. Ci può essere un'esecuzione concorsuale di un reato in cui tutti commettono la condotta tipica: ad esempio quattro persone che entrano in una casa ed asportano insieme un mobile penante
  • Può rispondere a titolo di concorso di persone nel reato anche un concorrente che non compie l'azione tipica ai sensi della norma penale incriminatrice ma apporta un contributo atipico, come mero ausilio (il palo), oppure il contributo morale (colui che istiga, convince un'altra persona a commettere il reato).

Invece il concorso di persone nel reato è quando c'è pluralità di persone che contribuiscono a realizzare un reato. Non è che automaticamente per il fatto che le medesime persone oggi insieme commettono un reato e dopo 5 giorni ne commettono un altro, sono automaticamente classificati come associati a delinquere: l'associazione a delinquere è qualcosa di più pregnante.

Non tutti gli ordinamenti penali prevedono reati associativi, molti Stati non conoscono l'associazione a delinquere. Nella nostra storia è sempre esistita perchè l'Italia ha sempre avuto forme di organizzazioni criminali da combattere con i mezzi più efficienti possibili. Nell'800 c'erano i banditi, oggi la mafia e la camorra. L'Italia è sempre stata molto attenta a contrastare all'organizzazione criminale perchè in Italia le organizzazioni criminali hanno sempre operato.

La previsione di un reato autonomo associativo di associazione a delinquere risponde all'esigenza di predisporre uno strumento penale avanzato, che colpisce l'organizzazione in sè, indipendentemente dalla realizzazione del reato. Si può essere condannati per associazione a delinquere, anche se non si sono commessi reati, purchè sia stata creata l'organizzazione che rappresenta di per sè un pericolo in ordine alla commissione di una pluralità di reati. Dopodichè l'associazione a delinquere è stata classificata reato contro l'ordine pubblico, per mettere l'etichetta, in realtà l'oggetto specifico della tutela è creare una barriera penale avanzata contro delle realtà che possono rappresentare un pericolo forte in ordine alla realizzazione di una pluralità di reati nel territorio nazionale o globale.

L'associazione a delinquere, soprattutto di tipo mafioso, introdotta dalla Legge D'Antona, ha sempre rappresentato indubbiamente uno strumento molto forte per cercare di colpire alle radici le associazioni criminali, tanto che quando ad un certo punto le organizzazioni criminali si sono espanse operando anche in altri Paesi europei, questi hanno avuto grosse difficoltà. Ad esempio quando si sono radicati in Germania dei nuclei forti di criminalità organizzata italiana, non avevano inizialmente gli strumenti per combattere questo fenomeno perchè non conoscevano le associazioni criminali.

Ancora oggi ci sono dei Paesi che non lo prevedono e si trovano in difficoltà nel combattere a livello penale il fenomeno. La previsione del reato non vuol dire solo la punizione degli associati: rappresenta la possibilità di fornire allle magistrature ed alle forze dell'ordine di intervenire con strumenti di prevenzione e repressione.

Non avere questo delitto significa essere privi di uno strumento che rappresenta una forte possibilità di intervenire nei confronti delle associazioni criminali.

Vedremo che l'associazione a delinquere base non era sufficiente per combattere la mafia, tanto che nel 1982 è stato previsto il reato speciale di associazione mafiosa per combattere in maniera più efficace il fenomeno.

Vediamo di stabilire quando possiamo parlare di associazione criminale. Il nostro codice non ci dà in realtà grossi elementi per individuare la fattispecie, si limita a parlare di "tre o più persone che si associano allo scopo di commettere più delitti". Il problema è stabilire quand'è che noi possiamo considerare che l'associazione criminale sia nata e quando possiamo stabilire che un soggetto ne sia entrato a far parte, cosa non sempre semplice.

Il tentativo di arrivare ad una definizione puntuale dell'associazione a delinquere, al di là della parola "si associano", è stato il risultato di un'attività giurisprudenziale. La giurisprudenza ha cercato di definire i connotati dell'associazione a delinquere e ha individuato alcuni elementi fondamentali,

Si è parlato innanzitutto di: esistenza di un vincolo associativo tra coloro che si associano; poi in secondo luogo di indeterminatezza del programma criminoso; in terzo luogo dell'esistenza di un minimo di struttura organizzativa.

Il professor Grosso non ha mai creduto che il vincolo associativo sia un elemento essenziale; può essere il risultato, crede che l'elemento fondamentale che consente di individuare il nucleo di persone che si sono accordate per la commissione di una pluralità di reati, è dato dall'elemento organizzativo. Possiamo dire che c'è associazione criminale quando una serie di persone, si sono accordate per commettere un numero indeterminato di reati, cioè non basta accordarsi per commettere tre omicidi. Se si accordano per commettere tre omicidi non nasce ancora la commissione criminale, ma un accordo per la commissione concorsuale di una pluralità di reati determinati. Perchè ci sia un'associazione, è necessario che queste persone si mettano d'accordo per compiere un numero indeterminato di reati. Si crea un'organizzazione di persone per le quali la commissione del crimine deve diventare quasi un'abitudine od una professione, uno degli scopi principali della loro vita.

Ecco che ancora il primo elemento è l'accordi di una serie di pluralità di persone che non pongono limiti ai reati che verranno commessi si propongono la commissione di reati come un modo di vivere.

Inoltre, per realizzare lo scopo criminoso e compiere i delitti scopo (cioè delitti per la cui realizzazione è stata istituita) si sono dati un minimo di organizzazione.

Qui la giurisprudenza è molto chiara: non è necessaria che ci sia un'organizzazione rigorosa, militare, con capi, subalterni e funzioni rigorosamente stabiliti, ma è necessario un minimo di organizzazione, cioè abbiamo quantomeno stabilito le modalità con le quali avrebbero agito.

Non ci può essere associazione per la commissione di un singolo reato, non ci può essere nemmeno per un numero fisso di reati. Si devono associare con lo scopo di reità continuato. A questo punto si tende a dire che esiste associazione a delinquere quando meno sia stato accertato un minimo di stabilità dell'organizzazione. Deve prevedere di operare per un certo lasso di tempo a commettere delitti indeterminati.

Una volta individuati i requisiti cardine del fenomeno qualificabile come associazione per delinquere, la giurisprudenza ha elaborato una serie di altri elementi che potrebbero essere qualificati come elementi sintomatici di un'associazione.

Alcune sentenze dicono che è necessario che venga riconosciuto un vincolo associativo, è vero! Ma il vincolo associativo è la risultanza dell'istituzione dell'organizzazione. Se un gruppo di persone si accorda per la realizzazione di un numero indeterminato di reati, è chiaro che da un lato è implicita la stabilità dell'organizzazione stessa e dall'altro è implicito che da questi soggetti nasca un vincolo associativo. è chiaro che possa essere un vincolo non assolutamente cogente, e ci possono essere forme associative in cui ciascun associato può uscire quando vuole dall'associazione, ma comunque ci deve essere da parte di questo soggetto l'accettazione di un vincolo associativo, l'impegno ad operare con altri soggetti.

Ulteriore requisito elaborato dalla giurisprudenza: l'organizzazione deve essere comunque idonea, in grado di realizzare la tipologia di reati scopo che si intendono porre in essere. è chiaro che il tipo di organizzazione deve essere adeguata alla commissione dei reati, è quindi dell'offesa che tende a relizzare. Se 4 poveracci che non sono in grado di usare le armi e non hanno capacità di aprire i caveau delle banche, si associano allo scopo di commettere quel tipo di reato, ovviamente non è idonea. Manca la pericolosità dell'organizzazione in ordine alla commissione dei reati scopo, e quindi all'offesa che intende realizzare.

Quindi si dice che è necessario:

  • Accordo di almeno tre persone per commettere un numero indeterminato di reati (tipologia dei reati può essere la stessa, ad esempio commercio di sostanze stupefacenti con lo scopo di trafficare un numero di volte indeterminato; oppure reati diversi).
  • Poi ci vuole un'organizzazione idonea a commettere reati - scopo.
  • In qualche sentenza appare come ulteriore requisito l'affetio situationis: ci vuole una sorta di affezione degli associati per l'associazione. In realtà non è un requisito tangibile. è chiaro che se una persona si accorda, entra e svolge compiti dell'associazione, è chiaro che sia un associato, anche se non condivide fino in fondo gli scopi dell'associazione. Se ne fa parte organicamente ed operava concretamente, ne è partecipe e ne risponde.

Perchè esiste un'associazione criminale e perchè coloro che ne fanno parte possono essere puniti per associazione per delinquere, non è necessario che vengono commessi reati - scopo: l'associazione è punita di per sè, indipendentemente dal fatto che siano stati commessi reati - scopo. Se poi questi vengono commessi, coloro che li commettono verranno puniti per associazione in concorso con i reati scopo realizzati in esecuzione dello scopo per cui l'associazione è stata creata.

Quindi l'associazione è punibile di per sè, indipendentemente dalla commissione dei reati scopo.

La responsabilità di un associato per associazione criminale, è indipendente dall'accertamento che egli ha partecipato che egli ha partecipato alla realizzazione di un reato scopo. Ci può essere un'organizzazione criminale in cui ci sono una serie di persone che decidono i reati da commettere, una serie di persone che sono incaricate di eseguire materialmente i reati ed una serie di persone che si occupano di attività di contorno (assicurare i ricoveri, l'assistenza medica, le abitazioni, le armi) con ruoli che non comportano nè la decisione dei reati da commettere, nè la partecipazione alla commissione di questi reati. Queste persone comunque fanno parte dell'organizzazione e concorrono a consentire all'organizzazione di operare, perchè stabilmente operano con questi ruoli, fanno a tutto campo parte dell'organizzazione e sono punibili per associazione a delinquere. I due piani sono completamente distinti.

C'è però un grosso problema in riferimento al tema dell'accertamento, cioè della prova del reato associativo, tema fondamentale. Ci sarò qualcuno che concretamente realizzerà una condotta che riproduce reato previsto nel codice penale, ma ci dovrà essere qualcuno che provi che quella persona ha commesso quel reato in un certo modo. Tema dell'accertamento molte volte è difficile e complesso, soprattutto in maniera di associazione a delinquere. Come possiamo provare che l'associazione esiste e la persona ne è entrata a far parte? Quando c'è un'imputazione di associazione a delinquere è chiaro che poi l'autorità giudiziaria avrà l'onere di provare nei confronti di ciascun imputato che egli faceva parte dell'organizzazione. Qualche volta ci sono i pentiti che raccontano, ma altre volte non ci sono prove documentali o testimoniali. Molte volte l'unico elemento di prova dell'esistenza dell'associazione criminale e dell'esistenza dei partecipanti, sono le prove relative alla realizzazione dei reati - scopo. Se si prova che un certo numero di persone è sempre presente nella commissione di una serie di reati, da questo accertamento si ritiene provato che quelle persone fanno parte di un'organizzazione criminale. Ecco che allora il rapporto reato-scopo/associazione torna a diventare d'attualità.

Noi sul piano tecnico diciamo che l'associazione esiste indipendentemente dalla commissione di reati - scopo, l'accertamento dei reati - scopo e dell'associazione sono diverse: una persona può rispondere di associazione ma non rispondere dei reati - scopo. Ci può essere anche qualche concorrente atipico che partecipa solo a taluno dei reati ma non fa parte dell'associazione. Questo è vero dal punto di vista tecnico, ma quando concretamente si svolge un processo nella stragrande maggioranza dei casi si riesce a dimostrare che quella persona fa parte dell'organizzazione perchè si deve dimostrare che ha partecipato ad una serie di reati - scopo. Quindi sul piano dell'accertamento il rapporto associazione/reati-scopo torna a diventare un dato estremamente importante.

Riassumendo: che cos'è il delitto di associazione a delinquere?

Si ha associazione a delinquere quando tre o più persone, decidono di mettersi assieme per realizzare un numero indeterminato di reati e per raggiungere questo scopo, per poter commettere i reati astrattamente, (astrattamente perchè non necessariamente i singoli reati devono essere già individuati quelli che verranno commessi in esecuzione del proposito criminoso) per realizzare l'obiettivo si dotano di un minimo di organizzazione.

Come deve essere l'organizzazione?[]

La giurisprudenza della Cassazione ha specificato che non è necessario, necessariamente un'articolazione dettagliata dei compiti di ciascun concorrente nel reato, ma è sufficiente un minimo di organizzazione. Quindi una riproduzione di ruoli precisa, un'associazione di compiti, certo nelle organizzazioni criminali pià complesse. Questa articolazione specifica dell'organizzazione molte volte c'è, ma anche se non c'è, non viene meno il reato associativo.

L'importante, dice la giurisprudenza, è che si accerti che l'organizzazione, che il gruppo di persone sia dato, gli strumenti di cui si è dotato, i mezzi di cui dispone ecc, siano in grado di consentire l'esecuzione dei reati programmati, nel senso che se l'organizzazione, la struttura, i mezzi a disposizione non sono idonei a realizzare i reati scopo viene meno il requisito dell'offesa,

Perchè dico questo? La ratio, lo scopo, la previsione del reato associativo, è quello di introdurre nel sistema uno strumento di difesa anticipata nei confronti delle situazioni di pericolo, in ordine alla realizzazione di una pluralità di reati che può scaturire dalla formazione di organizzazioni criminali.

Se ci sono delle organizzazioni criminali e queste organizzazioni criminali operanti in un Paese, è evidente che si eleva, si alza il rischio nel Paese vengono commessi reati.

Ecco che per contrastare già a livello di instaurazione di una situazione di pericolo, si ipotizza, si crea, il reato di associazione a delinquere quindi il reato di associazione a delinquere, è un reato di pericolo dove l'oggetto del pericolo è costituito dalla commissione dei reati scopo.

è ratio, finalità della previsione di questa fattispecie delittuosa è proprio evitare che si crei questa situazione di pericolo.

Il reato di associazione a delinquere si perfeziona, si realizza indipendentemente poi dalla commissione dei reati scopo, purchè sia accertata l'articolazione dell'organizzazione criminale, i partecipi solo già automaticamente punibili per reato associativo.

Quando si accerta un'organizzazione criminale (io l'ho sempre dichiarata verificare se l'organizzazione era idonea). Questo tipo accertamento è molto raro in concreto, perchè se è vero che l'associazione criminale può esistere indipendentemente dalla realizzazione dei reati scopo è altrettanto vero che sul terreno della prova, è molto difficile dimostrare l'esistenza di un'organizzazione criminale se non sono reati scopo.

Normalmente la polizia accerta una serie di rapine, furti, assalti alle banche ecc., ed indagando sulla realizzazione di questi reati, risale alle persone che hanno commesso questi reati ed indagando su queste persone scopre che i reati sono stati compiuti da persone che facevano parte di un'organizzazione. Normalmente l'iter probatorio è questo. L'associazione scaturisce, viene scoperta, viene accertata. Viene provata alla luce della scoperta dell'accertamento del reato scopo.

Dopodichè, una volta che viene scoperta l'associazione, magari si scoprono dei soggetti che fanno parte dell'associazione che non hanno materialmente partecipato all'esecuzione dei reati scopo o di qualcuno dei reati scopo, o hanno partecipato soltanto all'esecuzione di taluni reati scopo e non di altri.

è chiaro che anche coloro che hanno nell'ambito dell'organizzazione dei compiti diversi da quello di eseguire il reato, saranno perseguibili e punibili per associazione a delinquere, però la scoperta dell'associazione molte volte è quasi sempre legata all'accertamento dei reati scopo, perchè altrimenti sarebbe difficile capire che c'è un'organizzazione.

Se lo scopo dell'organizzazione criminale è commettere reati è difficile che un'organizzazione venga scoperta nel momento in cui si è formata, ma non ha ancora cominciato a commettere reati.

In pratica il problema dell'idoneità è risolto a monte, nel senso che si scoprono i reati commessi, perchè se sono già stati commessi, automaticamente ciò prova che quell'organizzazione era in grado di commetterli.

Per la configurabilità del delitto di cui trattasi occorre la partecipazione di almeno tre persone. Si discute se debbano essere computate comunque nel numero minimo dei soggetti attivi richiesti dall'articolo 416 le persone sfornite della capacità di intendere o di volere, e cioè gli infermi di mente e gli immaturi. La dottrina prevalente e la giurisprudenza lo negano. L'arbitrarietà dell'opinione risulta anche dal fatto che gli stessi autori e la giurisprudnza, quando si tratta di determinare il numero di persone che dà luogo ad una circostanza aggravante speciale, ritengono che gli incapaci penalmente debbano essere computati. Il codice distingue, ai fini della pena, dai semplici associati, i promotori, i costitutori, gli organizzatori ed i capi. Promuovono l'associazione le persone che se ne fanno iniziatrici; la costituiscono coloro che con le loro attività ne determinano o concorrono a determinare la nascita. Organizzatore è chi coordina l'attività dei singoli soci, per assicurare la vita, l'efficienza e lo sviluppo dell'associazione, mentre capi sono gli individui che regolano, in tutto od in parte, l'attività collettiva con posizione di superiorità.

Il delitto si perfeziona non appena è costituita l'associazione. I compartecipiche commettono uno o più dei reati che formano oggetto dell'associazione, ne rispondono individualmente in concorso col delitto di cui ci stiamo occupando. La responsabilità per i detti reati si estende esclusivamente a quei soci che ne sono compartecipi ai sensi degli articoli 110 e seguenti del codice penale. Aderendo ad un recente orientamento della Corte di Cassazione, si ritiene che l'adesione ad un sodalizio criminoso, che si è formato ed ha operato in Italia, integra la partecipazione ad un reato commesso nel territorio dello Stato anche qualora l'associato rimanga materialmente sempre all'estero, ove la sua condotta di partecipazione all'associazione si sia svolta per intero, con l'apporto di contributi appprezzabili all'organizzazione. Nulla esclude che si possa pervenire ad un'associazione a delinquere partendo da una societas esistente: ciò avverrebbe qualora alle finalità originarie i componenti sostituissero od aggiungessero quella di commettere più delitti. Nei confronti di chi entri a far parte dell'associazione a delinquere successivamente alla sua costituzione la violazione dell'articolo 416 si verifica nel momento in cui avviene l'intresso dell'associazione. La consumazione si protrae fino alla cessazione dello stato antigiuridico, e cioè fino a quando si verifica lo scioglimento dell'associazione.

Il dolo consiste nella volontà di entrare a far parte dell'associazione. Si tratta di dolo specifico. Non si esige che tutti gli associati abbiano in programma i medesimi fatti criminosi.

Il delitto in esame ha carattere generico. La disposizione relativa non si applica allorchè un fatto di associazione per delinquere sia preveduto in modo specifico da altra norma penale.

Associazione per delinquere.[]

L'articolo 416 del codice penale contempla il fatto di più persone che si associano per commettere una serie indeterminata di delitti. L'articolo 418 incrimina come reato a sè stante, il prestare assistenza agli associati per delinquere. Poichè i due tipi delittuosi sono strettamente connessi fra loro, è opportuno esaminarli congiuntamente.

Il delitto si verifica

quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti.

Coloro che partecipano all'associazione sono per ciò solo puniti. Il codice sancisce una pena più grave per le persone che promuovono o costituiscono od organizano l'associazione, come pure per i capi dell'associazione medesima. La ratio di questa incriminazione è palese: l'esistenza di un'associazione per delinquere suscita inevitabilmente allarme nella popolazione e di per sè sola determina un perturbamento dell'ordine pubblico. L'incriminazione costituisce una deroga al principio generale sancito dall'articolo 115 del codice penale, deroga che è giustificata appunto dal pregiudizio particolare che è insito nel fatto configurato.

Associazione non equivale ad accordo, come si può rilevare dal confronto dell'articolo 304 con l'articolo 305. Affinchè esista associazione occorre qualche cosa di più: è necessaria l'esistenza di un minimum di organizzazione a carattere stabile senza che però occorra alcuna distribuzione gerarchica di funzioni. La forma di organizzazione adottata è indifferente Non occorre neppure che esista ripartizione di gradi e gerarchia di funzioni, perchè la presenza di capi costituisce una mera eventualità. Il carattere stabile del vincolo associativo dà al reato in parola la netta impronta del delitto permanente. Su ciò nessun dubbio è consentito. Nl senso che non sia necessaria l'assoluta stabilità del vincolo associativo, essendo sufficiente che esso non sia a priori e programmaticamente circoscritto alla commissione di uno o più delitti predeterminati.

Obiettivo dell'associazione deve essre la commissione di più delitti. A differenza del codice Zanardelli, non si richiede che gli associati abbiano di mira alcune soecie di delitti piuttosto che altre. Pure irrilevante è che i delitti in programma siano della stessa specie oppure di specie diversa e che tutti od alcuni di essi siano perseguibili a querela. La molteplicità dei delitti non è esclusa allorchè questi siano collegati dal nesso della continuazione. Non costituisce di per sè associazione punibile ai sensi dell'articolo 416 un aggregato di persone avente scopo illecito. L'associazione per delinquere presenta qualche affinità con la compartecipazione criminosa, ma ne differisce profondamente. Nel concorso di persone, l'accordo fra i componeti è circoscritto alla realizzazione di uno o più delitti nettamente individuati, commessi i quali l'accordo medesimo si esaurisce e quindi viene meno ogni pericolo per la comunità. Nell'associazione a delinquere, invece, dopo l'eventuale la commissione di uno o più reati, il vincolo associativo permane per l'ulteriore attuazione del programma di delinquenza prestabilito e persiste quel pericolo per l'ordine pubblico che è caratteristica essenziale del reato.

Per la configurabilità del delitto di cui trattasi occorre la partecipazione di almeno tre persone. Si discute se debbano essere computate comunque nel numero minimo dei soggetti attivi richiesti dall'articolo 416 le persone sfornite della capacità di intendere o di volere, e cioè gli infermi di mente e gli immaturi. La dottrina prevalente e la giurisprudenza lo negano. L'arbitrarietà dell'opinione risulta anche dal fatto che gli stessi autori e la giurisprudnza, quando si tratta di determinare il numero di persone che dà luogo ad una circostanza aggravante speciale, ritengono che gli incapaci penalmente debbano essere computati. Il codice distingue, ai fini della pena, dai semplici associati, i promotori, i costitutori, gli organizzatori ed i capi. Promuovono l'associazione le persone che se ne fanno iniziatrici; la costituiscono coloro che con le loro attività ne determinano o concorrono a determinare la nascita. Organizzatore è chi coordina l'attività dei singoli soci, per assicurare la vita, l'efficienza e lo sviluppo dell'associazione, mentre capi sono gli individui che regolano, in tutto od in parte, l'attività collettiva con posizione di superiorità.

Il delitto si perfeziona non appena è costituita l'associazione. I compartecipiche commettono uno o più dei reati che formano oggetto dell'associazione, ne rispondono individualmente in concorso col delitto di cui ci stiamo occupando. La responsabilità per i detti reati si estende esclusivamente a quei soci che ne sono compartecipi ai sensi degli articoli 110 e seguenti del codice penale. Aderendo ad un recente orientamento della Corte di Cassazione, si ritiene che l'adesione ad un sodalizio criminoso, che si è formato ed ha operato in Italia, integra la partecipazione ad un reato commesso nel territorio dello Stato anche qualora l'associato rimanga materialmente sempre all'estero, ove la sua condotta di partecipazione all'associazione si sia svolta per intero, con l'apporto di contributi appprezzabili all'organizzazione. Nulla esclude che si possa pervenire ad un'associazione a delinquere partendo da una societas esistente: ciò avverrebbe qualora alle finalità originarie i componenti sostituissero od aggiungessero quella di commettere più delitti. Nei confronti di chi entri a far parte dell'associazione a delinquere successivamente alla sua costituzione la violazione dell'articolo 416 si verifica nel momento in cui avviene l'intresso dell'associazione. La consumazione si protrae fino alla cessazione dello stato antigiuridico, e cioè fino a quando si verifica lo scioglimento dell'associazione.

Il dolo consiste nella volontà di entrare a far parte dell'associazione. Si tratta di dolo specifico. Non si esige che tutti gli associati abbiano in programma i medesimi fatti criminosi.

Il delitto in esame ha carattere generico. La disposizione relativa non si applica allorchè un fatto di associazione per delinquere sia preveduto in modo specifico da altra norma penale.

Sono previste due circostanze aggravanti speciali. La prima si ha quando gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie (brigantaggio). Per la sussistenza dell'aggravante non è necessaria l'abitualità dei fatti di scorreria, ma è sufficiente una ripetizione che produca un più grave pubblico allarme. Non occorre neppure che durante la scorreria siano commesse depredazioni, bastando che uno o più degli associati percorrano armati le campagne e le pubbliche vie al fine di attuare il loro programma di delinquenza. Secondo la Cassazione non si richiede che le armi siano portate palesemente, il che è forse eccessivo. Per l'applicazione dell'aggravante nei confronti di tutti i partecipanti è sufficiente che solo alcuni di essi siano stati armati.

La seconda aggravante ricorre allorchè il numero degli associati è di 10 o più- La dottrina e la giurisprudenza sono d'accordo nel ritenere che nel numero stabilito dalla legge debbano essere computati anche gli incapaci penalmente. Superfluo rilevare che l'aggravante in parola esclude quella prevista in generale dal numero 1 dell'articolo 112, nella quale del resto figura la riserva "salvo che la legge disponga altrimenti".

La sanzione per i capi dell'associazione e per coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano è la reclusione da 3 a 7 anni; per i semplici associati è la reclusione da 5 a 15 anni. Ricorrendo l'aggravante dei fatti di scorreria si applica la reclusione da 5 a 15 anni. In tutte le ipotesi la pena è aumentata se gli associati sono 10 o più.

Per il disposto dell'articolo 417, alla condanna per il delitto di associazione per delinquere segue obbligatoriamente l'applicazione di una misura di sicurezza: in particolare la libertà vigilata, a meno che, per le qualità personali del soggetto, sia applicabile una misura più grave od il giudice ritenga di disporre l'internamento in una colonia agricola od in una casa di lavoro.

Assistenza agli associati.[]

Che tipo di reato è il reato di associazione a delinquere?[]

è un reato cosiddetto plurisoggettivo oppure a concorso di persone necessario.

Si ha concorso eventuale quando il reato può essere commesso da una sola persona, ma può anche essere commesso da una pluralità di persone, quando il reato viene commesso da una pluralità di persone scatta oltrechè la disciplina generale che regola la responsabilità per la commissione di un reato, la disciplina sempre generale, ma particolare alle ipotesi di realizzazione concorsuale di un reato che regola le ipotesi di concorso di persone nel reato.

Regola fondamentale è che: se un reato viene commesso da più persone, tutte quante evidentemente rispondono per il reato commesso. Articolo 110 codice penale, che con una forma molto generica indica la responsabilità di tutti per i reati commessi, dopodichè noi vi ricorderete che in materia di concorso di persone nel reato, si fanno ulteriori specificazioni importantissime in ordine ai requisiti ai quali è subordinata la responsabilità di un concorrente si dice: "perchè un concorrente nel reato possa rispondere, non è necessario che commetta la condotta tipica, è sufficiente che abbia commesso la condotta tipica, è sufficiente che abbia apportato un contributo causale qualsiasi, alla realizzazione del fatto concreto". E qui interviene, la funzione incriminatrice ex novo delle norme sul concorso di persone del reato. Queste norme hanno una duplice funzione: da un lato disciplinano le figure del concorso, ad esempio prevedono che se le persone che hanno contribuito a realizzare il reato sono 50 più scatti un'aggravante.

Dall'altro lato le norme sul concorso di persone, permettono di incriminare condotte che non sarebbero incriminabili senza quella norma. Il nostro sistema giuridico penale è rigorosamente ancorata al principio di legalità, nessuno è punito se una condotta non è prevista dalla legge come reato.

Chi ad esempio si è limitato ad organizzare la rapina, e poi nel momento in cui la rapina è eseguita se ne sta tranquillamente a casa, esso non è punibile in base alla norma penale incriminatrice del delitto di rapina, perchè non ha violentato nessuno, non ha minacciato nessuno, non si è impossesso di una cosa mobile altrui, ma semplicemente ha organizzato la rapina, però anch'egli è punibile per concorso di persone nel reato perchè le norme sul concorso di persone nel reato chiunque apporti un contributo causale, anche atipico alla realizzazione di un reato. Quindi chi istiga un'altra persona a commettere un reato e questa poi l'andrà ad eseguire, questa risponderà di concorso di persone nel reato con il proprio contributo atipico di istigazione alla realizzazione del reato.

Vi sono reati che peraltro non possono essere realizzati da una sola persona, ma la cui struttura presuppone che alla sua realizzazione concorrano necessariamente più persone. L'associazione a delinquere è tipicamente un reato a concorso necessario, perchè esiste un'associazione a delinquere sono necessari quanto meno 3 associazioni, 3 o più persone, quindi non ci può essere un'associazione formata da una sola persona.

Esempio. La corruzione è un reato a concorso necessario, dove c'è un privato corruttore ed un pubblico ufficiale corrotto, per esempio è necessario perchè ci sia il reato di corruzione l'intervento almeno di due persone per la corruzione: il privato ed il pubblico ufficiale (questo lo ritiene la giurisprudenza e la dottrina ormai pacificamente). Invece la maggioranza dei reati può essere realizzato da una sola persona e se c'è una pluralità di persone scattano le norme.

Chiarito che il reato di associazione a delinquere è un reato plurisoggettivo, per la sua natura influirà evidentemente su una serie di istituti che vengono applicati al concorso, che si applicano al reato di associazione a delinquere.

Per tutti i delitti qual è la forma soggettiva di responsabilità normale?[]

Nei delitti si risponde per dolo, per colpa si risponde soltanto se la forma colposa è espressione prevista dalla legge come reato, cioè normalmente è prevista la forma colposa nei confronti dei reati contro la persona.

C'è l'omicidio doloso e poi viene configurato l'omicidio colposo, la strage dolosa e poi colposa.

Normalmente per le altre categorie di delitti, la forma normale di responsabilità è solo quella dolosa, perchè non viene prevista la forma colposa, per l'associazione a delinquere non è prevista la forma colposa, quindi la reponsabilità per associazione a delinquere è esclusivamente una responsabilità dolosa, ed in che cosa consisterà il dolo dell'associato a delinquere?

Dolo: volontà della condotta, rappresentazione quantomeno in termini di possibilità, dell'esistenza del verificarsi di tutti gli elementi oggettivi positivi del reato.

Nel dolo, qual è l'atteggiamento psicologico minimo perchè si abbia dolo? Guardiamo l'omicidio: l'omicidio è volontà della condotta, se una persona vuole/intende uccidere un'altra, deve volere sparare, deve volere premere il grilletto, e deve volerlo premere nel momento in cui lo preme.

Esempio che non ci capita mai nella pratica. Se io voglio uccidere una persona, so che passa in una strada sempre alla stessa ora, mi apposto con la pistola, voglioucciderla, la vedo arrivare e tiro fuori la postola, poi mi pento e metto in tasca la pistola perchè non voglio più ucciderla. Se a questo punto guarda caso mi arriva alle spalle una persona che ha visto la scena ed è contenta che uccida quella persona, mi prende la mano e mi forza a sparare ed io sparo, ma sono costretto da una forza maggiore e quindi non risponderò perchè non risponderò per le condotte non volte, in quanto costretto materialmente dalla forza maggiore.

Io devo volere la condotta nel dolo.

Gli altri elementi: l'evento morte nell'omicidio posso anche volerlo: io posso sparare perchè voglio uccidere la persona, però perchè si abbia omicidio doloso (il codice penale lo chiama volontario, ma in realtà l'evento può essere anche non voluto), non è necessario che io voglia cagionare la morte, viene considerato doloso anche il caso in cui non voglio cagionare la morte, però mi rendo conto che per realizzare i miei obiettivi devo comunque ammazzare una persona, e quindi io non ho la consapevolezza che commettendo una condotta èsicuro che io ammazzo, il dolo diretto, quando io voglio ammazzare una persona è una forma di dolo che io chiamo dolo intenzionale. Dolo diretto, rappresentazione in termini di certezza, addirittura il nostro sistema secondo l'intenzione comune della giurisprudenza e della dottrina, ammette che vi sia dolo anche quando io non mi rappresento in termini di certezza l'evento, ma io me lo rappresento soltanto in termini di possibilità.

Io pongo in essere una condotta, spero che l'evento non si verifichi, però mi rendo conto che è probabile che l'evento si verifichi ed agisco nonostante questa rappresentazione in termini di possibilità. Tecnicamente accetto il rischio di cagionare l'evento, il cosiddetto omicidio o dolo eventuale.

Esempio: se io mi metto alla guida di un'automobile in stato di ebbrezza, io evidentemente non voglio ammazzare nessuno, però non posso non rappresentarmi in termini di possibilità di cagionare la morte di qualcuno, perchè essendo ubriaco non riesco a controllare bene i miei movimenti e quindi controllare la guida dell'autoveicolo.

Se io in stato di ebbrezza cagiono la morte di una persona, rischio di essere incriminato per omicidio doloso ex dolo eventuale.

Il dolo è volontà della condotta e rappresentazione come minimo in termini di possibilità del verificarsi dell'evento.

Per quanto riguarda le cause di giustificazione come si atteggia il dolo?[]

Le cause di giustificazione secondo una certa impostazione sono degli elementi negativi del fatto di reato, cioè devono essere assenti perchè un fatto possa avere rilevanza penale, se io ammazzo una mosca non commetto omicidio, perchè manca l'evento, il fatto, quindi nessuno mi potrà contestare l'omicidio per aver ammazzato una mosca, perchè manca il fatto. Se io uccido un uomo in difesa legittima, commetto sì un fatto di omicidio, ma il fatto di omicidio non è un fatto penalmente rilevante in quanto c'è la causa di giustificazione. Perchè un fatto di cagionamento della morte acquisti la rilevanza penale sul piano oggettivo, è necessario che non vi sia la difesa legittima, cioè che non ci sia una scriminante. Quindi che non ci sia una criminante in grado di scriminare, di giustificare appunto la condotta e l'evento di omicidio.

Coloro che ragionano in questo modo dicono che ammazzare un uomo in stato di necessità od in difesa legittima, è esattamente sul terreno della rilevanza penale, come ammazzare una mosca sul piano di rilevanza penale.

Ma in realtà non è così: se la persona ammazza un uomo di difesa legittima, quantomeno inizia un'indagine penale, perchè il fatto c'è e bisogna accertare se effettivamente se ci sono gli estremi della difesa legittima. Nessuno sarà oggetto di un inizio di indagine penale se ammazza una mosca. Sul piano finale del nostro sistema penale giuridico - sostanziale effettivamente, non c'è differenza.

Come si atteggia il dolo nei confronti degli elementi negativi (cause di giustificazione - scriminanti)?[]

Quando la scriminante è assente, cioè per esempio quando c'è l'omicidio punibile, è necessario perchè si abbia il dolo di omicidio che il soggetto si rappresenti espressamente che manca la difesa legittima? Manca la necessità? Cioè è necessara una rappresentazione positiva della mancanza di tutte le cause di giustificazione? No perchè sarebbe assurdo, se uno ruba un oggetto mica si domanda magari il proprietario di questo oggetto ha acconsentito a farsi sottrarre la cosa. Ruba e basta.

Sul terreno del dolo con riferimento alla scriminante è rilevante quello che noi chiamiamo l'elemento negativo del dolo. Perchè se voi leggete l'articolo 59 del codice penale al comma 4 dice che se la scriminante non esiste, ma la scriminante viene supposta per errore presente, il soggetto non è punibile.

Esembio: abito in una zona malfamata della città, dove ci sono omicidi a go go, tutte le sere torno a casa tardi, terorizzato, ma torno a casa e sento dei passi dietro di me, sbircio e vedo una persona dall'aria poco raccomandabile che si sta avvicinando con qualcosa in mano, penso che questo abbia una pistola e voglia ammazzarmi, allora estraggo velocemente la pistola che ho in tasca e lo ammazzo. Quello invece aveva in mano un pacchetto regalo, e se ne stava andando a casa anche lui velocissimo perchè aveva paura anche lui. Non aveva nessuna intenzione di ammazzarmi, però in quel contesto ho ritenuto erroneamente di essere aggredito e lo ammazzo, in questo caso la scriminante non c'è, però la suppongo erroneamente presente. Che cosa mi dice l'articolo 59 comma 3? Non sei punibile. Tranne che nell'errore dovuto a colpa ed allora rispondi per colpa.

Qual è l'effetto di quell'errore? Come tutti gli errori escludono il dolo e se sono colposi, cioè sono solo scusabili fondano la colpa. Poi dall'articolo 59 ultimo comma si ricava che il dolo è escluso quando un soggetto ritiene per errore presente una causa di giustificazione. Il dolo è escluso, come il dolo è escluso quando io per errore ritengo assente un elemento costitutivo del reato.

Esempio: se io sono in treno arrivando alla stazione di fretta, prendo una valigia altrui simile alla mia, scambiandola con la mia, io ritengo di portare via la mia valigia. Io non mi rappresento un elemento dell'altruità della cosa di cui non ho il possesso. Quindi non la vivo come un dolo di furto, mi mancava la rappresentazione di un elemento di fatto, dovuta all'errore di fatto,

Quindi l'erronea supposizione della mancanza di un elemento positivo esclude il dolo ex articolo 47 comma 1, la supposizione erronea di una causa di giustificazione esclude il dolo ex articolo 59 ultimo comma.

Si tratta di due situazioni di errore che tutte mi escludono il dolo, ed allora è chiaro che comunque anche l'articolo 59 interferisce sul dolo.

Nei confronti delle cause di giustificazione non è pensabile di richiedere al singolo soggetto concreto, la rappresentazione della mancanza di tutte le cause di giustificazione. Perchè se è erronea, questa rappresentazione; mai nessuno ce l'ha, ma sicuramente se quel soggetto ritiene per errore una causa di giustificazione, il dolo è escluso.

Se io ammazzo una persona ritengo per errore di essere aggredito, mentre non lo sono, oggettivamente io realizzo il fatto di omicidio, perchè io cagiono la morte di una persona in assenza di una causa di giustificazione. Però dato che ritengo per errore di fatto, per esempio la causa di giustificazione, questo errore mi esclude il dolo, articolo 59 ultimo comma.

Quindi diciamo con riferimento alle cause di giustificazione, non si richiede come per gli elementi positivi, non si richiede agli effetti del dolo la rappresentazione della mancanza dell'elemento, ma il dolo è escluso in ogni caso dell'errore. Quindi l'errore è l'elemento negativo del dolo, perchè esclude il dolo.

Il dolo è l'errore sono la faccia della stessa medaglia.

Potremmo non avere la definizione di dolo.

Il codice penale tedesco non ha mai definito il dolo, perchè è inutile definire il dolo, anzi l'articolo 43 del codice penale è un'inutile complicazione, se noi leggiamo questo articolo, vediamo che a questa definizione non corrisponde a ciò che noi diciamo essere il dolo.

L'articolo 43 comma 1 dice che si ha delitto doloso quando l'evento dannoso quando l'evento è preveduto e voluto. Ma poco fa abbiamo detto che noi riconosciamo, senza possibilità di dubbio, che sia dolo anche nell'ipotesi del dolo eventuale quando l'evento non è voluto, ma è soltanto rappresentato in termini di possibilità e viene addebitato sul terreno dell'accettazione del rischio. Quindi questa definizione è inesatta, cioè questa idea di dolo non corrisponde a quella che noi realizziamo concretamente nelle aule di giustizia.

Ricaviamo la nozione di dolo dalle norme sull'errore, perchè, dove c'è errore rilevante per il delitto penale, ciop dove il codice penale dice: questo errore esclude la responsabilità penale, non vuole dire che manca dolo. Perchè l'errore fa escludere la responsabilità penale, proprio perchè manca la rappresentazione, perchè se abbiamo la percezione dell'elemento, vuol dire che non c'è errore, se non c'è la percezione dell'elemento oggettivo vuol dire che c'è errore od ignoranza.

Tutto ciò che costituisce riferimento all'oggetto del dolo, cioè l'elemento oggettivo del dolo è dato da ciò che costituisce punto di riferimento dell'errore che esclude la responsabilità penale.

Il dolo dell'associazione a delinquere.[]

Chiaro che nel dolo dell'associazione a delinquere deve essere presente l'aspetto volitivo, cioè ciascun associato deve voler essere parte dell'organizzazione criminale, quindi volontà della condotta associativa. Poi deve però dato che il reato è plurisoggettivo, deve rappresentarsi di essere entrato a far parte di un'organizzazione il cui scopo è quello di commettere una pluralità di reati, se non c'è questo elemento di rappresentazione il dolo viene meno.

Bisogna che una persona si renda conto di essere entrata a far parte di un'associazione con una pluralità di persone.

Se non c'è questa rappresentazione di un ingresso in un'associazione di cui fanno parte di una pluralità di persone, non c'è il dolo di associazione a delinquere.

Il dolo dell'associazione a delinquere è la specificazione dell'azione generale di dolo.

Nelle organizzazioni criminali più articolate, complesse è certo che non tutti gli associati conoscono tutti gli associati, non c'è conoscenza totale. Nella mafia i semplici picciotti non conoscono tutti gli altri associati e gli altri picciotti.

Storicamente come regola in alcune associazioni criminali era che gli associati conoscessero un limitato numero di altri associati, solo quelli con cui operavano strettamente solo per evitare che se scoperti dalla magistratura, forze dell'ordine coinvolgessero tutti gli altri associati. Le organizzazioni terroristiche di tipo militare, come le Brigate Rosse o Prima Leva, erano orientate in questo modo, pochissimi associati conoscevano ampiamente la rete dell'organizzazione e conoscere la consistenza dell'operazione, le regole della clandestinità sono queste.

Altro problema, lo scopo dell'associazione criminale è realizzare una pluralità di reati, ma non sempre, sopratutto quando le organizzazioni criminali sono ampie ed articolate, tutti gli associati partecipano o sul piano dell'organizzazione, dell'ideazione, o sul piano quantomeno dell'esecuzione alla realizzazione di tutti i reati.

Nelle organizzazioni criminali molto articolate si tende addirittura ad evitare che tutti gli associati, soprattutto quelli di rango più basso che svoltono attività materiali, il killeraggio, cioè che vanno a commettere gli omicidi, conoscano i fatti a cui hanno partecipato.

Problema: qual è il rapporto fra responsabilità per reato associativo (o per essere associati a delinquere), e responsabilità per reati scopo realizzati?

Esempio: c'è un'organizzazione di cui fanno parte 50 persone, si commette una rapina, questa viene organizzata - ideata dai capi dell'organizzazione ed ordinata a componenti dell'associazione, che vanno e rapinano una banca secondo le modalità concordate, organizzate dai capi.

Operativamente nell'ideazione dell'esecuzione di quella rapina sono coinvolte 8 persone dell'organizzazione, le altre 42 rispondono di quella rapina? No, perchè non hanno apportato contenuto specifico alla realizzazione di quel singolo reato. Cioè il principio fondamentale che viene enunciato dalla giurisprudenza è che una cosa è essere parte di un'organizzazione, e quindi risponde per l'organizzazione, per esserne entrato a far parte, una cosa diversa è essere chiamati a rispondere per l'esecuzione dei reati scopo. Perchè si possa essere chiamati a rispondere dei singoli reati commessi è necessario accertare nei confronti del concorrende il suo effettivo concreto contributo causale apportato alla realizzazione di quel reato. Contribuito causale che può o esaurirsi nella fase dell'ideazione dell'organizzazione e quindi sulla fase diciamo morale od organizzativa del reato, od estendersi alla fase esecutiva. Risponderà del reato scopo realizzato sia coloro che l'hanno materialmente compiuto sia coloro che lo hanno ideato e deciso, essendo al vertice dell'organizzazione, perchè ciascuno di quei soggetti ha contribuito alla realizzazione di quel reato specificamente commesso, o contribuito meramente morale, o con un contributo materiale dell'esecuzione, quindi si potrà condannare per reato scopo soltanto l'associato nei cui confronti si riesca a provare la partecipazione alla realizzazione del reato scopo. Gli altri associati non saranno chiamati a rispondere. Principio della responsabilità personale, perchè è espressione del settore dei reati associativi in rapporto con i reati scopo del principio fondamentale dell'articolo 27 comma 3 della Costituzione la responsabilità penale è personale, nessuno può essere chiamato a rispondere di un fatto commesso da terzi.

Quindi se non c'è un tuo contributo personale alla realizzazione, rilevante ai fini dell'articolo 110 non potrai essere chiamato a rispondere di quel reato.

Si enuncia il principio che nelle sue linee può sembrare semplice, ma poi in concreto è più complicato.

Concetto fondamentale: una cosa è risolvere il problema interpretativo, quali sono i requisiti per cui le persone possono rispondere di un reato scopo? E rispondiamo l'associato può rispondere del reato scopo nella misura materiamente in cui ha partecipato alla sua realizzazione. Molte volte nella pratica dell'associazione criminale avviene che nell'esecuzione del reato scopo siano coinvolti soggetti che non fanno parte dell'organizzazione criminale, per esempio una banda decide di fare una sofisticata operazione di rapina di una banca, dell'organizzazione criminale non fa parte una persona abile ad aprire una determinata serratura e viene coinvolto un tecnico esperto delle casseforti, e viene pagato dall'organizzazione perchè partecipi all'esecuzione materiale della rapina, perchè solo lui è in grado di aprire quelle casseforti. Il tecnico esperto dovrà dimostrare che non fa parte dell'associazione, ma ha partecipato a quell'operazione perchè è stato pagato, verrà condananto per il reato scopo perchè ha partecipato materialmente, però non potrà essere condannato per partecipazione all'associazione criminale, se riesce a dimostrare che nonfaceva parte dell'associazione.

Quindi è difficile provare chi ha partecipato ad una singola esecuzione criminale. Ci sono molti processi che sono arrivati a condannare qualcuno per un fatto di omicidio, od un altro reato scopo realizzato, ma hanno coinvolto qualcuno, ma non sono riusciti a capire come ha funzionato con alcuni soggetti che hanno complessivamente contribuito all'esecuzione del reato.

Esempio: alcuni omicidi di mafia di politici avvenuti in Sicilia, omicidio La Torre, c'è stato il processo e si è arrivati alla condanna di una decina di persone dei cosiddetti partecipi della cupola dell'organizzazione mafiosa, e sulla base di cosa si è arrivati a quella condanna? Alcuni pentiti hanno raccontato che la mafia operava secondo determinate regole precise, non poteva essere commesso nessun omicidio nel territorio di Palermo, se l'omicidio non era stato avvallato dalla cupola, cioè dal gruppo di mafiosi che dirigeva l'organizzazione. Perchè era impensabile che la cupola mafiosa, consentisse la realizzazione di un omicidio su un territorio se non lo aveva avvallato.

A livello giudiziario è stato acquisito come un dato assolutamente assodato, sulla base di testimonianze di una serie di pentiti.

Dopodichè i pentiti hanno consentito di ricostruire molto dettagliatamente gli organigrammi dalla cupola mafiosa negli anni per cui si arriva che in un determinato periodo certe persone facevano parte della cupola, e quindi si sapeva che se un omicidio era stato commesso nel 1980 quell'omicidio era stato sicuramente avvallato, consentito, dalle persone che facevano parte della cupola, ha consentito di introdurre nel processo penale un elemento probatorio assolutamente presuntivo assodato, secondo cui se un omicidio commesso a Palermo veniva commesso in un certo anno, di matrice mafiosa o non mafiosa perchè tanto la mafia controllava integralmente il territorio, automaticamente i componenti della cupola di quell'anno erano responsabili, perchè avevano contribuito in maniera decisiva affinchè l'omicidio fosse eseguito dando il permesso.

Nell'omicidio di La Torre e Mattarella,non si è mai individuato chi erano stati gli esecutori materiali dell'omicidio, c'è stata la condanna dei responsabili morali in base all'anno in cui gli omicidi si sono verificati.

Sul terreno probatorio, magari è possibile individuare i responsabili morali sulla base delle notizie sull'organizzazione criminale, e se non riesce ad accertare perchè nessuno parla e non ci sono indizi sugli esecutori materiali, in altri casi invece si è riuscito ad individuare secondo certe valutazioni gli esecutori materiali, mai i mandanti come per esempio per la strage della stazione di Bologna si sono condannati 3 esecutori materiali, gli imputati erano una decina, per il professor Grosso gli indizi erano sufficienti, ma non potevano aver organizzato da soli quel tipo di attentato, avevano alle spalle un'organizzazione poderosa, degli ideatori, grossi finanziatori, accertati gli esecutori materiali, ma non si è capito chi fossro i mandanti della strage.

Quasi tutti i processi che hanno coinvolto esponenti del terrorismo rosso si è arrivati lì perchè molti collaboratori di giustizia hanno individuato gli esecutori materiali, sulla base del funzionamento dell'organizzazione i mandanti, sia le BR sia Linea Rossa si erano date regole ferree decisionali anche se diverse, le cosiddette campagne venivano deliberate da un organismo dirigente e chi faceva parte di quest'organismo dirigente automaticamente rispondeva degli omicidi.

Individuata la regola generale bisognerà far capo a degli elementi concreti per addebitare la responsabilità in capo ai soggetti. Alcune volte questi elementi sono facili perchè si è riuscito a ricostruire tramite i pentiti la linea decisionale, altre volte sono stati individuati, qualche volta a seconda che ci fossero o non ci fossero i collaboratori di giustizia, si sono individuati gli esecutori materiali. Molte volte sul piano probatorio la giustizia non è riuscita a trovare elementi probatori sicuri, assoluzione, condanna a causa della difficoltà di capire se una persona era associata. Vi sono stati di battiti a tale proposito.

Sul terreno dell'offesa io ho detto il reato di associazione a delinquere è un reato a pericolo concreto, dove il pericolo concreto è valutato in relazione alla commissione dei reati scopo, però il delitto di associazione a delinquere è inserito ormai fra i delitti contro l'ordine pubblico, ora con riferimento al bene della violazione dell'ordine pubblico noi abbiamo una serie di sentenze pacifiche che dicono: il pericolo per l'ordine pubblico costituente l'oggetto specifico della tutela penale del fatto stesso della permanenza del vincolo associativo tra più persone legate dalla comunità del fine criminoso e da interessi diversi.

Cosa vuol dire questa giurisprudenza? Con riferimento all'ordine pubblico, la giurisprudenza dice: ma se c'è una permanenza del vincolo, cioè se c'è un iter associativo che perdura nel tempo automatico che vi sia un attentato all'ordine pubblico, perchè l'ordine pubblico inteso come rischio di turbamento della vita civile a causa di una commissione di reati è in re ipsa in questa situazione, questo non vuol dire che automaticamente che qui si costruisce l'oggettività del reato con riferimento all'ordine pubblico come pericolosità astratta, pericolosità presunta, semplicemente si prende atto di un dato di fatto, cioè che se c'è la permanenza di un vincolo associativo, cioè se c'è un'organizzazione che opera per un certo periodo sul territorio allo scopo di commettere una serie di reati, questa organizzazione con quegli scopi di reiterazione criminosa, automaticamente crea una situazione di pericolo per la convivenza civile cioè la pericolosità è implicita nel principio di permanenza dell'organizzazione.

è chiaro che se in determinati territori italiani c'è un'organizzazione pervasiva, che occupa il territorio, controlla il territorio, che articola un sistema di normazione alternativa a quello statuale che impronta la vita dei cittadini ad una situazione di soggezione ad un crimine ripetuto, che instaura delle situazioni di storsione diffusissima, che è chiaro che l'esistenza stessa di questo tipo di organizzazione crea uno stato di pericolo per l'ordine pubblico, perchè in quei territori non c'è più legalità, domina l'illegalità costituita dal sistema mafioso che gestisce il potere.

Queste massime della Cassazione significano automaticamente l'adozione di una linea di recezione di un concetto di pericolosità astratta.

Bastava dire che laddove c'è il riscontro di una permanenza di un vincolo associativo su un determinato territorio, questa permanenza automaticamente determina una situazione di minaccia per i cittadini che devono subire la reiterazione dei reati commessi dall'associazione.

Questo tipo di giurisprudenza non sembra che contrasti al principio in re ipsa del reato.

Ulteriore osservazione: l'articolo 46 comma 1 definisce l'associazione a delinquere, quando 3 o più persone si associano allo scopo di commettere delitti, però poi specifica, coloro che promuovono, od organizzano l'associazione sono puniti con la reclusione da 3 a 7 anni. Poi al comma 2 stabilisce che per il solo fatto di partecipare all'associazione la pena della reclusione è da 1 a 5 anni. Al comma 3: i capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

Due precisazioni: nell'associazione a delinquere sono stati individuati diverse categorie soggettive di concorrenti, ci sono i promotori o gli organizzatori dell'associazione, comma 1, ed i capi del comma 3 che sono puniti da 3 a 7 anni. I meri partecipi sono puniti con una pena da 1 a 5 anni. Si punisce di più chi nelle associazioni criminali ha assunto una posizione preminente, coloro che hanno promosso l'associazione cioè che hanno dato finanziamenti, coloro che hanno organizzato, coloro che sono i capi hanno diretto l'associazione, sono giustamente puniti di più.

Coloro che semplicemente sono associati non hanno promosso ed organizzato, ma conoscendo gli obiettivi, scopi, il tipo di organizzazione ma si sono limitati alle direttive dei capi sono puniti per associazione a delinquere ma con una pena inferiore.

Perchè il nostro codice penale ha ipotizzato prima la posizione degli organizzatori, poi con una pena minore la posizione degli associati, avrebbe potuto anche fare l'inverso, quando 3 o più persone si associano per commettere delitti coloro che sono associati sono punibili con la reclusione da 1 a 5 anni, comma 2: coloro che sono stati gli organizzatori, i promotori, i costitutori, od i capi dell'organizzazione, sono puniti con la sanzione da 3 a 7 anni (comma 2).

Se si fosse adottata questa tecnica, il terreno interpretativo avrebbe avuto qualche questione, ci si sarebbe posto il problema: ma il comma 2 che ha previsto una pena edittale diversa, per i promotori, gli organizzatori, i capi, che cosa ha creato? Un titolo autonomo di reato per coloro che sono capi, organizzatori, promotori di un'associazione a delinquere? Oppure ha previsto una circostanza aggravante del delitto di associazione a delinquere? Previsione di un reato base associativo e poi pena più grave per i capi, promotori, il dubbio sarebbe stato inevitabile.

Il considerare la fattispecie di essere capo, organizzatore, promotore, di un'organizzazione criminale, come fattispecie aggravata del reato base dell'associazione a delinquere oppure considerare la posizione di essere capo od organizzatore, di un'organizzazione come titolo autonomo di un reato, comporta una disciplina diversa? Si, è fondamentalmente diverso perchè se noi consideriamo la posizione del capo, dell'organizzatore, del costitutore, del promotore come una circostanza aggravante del delitto di associazione a delinquere, noi applichiamo la disciplina del concorso di circostanze del reato, che quando si concreta in concorso cosiddetto eterogeneo, cioè concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti, apre la strada ad un potere discrezionale amplissimo del giudice, nel senso che di fronte ad un concorso di circostanze eterogenee il giudice a sua discrezione, discrezionalità che teoricamente dovrebbe motivare la sentenza, ma con questa discrezione può ritenere prevalenti le aggravanti, ed in quel caso applica solo le aggravanti, può bilanciare quindi ritenere equivalenti le aggravanti e le attenuanti e quindi applica la pena prevista per il reato base indipendentemente dalle circostanze, oppure può addirittura ritenere prevalenti le circostanze attenuanti, in questo caso applica solo le circostanze attenuanti.

Questo meccanismo consente di annullare il peso delle circostanze aggravanti, perchè se la posizione del capo fosse una posizione qualificabile come circostanza aggravante dell'associazione a delinquere, un giudice dovrebbe dire: ma io in questo caso riconosco a questo capo, perchè si è comportato bene in una serie di circostanze attenuanti generiche, le bilancio con l'aggravante e quindi io cancello la pena da 3 a 7 anni e passo ad una pena da 1 a 5 anni.

Addirittura posso ritenere le attenuanti prevalenti, parto dalla pena da 1 a 5 anni e diminuisco la pena fino ad 1/3 in ragione delle circostanze attenuanti.

Molte volte il legislatore si preoccupa di evitare questo meccanismo, ed allora cosa fa? Prevede come fattispecie base la pena più grave.

Quindi noi dobbiamo sapere che, con riferimento alla situazione si distingue la posizione di coloro che hanno avuto un ruolo preminente da coloro che sono meri principi e che in ogni caso la fattispecie base così come è stata costruita dal codice è quella della posizione preminente.

Ci sono poi due ulteriori circostanze aggravanti previste nei commi 4 e 5 dell'articolo 416.

Uno è un delitto storico,

Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da 5 a 15 anni.

Idea legata ad una visione ottocentesca, dove i malfattori erano normalmente dei banditi che scorrevano in armi per aggredire le forme. Questa circostanza aggravante è applicata molto di rado, ogni tanto la applicano quando le associazioni criminali operano delle azioni clamorose sulle strade con le armi. Potrebbero eliminarla senza che cambino le cise.

è possibile o meno concorrere come concorrente eventuale alla realizzazione di un reato associativo? Questo è un problema delicato da affrontare soprattutto come riferimento all'associazione di tipo mafioso. è possibile essere concorrenti esterni all'associazione di tipo mafioso? Cioè è possibole che una persona che non fa parte dell'organizzazione criminale, quindi non è un associato a delinquere possa essere chiamato a rispondere ex articolo 110 per concorso esterno all'associazione? è ovvio che all'esecuzione di reato scopo può concorrere un soggetto che non fa parte dall'organizzazione criminale, non è il problema che abbiamo visto prima con l'esempio del tecnico esperto di casseforti.

Il problema è l'associazione a delinquere che è un reato a concorso necessario che presuppone la pluralità di persone, all'associazione a delinquere, si può concorrere quindi essere chiamati a rispondere per concorso eventuale pur senza far parte dell'organizzazione criminale? Questo è un grosso problema. La giurisprudenza l'ha risolto con una serie di questioni, ha tracciato le linee dei limiti della responsabilità concorsuale eventuale del reato associativo in modo complessivo, infatti è ancora oggi aperto.

Alcuni ritengono sul terreno dell'elemento soggettivo della figura a delinquere che è necessario accertare l'affectio societatis, cioè elemento soggettivo che esprimerò la volontà del singolo concorrente necessario ad aderire all'organizzazione, qualcuno dice invece che non è richiesto.

Il problema è mettersi d'accordo da cosa si intende per affectio societatis si intende il fatto di voler entrare a far parte di un'organizzazione ed avere la consapevolezza di collaborare in maniera permanente e duratura è ovvio che questo requisito, ci deve essere, cioè non può essere considerata responsabile una persona che non vuole far parte dell'organizzazione se si richiede una particolare affezione di tipo etico morale al programma dell'associazione, è un connotato del tutto estraneo alla realtà del diritto penale che si interessa atteggiamenti volitivi e rappresentativi.

Quindi è necessario nella misura in cui sia altro che un modo di esperire il particolare dolo del diritto soggettivo, se c'è riguarda la partecipazione totale agli ideali dell'organizzazione criminosa, non è richiesta.

Volere e rendersi conto di farne parte invece è requisito.

Reati contro l'amministrazione della giustizia.[]

I reati contro l'amministrazione della giustizia sono tutte quelle fattispecie che offendono lo svolgimento della funzione amministrativa relativamente all'amministrazione della giustizia e sono previsti al Titolo III, articolo 361 e seguenti.

Il Titolo III inizia con una serie di fattispecie che offendono l'interesse dell'amministrazione della giustizia ad acquisire la notizia di reato.

L'autorità giudiziaria per poter procedere deve venire a conoscenza delle notizie di reato le quali pervengono all'autorità giudiziaria o perchè c'è qualcuno che porta all'autorità giudiziaria la notizia o perchè è lo stesso PM che ne è venuto a conoscenza durante l'attività di indagine e la comunica alle autorità competenti.

La prima fattispecie è quella relativa all'omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale disciplinata dall'articolo 361; vedremo gli elementi costitutivi di questa fattispecie: si tratta di un reato proprio, quindi può essere commesso solo dal pubblico ufficiale (i reati propri sono quelli nei quali è richiesta una particolare qualifica personale del soggetto attivo).

Il presupposto della condotta è il fatto che il pubblico ufficiale abbia avuto notizia di un reato nell'esercizio od a causa delle sue funzioni, quindi vi deve essere questo collegamento con le funzioni svolte. Non è necessario che il pubblico ufficiale abbia la certezza che il fatto costituisca reato, ma vi devono essere elementi che denotano la probabilità che il fatto costituisca reato, nel senso che la valutazione finale della sussistenza del reato è affidata al giudice, quindi non si richiede al pubblico ufficiale una valutazione attenta, complessiva del fatto, ma è sufficiente, affinchè scatti l'obbligo di denuncia in capo all'ufficiale, che vi siano elementi che oggettivamente denotino che il reato sia stato effettivamente commesso.

La condotta consiste nell'omettere o nel ritardare di denunciare un reato, omettere è una condotta puramente omissiva, e qui abbiamo un reato omissivo proprio.

La norma non ci dice quanto il pubblico ufficiale debba ritardare perchè scatti il reato, spetta al magistrato valutare in relazione alla situazione concreta quando il ritardo abbia pregiudicato le indagini, quindi la valutazione della condotta di ritardo dipende dalla sussistenza di un pericolo di pregiudizio per lo svolgimento delle indagini.

L'omissione od il ritardo di denuncia deve essere fatta all'autorità giudiziaria od ad aktra autorità, la quale abbia l'obbligo di riferire all'autorità giudiziaria, certamente viene inclusa in questa seconda categoria la polizia giudiziaria.

Ci si chiede se, nel caso di una struttura gerarchica di un ente pubblico, l'ufficiale giudiziario che si trovi in posizione subordinata si liberi dall'obbligo di denuncia denunciando il fatto all'autorità giudiziaria ma non al superiore gerarchico; si ritiene che la soluzione preferibile sia quella per la quale il dovere di effettuare denuncia viene assolto una volta che il pubblico ufficiale ha datto denuncia al superiore gerarchico al quale poi spetta effettuare la denuncia all'autorità giudiziaria od alla polizia giudiziaria, quindi individuiamo tra coloro che hanno l'obbligo di denunciare all'autorità giudiziaria anche se il superiore gerarchico all'interno di una struttura complessa come può essere quella di un ente pubblico.

Cosa capita se l'obbligo di denuncia grava su più pubblici ufficiali, ossia supponiamo che più pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni vengono a conoscenza di una notizia di reato? L'obbligo di denuncia grava su tutti, però, se uno dei pubblici ufficiali ha effettuato la denuncia in modo completo viene meno a carico degli altri l'obbligo di effettuare la denuncia.

Il reato di omissione di denuncia rientra tra i reati omissivi propri. Il reato omissivo proprio va contrapposto al reato comune, che è quel tipo di reato che può essere commesso da chiunque, mentre il reato proprio può essere commesso solo dal soggetto che da determinate qualifiche giuridiche o di tipo naturalistico, nel nostro caso abbiamo un soggetto attivo che ha una qualifica di tipo giuridico, in quanto riveste il ruolo di pubblico ufficiale, quando parliamo di reato omissivo proprio intendiamo il reato che consiste nella semplice omissione, come nel caso del pubblico ufficiale che omette di effettuare la denuncia, il reato omissibo proprio è quindi un reato di pura condotta perchè si sostanzia in una condotta omissiva. Il reato omissivo improprio, invece, è quello che si costruisce utilizzando l'articolo 40 del codice penale, secondo il quale

Non impedire a qualcuno di compiere un reato equivale a cagionarlo

in combinazione con un reato d'evento e si ottiene così un reato omissivo improprio.

Una questione che si pone rispetto ai reati omissivi propri è se sia configurabile il tentativo. Antolisei sostiene che il tentativo nei reati omissivi propri sia configurabile, perchè sostiene che il reato omissivo proprio ha sempre un termine di adempimento in quanto possiamo dire che Tizio ha omesso di ... solo se ad un certo punto è scaduto un termine entro il quale doveva tenere una cerca condotta, quindi il termine di adempimento è una figura essenziale ed Antolisei e parte della dottrina sostiene che se il termine di adempimento non è ancora scaduto, il soggetto può ancora adempiere, mentre una volta che è scaduto il termine il reato è consumato, e quindi Antolisei dice che non c'è spazio per un tentativo di un reato omissivo proprio.

Ragiona in termini diversi un'altra parte della dottrina che fa il seguente ragionamento: ritiene innanzitutto che il reato omissivo proprio abbia un termine di adempimento diverso, cioè si ritiene che il reato si consuma non alla scadenza del termine, ma quando il soggetto si pone nell'impossibilità di adempiere.

Il comma 2 prevede una pena più elevata se il colpevole è un pubblico ufficiale od un agente di polizia giudiziaria che ha avuto notizia del reato per il quale doveva fare rapporto. Per questi soggetti vale la regola per cui sono considerati sempre in servizio permanente e quindi l'obbligo di denuncia di un reato grava sempre a prescindere dal modo in cui ne sono venuti a conoscenza.

L'ultimo comma prevede un limite alla responsabilità penale perchè dice che le disposizioni non si applicano se si tratta di un reato procedibile a querela della persona offesa, quindi il reato di omessa o ritardata denuncia sussiste solo per i reati perseguibili d'ufficio, non per i reati perseguibili a querela.

L'articolo 362 prevede una fattispecie che contempla una pena più ridotta quando l'omessa denuncia riguarda un incaricato di pubblico servizio, anche in questo caso sussiste solo se si tratta di reato procedibile d'ufficio e non si applica ai responsabili delle comunità terapeutiche socio-riabilitative per fatti commessi da persone tossicodipendenti abilitate per esecuzione del programma definito da un servizio pubblico. La ratio della norma sta nel fatto che i responsabili delle comunità terapeutiche che siano in convenzione con il servizio pubblico sono incaricati di pubblico servizio, quindi avrebbero l'obbligo di effettuare la denuncia dei reati dei quali sono venuti a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni. Qui viene previsto un limite alla punibilità quando si tratta di fatti commessi da persone tossicodipendenti che sono state loro affidate sulla base di un programma definito dal servizio pubblico.

Il legislatore ha inteso far prevalere l'interesse allo svolgimento del programma terapeutico perchè se il tossicodipendente sapesse che il responsabile della comunità avesse l'obbligo di denuncia verrebbe meno il rapporto fiduciario tra il responsabile della comunità ed il tossicodipendente. Ci sono in alcuni casi dei limiti all'obbligo di denuncia ed in particolare riguardano i dipendenti della Banca d'Italia e della Consob. I dipendenti della Banca d'Italia hanno il segreto d'ufficio sugli atti commessi nell'esercizio delle loro funzioni in quanto sono pubblici ufficiali e quindi se vengono a conoscenza di atti commessi nell'esercizio delle loro funzioni avrebbero l'obbligo di denuncia, l'articolo 7 del TU bancario del 1993 ed il d. lgs 385/93: prevedono che i dipendenti della Banca d'Italia hanno l'obbligo di riferire al governatore gli atti di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni anche quando tali atti assumono la veste di reati, spetta poi al governatore della Banca d'Italia la denuncia. La ragione di questo filtro risiede nel fatto che abbiamo a che fare con reati scoperti nell'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, c'è l'esigenza di fare in modo che l'autorità giudiziaria venga a conoscenza dei reati commessi ma, allo stesso tempo, vi è un'esigenza contrapposta, che è quella di evitare ripercussioni negative sul mercato. La funzione erariale è una funzione molto delicata ed allora si prevede questo filto per cui anche i reati dei quali siano venuti a conoscenza nell'esercizio delle funzioni di vigilanza non c'è l'obbligo di effettuare una denuncia all'autorità giudiziaria, ma la norma dice che il dipendente deve effettuare la denuncia esclusivamente alfovernatore della Banca d'Italia e poi spetterà a quest'ultimo riferire all'autorità giudiziaria, prendendo anche le eventuali misure cautelari opportune a tutela del sistema creditizio. Questo filtro si applica anche ai dipendenti della Consob.

I reati di omessa denuncia riguardano solo i pubblici dipendenti o gli incaricati di pubblico servizio, c'è però un'ipotesi particolare che riguarda il cittadino ed è contemplata dall'articolo 354, sui consociato non grava l'obbligo di denuncia, però quando si tratta di reati particolarmente gravi, quindi delitti contro la personalità dello Stato per i quali è previsto l'ergastolo, scatta in capo al cittadino l'obbligo di denuncia. Si tratta di una norma che è finalizzata, secondo la logica del codice Rocco, ad una tutela rafforzata della personalità dello Stato prevedendo in capo al cittadino uno specifico obbligo di denuncia.

L'ultima fattispecie omissiva è quella prevista dall'articolo 365, ossia l'omissione di referto. Anche questo delitto è un reato omissivo proprio nel senso che il soggetto attivo deve possedere una determinata qualifica, ed in questo caso si tratta dei sanitari, ossia medici, infermieri, farmacisti, veterinari.

Per individuare i reati omissivi propri è necessario che il soggetto sia dotato di una determinata qualifica. In questo caso l'articolo 365 usa il termine "chiunque" ma non bisogna confondere questo reato identificandolo come un reato comune, perchè è sufficiente interpretare la norma e cogliere gli elementi costitutivi della fattispecie contenuta nella norma dai quali si evince che si fa riferimento ai soggetti che esercitano l'attività sanitaria, quindi si parla di personale qualificato.

Qual è il presupposto perchè scatti l'obbligo di referto? Il medico deve aver prestato il servizio o l'opera in casi in cui sia presumibile si sia verificato un delitto procedibile d'ufficio. è sufficiente quindi la sola possibilità che il fatto costituisca reato. Che cosa connota diversamente il referto dalla denuncia-rapporto del pubblico ufficiale? Con il referto, il medico non si limita a denunciare all'autorità giudiziaria un fatto che può presentare gli estremi di un reato, ma inserisce una serie di considerazioni tecniche che sono particolarmente importanti perchè si tratta di notizie immediate in quanto vengono percepite subito dal medico, quindi poi nell'ambito degli atti di indagine dell'autorità giudiziaria, in questo modo quest'ultima ha modo di acquisirle immediatamente e questa è la ragione per cui l'articolo 365 punisce l'omissione di referto.

La condotta consiste nell'omettere o ritardare il referto, il quale deve essere presentato, secondo quanto ci dice il codice di procedura penale, entro 48 ore, salvo i casi in cui debba essere presentato immediatamente all'autorità giudiziaria, perchè il ritardo comprometterebbe le indagini.

Il comma 2 dell'articolo 365 prevede un limite al delitto di omissione di referto secondo il quale la norma non va applicata nel caso in cui il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Supponiamo che il medico visiti una persona ed evidenzi una serie di ferite dalle quali si evince la possibilità che la persona abbia partecipato ad una rissa. In questo caso il medico fa il referto, espone la persona assistita a procedimento penale per il reato di rissa. L'articolo 365 esclude l'obbligo di referto per tutte le volte in cui la persona assistita potrebbe essere esposta a procedimento penale

Qual è la ragione di questa norma? Il legislatore attua un bilanciamento tra due interessi contrapposti, da un lato l'interesse dell'autorità giudiziaria a venire a conoscenza della notizia di reato e dall'altra l'interesse della persona ad essere curata, un interesse quindi di natura personale. Tra i due interessi il legislatore fa prevalere il secondo, ossia l'interesse di natura personale perchè se la persona sapesse di venire coinvolta in un procedimento penale rischiando quindi di essere denunciata non si presenterebbe dal medico per farsi curare, con il rischio per l'incolumità della persona, quindi in questo caso il legislatore fa prevalere l'interesse di natura personale sull'interesse di natura pubblica.

L'articolo 366 disciplina il rifiuto di uffici legalmente dovuti. Questa fattispecie non pone particolari problemi, si tratta di determinati uffici che sono indispensabili per lo svolgimento dell'amministrazione della giustizia, e sono gli uffici di perito, interprete, custode di cose sottoposte a sequestro e testimone. Un esempio che concreta questa fattispecie è il caso di chi deve presentarsi a testimoniare ed evia tale dovere presentando un certificato falso od anche il caso di chi esercitando uno di questi uffici, rifiuta di dare le proprie generalità o di prestare giuramento o di assolvere od adempiere alle funzioni medesime, attenzione che scatta una fattispecie diversa dall'articolo 495 nel caso in cui uno di tali soggetti dia le proprie generalità false. Tra gli uffici rilevanti, il comma 2, oltre a contemplare il testimone, fa riferimento ad ogni altro soggetto chiamato ad esercitare funzioni relative all'autorità giudiziaria, ad esempio i giudici popolari della Corte d'Assise, quando si viene chiamati a svolgere tale funzione il soggetto è obbligato, salvo che abbia particolari impedimenti e quindi in caso di rifiuto viene posta in essere una delle condotte indicate dall'articolo 366.

Altre due fattispecie rilevanti sono la simulazione di reato ed il reato di calunnia, anch'esse offendono l'amministrazione della giustizia perchè portano all'autorità giudiziaria notizie di reato false, mentre le due fattispecie illustrate prima, cioè l'omissione di denuncia e l'omissione di referto, non fanno pervenire all'autorità giudiziaria la notizia di reato. Nel caso della simulazione di reato, dell'autocalunnia e della calunnia, la notizia di reato perviene all'autorità giudiziaria, ma è falsa.

L'articolo 367 disciplina la simulazione di reato. In questo caso il soggetto attivo afferma falsamente che sia avvenuto un reato. Anch'esso è un reato contro l'amministrazione della giustizia che può essere realizzato attraverso due modalità, perchè abbiamo due ipotesi di simulazione di reato. La prima ipotesi è la simulazione di reato formale detta anche verbale, la quale avviene mediante denuncia, querela, richiesta od istanza anche o sotto falso nome diretta all'autorità giudiziaria od altra autorità che a quella abbia l'obbligo di riferire, la simulazione di reato, in questo caso viene realizzata attraverso determinati atti: denuncia, in questo caso il termne denuncia viene inteso in senso ampio, intendendo qualunque atto o dichiarazione che metta a conoscenza l'autorità giudiziaria dell'esistenza di un reato, quindi non è solo una semplice denuncia, ma pensiamo anche al testimone che rende una dichiarazione testimoniale ed in questa simula un reato, anche in questo caso questa dichiarazione viene considerata, agli effetti dell'articolo 367, una denuncia, perchè quella dichiarazione viene fatta al giudice od alla polizia giudiziaria nel caso di persone informate sui fatti.

La querela viene presentata dalla persona offesa, la richiesta riguarda i reati commessi all'estero e viene presentata dal Ministro di Grazia e poi si fa riferimento all'istanza,la quale viene presentata, per i reati commessi all'estero, dalla persona offesa, quindi attenzione, non si tratta di querela perchèvi possono essere reati procedibili d'ufficio, ma se sono commessi all'estero è necessaria la presentazione da parte della persona offesa, sono tutte condizioni di procedibilità e rappresentano la prima ipotesi di condotta. La seconda ipotesi riguarda la simulazione reale, che consiste nel simulare le tracce di un reato, ad esempio immaginiamo che venga simulato un caso di effrazione, in questo caso abbiamo una condotta di tipo materiale. In entrambi i casi la norma ci dice che è necessario che la condotta sia stata posta in essere in modo da far iniziare un procedimento per accertare il reato, inoltre si tratta di una condotta che realizza un reato di pericolo concreto perchè si richiede che la condotta di simulazione sia tale che venga iniziato un procedimento penale per accertare il reato. La giurisprudenz ci dice che se la somulazione appare del tutto verosimile in modo che l'autorità giudiziaria mai procederebbe ad accertare il reato, il reato viene escluso e per quale ragione, in questo caso, dobbiamo ritenere che il reato non sussista? Si tratta di un'applicazione del principio di offensività ed in questo caso il legislatore ha dato rilevanza all'elemento dell'offensività, cioè se non c'è possibilità che inizi un procedimento penale, il reato non sussiste e la simulazione si può realizzare solo se, invece, vi è la possibilità che si instauri un procedimento penale per accertare il reato, ma cosa succede se Tizio denuncia falsamente la realizzazione di un reato e poi subito dopo ritratta quella dichiarazione? Questa condotta viene considerata dalla giurisprudenza non rilevante, cioè la giurisprudenza ci dice che la successiva ritrattazione non vale ad escludere il reato di simulazione a meno che non sia avvenuta immediatamente dopo la denuncia. Quindi se il soggetto denuncia falsamente il reato ed immediatamente ritratta la dichiarazione fatta, il procedimento penale e quindi il reato non sussiste, ma normalmente la falsa dichiarazione fatta precedentemente alla ritrattazione non esclude il reato di simulazione.

La simulazione non va confusa con il reato di calunnia, disciplinato dall'articolo 368, la differenza tra simulazione di reato e calunnia sta nel fatto che nella calunnia si incolpa di un reato qualcuno che si sa essere innocente, mentre nella simulazione di reato si denuncia falsamente un reato, ma non si accusa qualcuno, in modo specifico, di quel reato.

Le modalità di realizzazione della calunnia sono identiche a quelle della simulazione di reato, quindi anche in questo caso troviamo la calunnia formale realizzata con gli atti tipici di cui si è detto prima, oppure la calunnia reale o materiale, ad esempio quando un soggetto lascia sull'autovettura di qualcun'altro l'arma del delitto in modo che le indagini si svolgano a carico di quest'ultimo.

Nel caso della calunnia è necessario fare una riflessione a proposito dell'elemento soggettivo, la norma ci dice che il soggetto incolpa taluno che egli sa essere innocente, la questione che si pone è se la calunnia sia compatibile con il dolo eventuale, si ritiene che la calunnia sia un reato realizzsbile solo con dolo dretto, nel senso che il soggetto che effettua la falsa denuncia deve essere certo dell'innocenza in capo al soggetto incolpato, quindi si tratta di una fattispecie a dolo diretto in relazione all'elemento dell'innocenza del soggetto incolpato.

Per quale ragione viene esclusa la rilevanza del dolo eventuale? Vi sarebbe la possibilità di dolo eventuale, ad esempio, se il soggetto che denuncia si rappresentasse l'eventualità che sia stato commesso un reato e proceda con la denuncia pur non essendo che si sia verificato il reato, se la calunnia fosse punibile anche a titolo di dolo eventuale, l'effetto sarebbe di una tendenza a non presentare la denuncia per il timore poi di essere condannati a titolo di calunnia, quando viene commesso un reato ed il cittadino presenta denuncia non è detto che sappia esattamente chi ha commesso il reato e l'autorità giudiziaria pone diverse domande rispetto alle quali il cittadino dando le informazioni in cui è in possesso potrebbe indirizzare le indagini verso una determinata persona pur non essendo certi che quella persona sia effettivamente colpevole e quindi se la calunnia fosse punibile a titolo eventuale si finirebbe per disincentivare la presentazione delle denunce, perchè sarebbe molto alto il rischio di essere a propria volta denunciati a titolo di calunnia. Questa è la ragione per cui il legislatore richiede che affinchè si realizzi il reato di calunnia è necessario che il soggetto che fa la denuncia sia certo circa l'innocenza della persona che sta incolpando. Si realizza calunnia anche nel caso in cui Tizio che ha commesso un reato viene denunciato per un reato diverso, quindi se Tizio ha realizzato un furto ma poi lo si denuncia per rapina, allora in questo caso vi è calunnia. La calunnia, pur essendo simile alla simulazione sotto certi aspetti, si differenzia da quest'ultima per il fatto di non essere prevista la possibilità che inizi un procedimento penale per accertare il reato che si è denuniciato. Tuttavia, la giurisprudenza recupera tale elemento mancante dall'offensività, affermando che se la calunnia è così inverosimile da non poter dar luogo all'avvio di un provvedimento penale il reato non sussiste per mancanza di offesa all'interesse protetto e quindi anche in questo caso si valorizza il principio di offensività in concreto.

Quali sono gli interessi tutelati nel reato di calunnia? La calunnia è un reato plurioffensivo perchè tutela certamente l'amministrazione della giustizia in quanto la norma è finalizzata al fatto di evitare che siano portate all'autorità giudiziaria false denunce, attenzione però al fatto che la calunnia offende anche un interesse di natura personale, ossia l'interesse del soggetto falsamente denunciato che è condannato o sottoposto a misure cautelari e questo spiega perchè l'articolo 368 prevede una pena più elevata rispetto a quella prevista per il reato di simulazione. L'ultimo comma dell'articolo 368 prevede che la reclusione sia da 4 a 12 anni se dal fatto derivi una condanna alla reclusione superiore a 5 anni e da 6 a 20 anni se dal fatto derivi una condanna all'ergastolo, la natura giuridica di quest'ultimo comma è che si tratta di un reato aggravato dall'evento e quindi pone tutto il problema relativo all'imputazione dell'evento aggravatorio in quanto, voi sapete che i reati aggravati dall'evento sono dei cas che vengono tradizionalmente considerati casi di responsabilità oggettiva, ossia l'evento aggravatorio viene imputato obbiettivamente al soggetto. La giurisprudenza considera questi reati aggravati dall'evento delle circostanze del reato e rientrano nel giudizio di bilanciamento ed essendo circostanze aggravanti da un punto di vista soggettivo si richiede che il soggetto le conosca e quindi che il soggetto si rappresenti che dalla calunnia possa derovare una condanna ad una pena così elevata o che sia quantomeno in colpa e ciò per il fatto che l'articolo 9 prevede per le circostanze un criterio di imputazione in cui c'è il dolo o la colpa relativamente all'elemento circostanziale; in relazione al delitto di calunnia si discute molto cosa capita se il reato oggetto di falsa incolpazione viene abrogato dal legislatore o più correttamente quando il reato oggetto di falsa incolpazione è oggetto di abolitio criminis nel senso che non c'è un'abolitio del reato di calunnia ma l'abolitio criminis interessa il reato di falsa incolpazione, furono molto note le sentenze per cui il problema venne dibattuto e riguardano un problema di falsa incolpazione di appartenenza a banda partigiana durante il periodo dell'occupazione tedesca durante il quale appartenere a banda partigiana costituiva reato, che succede quando al termine della guerra appartenere a banda partigiana non costituiva più reato? Qui abbiamo un'ipotesi di abolitio criminis in relazione al reato oggettivo di falsa incolpazione, la questione qui è se sia applicabile l'articolo 2 del codice penale, se lo riteniamo applicabile, allora Tizio che ha presentato la falsa denuncia non dovrebbe risponderne, tuttavia, la giurisprudenza rispetto alle modifiche mediate si è pronunciata in questo modo: in presenza di queste modifiche mediate non è possibile applicare l'articolo 2 del codice penale per cui il soggetto continua a rispondere di calunnia, attraverso quale ragionamento?

Il ragionamento che si segue è quello per cui nonostante la modifica mediata non viene meno il disvalore del fatto, quando si realizza un'abolitio criminis viene meno il disvalore del fatto mentre con la modifica mediata non viene meno il disvalore del fatto perchè gli interessi tutelati dalla norma incriminatrice sono stati comunque offesi e nel nostro caso il reato ha connotazione plurioffensiva ed allora la falsa denuncia ha messo in azione l'autorità giudiziaria in quanto quest'ultima ha cominciato a fare attività d'indagine, in secondo luogo l'interesse della persona accusata è stato messo in pericolo e quindi si tratta di interessi che sono stati ugualmente offesi nonostante sia intervenuta una modifica mediata, dunque, in questo caso, la giurisprudenza diche che la modifica mediata non determina abolitio criminis.

L'articolo 369 punisce il reato di autocalunnia. Esso si sostanzia sia per l'incolparsi di un reato non avvenuto sia per l'incolparsi di un reato che è avvenuto ma che altri hanno commesso. In questo caso si ha offesa al solo interesse dell'amministrazione della giustizia, quindi non s tratta di un reato plurioffensivo e questo perchè è il soggetto che si autocalunnia, infatti, anche la pena è dimezzata rispetto alla pena prevista per il reato di calunnia. Infine, a proposito della calunnia, sappiamo che l'imputato nel procedimento penale non ha l'obbligo per dire la verità, a differenza del testimone, però nelle proprie dichiarazioni non può commettere calunnia, la dichiarazione dell'imputato viene considerata una denuncia. Se la dichiarazione fatta dal teste anche in questo caso non può effettuare nessuna calunnia, quindi il tese se con la propria dichiarazione accusa falsamente di un reato un soggetto che sa essere innocente, viene incolpato sia per falsa testimonianza sia per calunnia. Il falso giuramento è punito in ragione del particolare valore probatorio che il giuramento ha nell'ambito del processo civile.

L'importanza di questa tipologia di prova nel processo civile fa sì che il legislatore sul piano penale abbia previsto una specifica sanzione per punire il falso giuramento.

Associazione di tipo mafioso.[]

L'associazione di tipo mafioso si ha quando un'organizzazione criminale utilizza la sua forza di intimidazione derivante dal tipo di organizzazione o vincolo criminale, per determinare una situazione di soggezione ed omertà nella popolazione che risiede in un determinato territorio.

L'intimidazione riguarda l'esterno dell'organizzazione, cioè nei confronti di coloro che operano all'interno di un certo settore del territorio nazionale, ma può riguardare anche l'interno dell'organizzazione in quanto le forme di organizzazione criminale, dovendosi assicurare la fedeltà assoluta di coloro che operano all'interno dell'organizzazione, utilizzando l'intimidazione all'interno, di modo che gli affiliati non tendano ad uscire dall'organizzazione od a collaborare con la giustizia coinvolgendo l'organizzazione medesima.

Anzi, molte volte la reazione dell'organizzazione nei confronti di coloro che, facendone parte, secondo l'ottica criminale, la tradiscono collaborando con la giustizia, ciò viene considerato un crimine interno estremamente pesante, punito con le sanzioni massime: uccisione dei parenti o distruzione delle ricchezze. Tant'è che lo Stato quando ha cominciato a prendere piede il fenomeno della collaborazione in ambito mafioso, ha dovuto provvedere con una legge apposita, per la protezione dei collaboratori di giustizia, che rischiavano loro e le loro famiglie delle reazioni durissime da parte delle organizzazioni di cui avevano fatto parte.

La finalità dell'associazione di tipo mafioso da un lato è la finalità tipica dell'associazione a delinquere, cioè lo scopo di commettere reati.

Vi è l'indicazione di tutta una serie di finalità alternative, più specificamente identificabili nella gestione e controllo dell'attività economica, nel procacciamento di concessioni ed autorizzazioni amministrative o di appalti, nel perseguire un profitto ingiusto, dell'inserirsi nella competizione elettarale con un fenomeno di voti di scambio, di turbativa di elezioni favorendo determinati candidati rispetto ad altri per crearsi un background di appoggio nella vita politico - amministrativa. Sono finalità che a loro volta concretano un reato, ad esempio chi riesce a turbare una gara pubblica per il delitto di turbativa d'asta oppure delitto di abuso d'ufficio da parte del pubblico ufficiale. Chi interviene in maniera illecita nell'attività imprenditoriale potrà violare l'omessa concorrenza e realizzare specifiche figure delittuose.

Qualcuno ha detto che si tratta comunque di attività illecite, normalmente esse raggiungono il livello del crimine. Questo è vero, ma l'importante è che nella tipizzazione del crimine, il legislatore, accanto alla commissione dei reati, abbia voluto indicare quelle specifiche attività che sono sintomatiche dell'operatività della mafia un un dato territorio in sè, indipendentemente dal loro profilo criminoso. Nel senso che, una volta individuata che la finalità dell'associazione era quella indicata dalla legge, indipendentemente dalla qualificazione in concreto, del fatto perseguito fosse o meno reato, si può configurare l'associazione criminosa.

Articolo 416 bis comma 3: indica gli scopi, ma non richiede che essi siano raggiunti perchè ci sia associazione, l'importante è che l'associazione tenda ad una di queste finalità.

Articolo 416 bis comma 4: previsione della circostanza aggravante, è comune a molte altre associazioni criminali. Se l'associazione è armata, la pena è identificata in termini più elevati.

Il problema è se ad un reato associativo possa concorrere ai sensi dell'articolo 110 del codice penale una persona che non fa parte dell'associazione.

Il problema può essere affrontato in termini e dimensioni rigorosamente tecniche. In realtà questo problema che era originariamente, prima che venisse ampliamente utilizzata nella pratica giudiziaria nella fattispecie di associazione mafiosa, impostato in modo puramente tecnico, era diventato con riferimento all'associazione criminale mafiosa, un problema politico di notevole rilievo.

L'articolo 416 bis introdotto nel codice penale dalla legge 13 settembre 1982 numero 646 ed integrato dall'articolo 11 bis della legge 1992 numero 356 incrimina chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone.

I connotati di tale associazione sono la particolare forza intimidatrice del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.

Sono previste sanzioni più gravi per i dirigenti, promotori od organizzatori nonchènel caso che l'associazione sia armata, intendendosi per tale quella i cui partecipanti siano in grado di realizzare i fini in quanto hanno a disposizione armi o materie esplodenti, pur se soltanto depositate od occultate. Un ulteriore aumento di pena si ha quando le attività economiche, assunte o controllate dagli associati vengono finanziate in tutto od in parte con il prezzo, il prodotto od il profitto di delitti.

Questo delitto presenta notevoli affinità con quello di associazione a delinquere di cui all'articolo 416. Identica è la ratio, uguale il numero minimo di associati, analogo l'aumento di pena per capi, promotori ed organizzatori, pur se tutte le sanzioni sono accresciute.

Se il reato in esame ha natura permanente perchè stabile vi è il vincolo associativo, ciò che lo distingue è il venir meno dell'indispensabilità della prova di un carattere tipico di quella figura criminosa; la finalità di realizzare più specifici delitti.

La finalità di arricchimento dei componenti della consorteria sfruttando rapporti di dipendenza personale a tutti i livelli ha fissato l'attenzione della legge sul carattere prevaricante rispetto alle componenti sociali non mafiose all'interno e volto a manifestarsi all'esterno in forme di attività imprenditoriale o paraimprenditoriale.

Non basta all'esistenza del reato il mero accordo, occorre una struttura organizzativa che l'articolo in esame, pur così propenso alle specificazioni, non definisce. Proprio l'esigenza della prova di quelle manifestazioni fa prevedere il persistere di quelle notevoli difficoltà di accertamento della legge 13 settembre 1982 numero 646 si era proposta di superare.

Il delitto ha carattere permanente e mentre esso si consuma con l'ingresso nell'associazione, la consumazione si protrae sino a quando non intervenga lo scioglimento o l'abbandono da parte del soggetto attivo.

Il dolo consiste nella volontà di essere associato, entranto nella consorteria o rimanendovi, e nella coscienza delle caratteristiche e finalità di quest'ultima.

Costituiscono aggravanti speciali: l'aver promosso, diretto od organizzato l'associazione; l'avere i partecipanti la disponibilità di armi o materie esplodenti, con previsione di ulteriore aggravamento di pena per i promotori, dirigenti ed organizzatori; il finanziamento di attività economiche con il prezzo, il prodotto od il profitto di delitti.

Le sanzioni per i capi, promotori od organizzatori sono la reclusione da 4 a 9 anni se l'associazione non è armata, da 5 a 15 anni se lo è. Per i semplici gregari è la reclusione da 3 a 6 anni nel primo caso e da 4 a 10 anni nel secondo. Pene tutte aumentate da un terzo alla metà se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo risultino finanziate in tutto od in parte con il prezzo, il prodotto od il profitto di delitti. Un ulteriore aumento da un terzo alla metà opera se il fatto è commesso durante l'applicazione di una misura di sicurezza e sino a 3 anni dopo.

è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego.

Sono effetti penali della condanna la decadenza delle licenze di polizia, di commercio, di concessionario astatore presso i mercati annonari, la revoca delle concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti, la cancellazione dagli albi degli appaltatori di opere o forniture pubbliche.

Il problema tecnico qual è?[]

Il reato associativo è un reato plurisoggettivo o concorso necessario di persone.

Nel nostro ordinamento, l'articolo 110 del codice penale prevede il concorso eventuale di persone, un reato che può essere monosoggettivo e che può essere realizzato da una pluralità di persone che si organizzano per realizzare una pluralità di reati. è possibile configurare un concorso eventuale alla realizzazione delle fattispecie associative; badate bene, concorso a fattispecie associative, noi possiamo avere dei concorsi alla realizzazione di reati scopo, cioè dei singoli omicidi, furti, rapine. Possiamo anche configurare che vi siano dei concorrenti alla realizzazione del reato che non fanno parte dell'associazione.

Una cosa è il concorso alla rapina, all'omicidio, al furto, altra cosa è un concorso eventuale al reato associativo da chi non ne fa parte.

Il problema è stato affrontato originariamente in termini esclusivamente tecnici: per qualcuno si diveva: è impensabile che si possa avere un concorso eventuale del reato associativo perchè o la persona contribuisce all'attività dell'organizzazione in qualche modo ed allora automaticamente nel diventa associato, o la persona non partecipa all'attività ed allora non è associato e nemmeno concorrente eventuale.

Altri non concordano sulla posizione: si possono avere diverse categorie di persone, quelle che hanno effettivamente stretto un patto, sono entrati in rapporto di vincolo associativo, si sono strutturalmente inserite nell'organizzazione creandola, organizzandola o si sono messi a disposizione dell'organizzazione per la realizzazione di una serie di reati scopo di realizzare dei fini criminosi.

Dopodichè ci sono persone che non sono assolutamente entrate a far parte dell'organizzazione strutturale dell'associazione, ma che hanno apportato degli sporadici contributi alla vita dell'associazione, per esempio hanno fornito la tecnologia necessaria perchè si potesse organizzare il furto in un cavò della banca, hanno fornito armi o per un periodo limitato si sono occupati della logistica ma non sono entrati a far parte dell'organizzazione. Allora si diceva che questi non possono essere associati a delinquere.

A certe condizioni possono essere considerate persone che hanno concorso ad un pezzo di vita - attività dell'associazione a delinquere.

In ques'ottica li possiamo considerare concorrenti eventuali dell'associazione.

In realtà negli anni '90, vi sono quattro o cinque sentenze sull'associazione a delinquere, alcune erano favorevoli, altre sfavorevoli nel riconoscere la possibilità di configurare un concorso eventuale del reato associativo sulla base dei discorsi puramente tecnici.

Ad un certo punto l'istituto del concorso eventuale è venuto ad impattare con la nuova fattispecie di associazione di tipo mafioso e quando si è verificato questo impatto, il problema è diventato caldissimo, di valore politico, perchè bisogna guardare come opera la mafia in certe zone del nostro territorio nazionale.

La mafia è un'organizzazione pervasiva, che occupa il territorio, usa l'intimidazione, che ottiene l'assoggettamento e l'omertà ed opera in maniera molto pesante nei confronti della cittadinanza.

La mafia, per realizzare i suoi scopi, criminosi e non, ha bisogno di un sottobosco, deve riuscire ad avere radici nella società, appoggi o comunque la possibilità di ottenere favori da parte di coloro che operano nei diversi settori della società civile, nel territorio.

E vi sono molte persone che perchè sono intimorite dalla forza intimidatrice della mafia o perchè nel rapporto con l'organizzazione mafiosa potranno avere vantaggi economici e non di rilievo, per cui possono essere disposti ad interagire con l'associazione mafiosa.

La magistratura palermitana, in particolare la Procura di Palermo, ha riflettuto la cosiddetta zona grigia che sta attorno all'organizzazione criminale. Ci si chiede di che cosa ha bisogno l'organizzazione criminale:

  • Di professionisti che facciano determinate pratiche.
  • Di politici che di volta in volta aiutano a vincere un appalto od una concessione.
  • Di magistrati che chiudano un occhio in certi momenti ed abbiano un occhio di riguardo o dando delle pene basse.
  • Di imprenditori che interagiscono con loro, che diano lavori in subappalto, acquistino ghiaia in certe cave piuttosto che in altre, che facciano assunzioni apparenti di personale per dare una rete di attività legali a persone che non lavorano poi nell'impresa, ma fanno parte dell'associazione criminale. C'è una copertura fittizia da parte dell'imprenditore che li assume in maniera fittizia, oppure dà la disponibilità di impiegare i propri camion.

Queste persone, che non fanno parte strutturalmente dell'organizzazione mafiosa ma che ad un certo punto vengono ad interagire con essa, come sono da qualificare?

Si è cominciato a dire che queste persone nella zona grigia dei fiancheggiatori della mafia o di persone che apportano contributi utili al funzionamento mafioso, possiamo usare nei loro confronti lo strumento del concorso eventuale dell'organizzazione mafiosa?

Si comincia ad elaborare questo concetto, volgarmente detto concorso esterno all'organizzazione criminale mafiosa.

Come nasce il concorso esterno.[]

Nasce dal discorso in termini tecnici se è ammissibile o non ammissibile il concorso eventuale in un reato associativo, ma diventa ad un certo punto uno strumento ampiamente utilizzato dalle Procure della Repubblica che operano nei territori mafiosi per cercare di colpire, indipendentemente dall'acertamento della partecipazione organica di certi soggetti all'organizzazione criminale, persone che hanno prestato o prestano specifici contributi all'attività della mafia, una volta individuato lo strumento giuridico che consentiva alle Procure della Repubblica di penetrare in questa zona grigia con un mezzo forte come in concorso in associazione mafiosa, significava applicare a queste persone la stessa pena prevista per coloro che facevano parte dell'associazione criminale.

è uno strumento efficacissimo perchè la magistratura non doveva provare l'affectio societatis, l'appartenenza strutturale all'associazione criminosa, ma solo che un certo soggetto sicuramente non appartiene alla mafia, ma aveva in qualche modo favorito l'organizzazione.

Si legge sui giornali: bisogna abrogare la fattispecie del concorso esterno, ma non esiste un reato di concorso esterno: esiste un reato di associazione mafiosa, e poi esiste la configurabilità, prevista dalla giurisprudenza, del concorso eventuale del reato associativo.

Articoli 110 - 416 bis del codice penale: concorso esterno.

La norma dovrebbe prevedere che sia vietato punire per concorso eventuale nel reato associativo e non abroghiamo, perchè non c'è una norma sul concorso eventuale.

Una volta che ha preso piede la tesi favorevole a riconoscere il concorso esterno in associazione mafiosa, il problema è diventato stabilire e tracciare i requisiti di questo coinvolgimento. Quando si può ritenere che un soggetto che ha interagito con la mafia ne è divenuto concorrente eventuale alla realizzazione del delitto di associazione mafiosa.

In pratica i problemi erano rilevanti e com'era formulata, all'inizio la magistratura della presenza od insussistenza del concorso eventuale di reato. C'era difficoltà nell'individuare esattamente il momento in cui nasceva il concorso eventuale nel reato associativo, tempi che sono legati alla pratica di ciò che è avvenuto e continua ad avvenire nel nostro meridione.

Rapporto mafia - imprenditoria: qual è il modo in cui la mafia avvicina il mondo dell'imprenditoria e del commercio?[]

Il commerciante o l'imprenditore vengono contattati subendo il pizzo, minacciati di gravi danni se non pagano una percentuale rispetto al fatturato all'organizzazione che opera nella zona. è fonte di ottimo guadagno, molti imprenditori sono stati ammazzati perchè si opponevano ad esso, per cui altri preferiscono pagare ed instaurare un rapporto continuativo.

Ad un certo punto l'imprenditore incomincia ad interagire con l'organizzazione mafiosa, cercando di ottenere degli sconti sul prezzo. Lo abbassa non per filantropia, ma nel quadro di un rapporto sinallagmatico.

La mafia farà degli sconti sul prezzo da pagare, ma in cambio potrà chiedere altro, tipo l'assunzione di persone che non lavoreranno mai, le tipiche assunzioni di copertura. Oppure se l'impresa ha bisogno di dare dei lavori in subappalto, lo darà alle imprese indicate dalla mafia.

Si instaura un rapporto che non è soltanto di soggezione ovvero la violenza, la minaccia, le pressioni per il pagare ma minaccia ad essere: subiscono le pressioni e nell'ambito di questa pressione lo pago, intanto riesco ad ottenere dei vantaggi per pagare meno dando alla mafia dei contraccambi.

La magistratura ha cominciato a dire che: nel momento in cui l'imprenditore non si limita più ad avere un rapporto con la mafia di mera esecuzione di pagamento ma comincia ad interagire, ponendo quindi dei vantaggi alla mafia che si chiede, quando diventa un rapporto dall'imprenditore vittima dell'estorsione all'imprenditore che può considerarsi un imprenditore che contribuisce alla vita dell'associazione. Insomma quando scatta? Quando assume la persona o presta il camion. Quand'è che l'imprenditore dall'onere di pagare il pizzo viene ad avere dei vantaggi nell'attività imprenditoriale con la mafia, per esempio dato che quell'imprenditore si sa che darà in subappalto all'associazione mafiosa i lavori, gli fa vincere tutti gli appalti. A questa vincita interviene la stessa mafia a cui poi l'imprenditore cederà il subappalto.

Rapporti mafia - politici.[]

Normalmente coloro che si presentano all'elezione, regionali, comunali, poi nazionali, il rapporto nasce nel momento delle elezioni. La mafia controlla un numero importante di voti, canalizza più voti a favore di determinati candidati.

La magistratura arriva a considerare che se un politico aveva i voti della mafia, automaticamente era concorrente esterno alla mafia.

Ci si chiede quando questo politico potrà essere considerato concorrente esterno alla mafia. Quando dà qualcosa alla mafia contribuendo all'attività mafiosa.

Ma per riconoscere la qualità di concorrente esterno alla mafia di un politico è sufficiente accertare il voto mafioso o no?

Inizialmente molte sentenze hanno affermato che era sufficiente dimostrare il voto mafioso sulla base dell'esperienza: dato che la mafia non regala mai nulla in cambio di nulla, se tu politico hai accettato il voto mafioso anche se non l'hai esplicitato, ti sei implicitamente messo a disposizione della mafia. Anche se nel momento in cui ti ha dato i voti non ti ha chiesto nulla, il politico non poteva non sapere che in seguito la mafia gli avrebbe chiesto un favore a cui non vi sarebbe potuto sottrarre.

La mafia nella Prima Repubblica appoggiava in Sicilia candidati della DC, ci furono delle elezioni in cui i voti della mafia invece vennero dirottati verso l'onorevole Martelli, socialista, allora secondo il ragionamento di prima sarebbe dovuto essere concorrente esterno alla mafia, ma non regge un ragionamento così sul piano probatorio.

Allora si è cominciato a dire che non basta per accertare se un politico è concorrente alla mafia, se ha ricevuto i voti mafiosi, ma che effettivamente si è impegnato a fare qualcosa in favore della mafia e poi l'ha fatto.

Problema più delicato sul ruolo della professione.[]

Non riguarda gli avvocati, difendere un mafioso consiste in un ruolo che gli compete per l'esercizio della professione, di certo non può portare messaggi del mafioso da dentro a fuori al carcere per trasferire notizia all'associazione.

Caso del commercalista che studia un modo particolarmente raffinato per riuscire a realizzare una grossa operazione di riciclaggio di denaro proveniente dall'illecito mafioso. Sa benissimo che la sua attività raffinata, mette a disposizione la sua capacità tecnica particolare e le sue conoscenze per realizzare questa operazione di riciclaggio.

Allora cos'è un concorrente esterno? Non è nella sua competenza?[]

Oppure il medico chiamato a curare un mafioso ferito in un conflitto a fuoco deve farlo altrimenti può essere denunciato per omissione di soccorso. Il medico che scopre un reato nell'esercizio della sua funzione è obbligato a fare referto tranne che se il referto esponga a scoperta e cattura l'assistito. In questo caso il medico è legittimato, anzi obbligato, a non fare referto perchè l'integrità fisica è un bene prioritario più della persecuzione dei criminali, il medico è obbligato per il segreto professionale, a non riferire all'autorità giudiziaria fatti di reato che andrebbero a carico della persona che deve curare. In questo caso il medico è coperto.

Ma il medico che viene chiamato per fare una diagnosi menzognera per riuscire a favorire dei salvacondotti a dei mafiosi in carcere, c'è il concorso esterno?

Quando agli inizi del 2000 la giurisprudenza ha iniziato ad utilizzare la figura del concorso esterno, ci sono state una serie di decisioni da parte dei giudici di merito e poi della Cassazione estremamente differenziate tra loro. Certi giudici interpretano come volevano. Si trattava quindi di valutare dei requisiti per cui una persona che non faceva parte dell'organizzazione poteva essere chiamata, ove avesse apportato un qualsiasi contributo all'organizzazione.

Quali sono i requisiti?[]

L'articolo 110 è una norma molto ampia: risponde in concorso eventuale di reato chiunque contribuisce alla realizzazione di questo reato. L'unico criterio che consente di individuare chi è concorrente eventuale di un reato è costituito dal criterio causale: bisogna provare che un soggetto con la propria condotta personale ha apportato un contributo causale alla realizzazione del reato.

Se si dimostra il contributo causale sarà possibile che uan persona sia condannata per concorso eventuale.

è un criterio gestibile quando si tratta della realizzazione di singoli reati: stabilire se una persona ha apportato un contributo causale all'omicidio, può essere fattibile, se ha istigato, ha datto da palo. Una volta verificata la condotta che ha mantenuto si può stabilire se quella condotta ha contribuito sul piano del rapporto causale alla realizzazione dell'evento.

Col riferimento al reato associativo il discorso è molto impalpabile, quand'è che possiamo dire che il contatto od il contributo di un singolo soggetto che non faceva parte dell'associazione, dà un contributo causale al rafforzamento dell'organizzazione stessa?

La giurisprudenza è arrivata ad affermare dei criteri. Dalla frammentarietà della sentenza della Cassazione per uniformare la decisione in tema di legittimità, intervengono le Sezioni Unite. Sono intervenute tre volte e la giurisprudenza che spetta alla Corte di Cassazione che è il giudice tipicamente demandato alla soluzione dei problemi di interpretazione della legge penale, evidenzia il contenuto reale della norma penale.

La norma reale è quella che esce dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione ed in particolare nell'attività delle Sezioni Unite.

Prima volta: 1994, Sentenza Dimitri. Il problema di fondo era ancora a monte, c'erano disparità di vedute in ordine alla riconoscibilità o non riconoscibilità di impiego dell'articolo 110 per i reati associativi. Il problema grosso per la Cassazione a Sezioni Unite è la configurabilità del concorso eventuale nel reato associativo. Non si era arrivati a definire il quadro.

Secondo intervento sul merito: a che condizione si può punire la persona per concorso esterno? C'è stata una pronuncia su un caso in cui era coinvolta una persona importante, il magistrato Carnevale, Presidente della Prima Corte di Cassazione.

L0irganizzazione del lavoro della Cassazione era divisa per materia: la V si occupa di reati contro la persona (diffamazione), la III dei reati urbanistici, la I delle organizzazioni criminali e mafiosa dei processi penali di reati mafiosi e reati scopo. Tutte le questioni che riguardano le misure cautelari per i mafiosi.

Le decisioni della I Sezione, presiedute dal Presidente Carnevale, vengono considerate di eccessivo garantismo, aveva fatto saltare una serie di sentenze di condanna in relazione ad azioni mafiose attraverso dati marginali, assolutamente formali, determinando la scarcerazione di una serie di mafiosi.

La Procura di Palermo ha aperto un procedimento penale, ha indagato ed accusato Carnevale di aver clamorosamente favorito la mafia attraverso la sua attività giudiziaria, con sentenze che hanno permesso la scarcerazione di criminali importanti.

Vicende processuali: arriva in Cassazione che a Sezioni Unite arriva a fissare dei criteri e fu allontanato, con la sentenza delle Sezioni Unite è stato assolto ed integrato.

Da questo fatto si è tolta alla Prima Sezione la riserva della materia dei reati di mafia ed è stata distribuita in quattro sezioni diverse.

Nel 2005, terzo intervento con un imputato eccellente, il Senatore Mannino, coinvolto come concorrente esterno in associazione mafiosa, assolto in primo grado, condannato in secondo grado ed annullamento da parte della Cassazione a Sezioni Unite.

Il contenuto delle sentenze 2002 - 2005 è rilevante per l'identificazione dei criteri, la sentenza 1994 è stata importante a monte, ha detto che il concorso eventuale nel reato associativo è configurabile e a quel momento la giurisprudenza si è orientata nel riconoscere la rilevanza di questo istituto.

Fino al 2002 quando c'era incertezza ad esempio la Procura di Palermo ha deciso di indagare nei confronti del Senatore Andreotti, inizialmente aveva ipotizzato nel capo di imputazione mafiosa. Alcuni mesi dipo la configurazione di questo capo d'imputazione, era intervenuta una sentenza della Cassazione che aveva negato la possibilità del concorso esterno. L'argomentazione era: od una persona è concorrente necessario o non è nulla. Deve contribuire in maniera rilevante per appartenere alla mafia.

Sentenza Dimitri: è la sentenza delle Sezioni Unite che ha chiarito che anche con riferimento ai reati associativi era possibile ritenere applicabile l'articolo 110 del codice penale, la giurisprudenza si è orientata pacificamente a riconoscere l'istituto.

In questa fase, le Procure della Repubblica erano molto caute nel contestare il concorso esterno. è proprio con riferimento ad uno dei processi, il processo Boscolo, impostati dalla Procura della Repubblica di Palermo su questa materia e specialmente nel processo Andreotti, la Procura della Repubblica inizialmente pareva ragionevolmente orientata a fornire il capo di imputazione di concorso esterno. Dopo che la Cassazione si era pronunciata un paio di volte nel senso dell'inconfigurabilità di questo istituto, la Procura di Palermo ha cambiato capo d'imputazione, ed ha comportato una serie di problemi perchè provare il mero contributo dall'esterno alla vita dell'associazione. Comunque, nell'incertezza, le Procure della Repubblica cercavano di contestare l'associazione, persone che poco credibilmente facevano parte dell'orfanizzazione criminale.

Dopo la sentenza Dimitri, questo problema non ha più avuto ragione di essere discusso e ci si è pacificamente orientati nel riconoscere una contestazione in riferimento all'articolo 416 bis, concorso eventuale in associazione di tipo mafioso.

I problemi però sono rimasti ancora molto grandi, perchè si trattava di definire i requisiti ai quali era subordinata la configurabilità di una persona qualificabile come concorrente esterno, cioè di una persona che non facendo sicuramente parte dell'organizzazione, della struttura dell'organizzazione criminale, era entrata nel corso della sua attività in contatto con l'organizzazione stessa. Il problema era particolarmente delicato perchè per gli operatori professionali, economici e politici di determinate zone italiane, operare senza entrare in contatto con ambienti mafiosi era particolarmente impossibile, data la pervasività dell'organizzazione.

Alcuni commentatori hanno sempre sottolineato l'importanza dell'utilizzazione dello strumento del concorso eventuale in reato associativo per penetrare pesantemente con lo strumento penale nel mondo dei fiancheggiatori della mafia, che era tutto quel mondo che costituiva un grossissimo supporto all'azione mafiosa ed all'acquisizione di ricchezze da parte della mafia.

Ed allora si sono sviluppati diversi orientamenti. Un primo orientamento che tendeva a riconoscere la responsabilità penale (bastava che la persona avesse rapporti con la mafia perchè potesse essere coinvolta sul terreno del concorso nell'organizzazione).

Pian piano si sono fatte strada dei tentativi più specifici e concreti. Non ci si accontentava del contatto con la mafia, ma si è cercato di stabilire quali erano sul terreno causale gli elementi che consentivano di coinvolgere un professionista, un politico, un imprenditore sul terreno della responsabilità penale.

Perchè dico sul piano causale? Perchè il presupposto per una responsabilità ex articolo 110 codice penale, che stabilisce genericamente che fonte di responsabilità per un reato è stata individuata proprio sul terreno causale. Ed allora si è detto che deve valere anche nei confronti del reato associativo.

Ed allora il problema qual è stato? Che cos'è che consente di dire che un concorrente esterno ha apportato un contributo causale all'organizzazione criminale? Qui non si tratta del contributo abituale di un reato specifico e definito. Evidentemente si tratta di un contributo causale all'associazione.

Nella definizione di questo concetto hanno contribuito in maniera decisiva due sentenze importantissime delle Sezioni Unite. La prima è la sentenza Carnevale, la seconda è la cosiddetta sentenza Mannino.

La sentenza Carnevale è del 30 ottobre 2002. Carnevale era stato assolto in primo grado, condannato in appello. Perchè sono intervenute le Sezioni Unite? Le Sezioni Unite intervengono quando c'è un contrasto giurisprudenziale. Prima della sentenza Carnevale, le diverse sezioni della Cassazione, od anche diverse pronunce della stessa Sezione avevano assunto atteggiamenti diversi nei confronti del concorso esterno ed avevano previsto soprattutto in maniera più o meno ampia. Ecco che allora intervengono le Sezioni Unite. Non è forse un caso che le Sezioni Unite sono intervenute con riferimento al caso Carnevale. Carnevale era uno dei più noti magistrati della Corte di Cassazione estremamente rigoristica formale delle norme di procedura penale, cioè Carnevale riteneva che ogni vizio, anche minimo, che si fosse riscontrato nell'iter procedimental, dalle indagini preliminari fino all'appello, nei processi riguardanti le organizzazioni criminose, evidentemente è facile con tanti imputati e tanti difensori, cadere in qualche profilo di vizio formale. è chiaro che se si assume un atteggiamento estremamente rigoroso, è molto facile andare in Corte di Cassazione ed annullare per vizio formale dell'iter. Di fronte all'estrema corposità delle sentenze annullate, il Governo è intervenuto, il Ministero della Giustizia ha chiesto che si facesse un monitoraggio su ciò che era accaduto nelle sentenze della Prima Sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Carnevale, e sull'onda di questa reazione dapprima si è stabilito il principio secondo cui le sentenze riguardanti le organizzazioni criminali non fossero più riservate, come erano fino ad allora, alla Prima Sezione, ma fossero distribuite a quattro delle sei sezioni penali della Corte di Cassazione. Carnevale, secondo quanto raccolto nella biografia di Casolaghi, stava aspettando con ansia il famoso processo, cosiddetto maxi processo, contro la mafia, che era il primo grosso risultato delle indagini di Falcone, e questo processo, essendo ormai intervenuto il criterio di rotazione, è stato affidato ad una sezione diversa dalla Prima, la quale per la prima volta ha confermato la sentenza di condanna di una serie enorme di boss mafiosi. Che cosa ha stabilito la sentenza Carnevale?

In tema di reati associativi, nella fattispecie associazione di tipo mafioso, è configurabile il concorso cosiddetto esterno in capo alla persona che, prva dell'affectio societatis e non inclusa nella struttura organizzativa del sodalizio (cioè non è parte strutturale dell'organizzazione) fornisce un contributo concreto e specifico, consapevole e volontario, indifferentemente occasionale o continuativo (quindi tu imprenditore, professionista, politico devi fornire col tuo contatto mafioso un contributo, che deve essere concreto, specifico ed evidentemente consapevole, ma la consapevolezza e la volontarietà di solito erano scontati, il problema era individuare in che cosa consisteva esattamente il contributo all'organizzazione mafiosa, quindi la sentenza della Sezione della Cassazione comincia a dire che non basta la presunzione del contributo ma bisogna provare che c'è stato un contributo concreto e specifico, e quindi se il Procuratore della Repubblica in sede di indagine non riesce a portare degli elementi che provano questo contributo specifico il giudice non può richiedere un rinvio a giudicare e poi condannare per concorso esterno; il contributo può essere occasionale, cioè non si richiede che una persona continuativamente apporti un contributo all'organizzazione mafiosa, basta anche un contributo occasionale), purchè detto contributo abbia un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione e l'agente si rappresenti questa efficienza causale in termini di provata consapevolezza (cioè tu giudice può condannare per concorso esterno soltanto se l'esterno e non l'associato abbia apportato un contributo causale al reato).

Quindi, come dice la sentenza Carnevale, bisogna accertare concretamente il contributo causale per la salvezza od il rafforzamento dell'organizzazione. Il che vuol dire che un commercialista od un ragioniere che fa i conti o compila i documenti per la dichiarazione dei redditi di associati dell'organizzazione criminale non necessariamente per questo contribuiscono a rafforzare l'organizzazione, fanno dei lavori di routine che chiunque potrebbe fare, ma se un professionista è particolarmente attrezzato negli spostamenti di denaro da un Paese all'altro, se ha le entrature giuste nei paradisi finanziari, se è in grado di penetrare nei terminali di alcune banche straniere, nelle banche svizzere, e questo professionista si presta a trasferire ingenti capitali di provenienza illecita, mafiosi, in queste banche straniere, quale premessa di operazioni di riciclaggio, qui chiaramente l'attività di questo professionista diventa molto diversa sul piano dell'efficienza causale, perchè nel momento in cui la mafia evidentemente ha cominciato ad acquisire dei redditi o dei proventi illeciti molto massicci per effetto delle proprie attività, non opera solo nel terreno dei taglieggiamenti delle campagne o degli appalti, ma soprattutto dei proventi del traffico di stupefacenti, ha evidentemente l'esigenza di collocare in maniera estremamente differenziata i propri capitali ed è chiaro che quel tipo di professionista, se si prestava ad operazioni di quel tipo, veniva ad apportare un contributo ovviamente di rilievo all'organizzazione.

Oppure l'organizzazione mafiosa, che deve avere inevitabilmente bisogno di medici compiacenti, medici che siano disposti ad intervenire con le proprie cure senza guardare in faccia nessuno, questo è il problema del medico, sicuramente si può fare questa attività in diverse maniere, ma ad esempio fossero disposti a stilare dei certificati medici falsi per favorire il mafioso nei suoi rapporti con le istituzioni, soprattutto l'istituzione carceraria, evidentemente anche qua è il caso dei professionisti che apportavano un contributo fondamentale perchè l'organizzazione mantenesse la sua sicurezza, cioè gli associati sapessero che in ogni caso potevano avere quel servizio fondamentale per loro.

Oppure l'importanza per esempio di avere dei magistrati compiacenti e che siano disposti ad emettere sentenze non particolarmente pesanti, a chiudere un occhio su certe situazioni. O poliziotti compiacenti, e qui evidentemente l'aiuto illecito che poteva fornire un magistrato era di grande importanza. O del politico. I politici che garantissero canali privilegiati per vincere gli appalti, per essere inseriti nelle strutture della Pubblica Amministrazione, per ottenere concessioni, autorizzazioni, od addirittura politici che potessero intervenire con la magistratura per ottenere delle sentenze compiacenti poteva esseredi nuovo di grossa importanza per mantenere la salvezza dell'organizzazione. Un'organizzazione criminosa come la mafia evidentemente deve essere in grado di dare fiducia oppure di incutere timore nei propri associati, è importante che gli associati mafiosi non sgarrino e non cominciano a collaborare con la giustizia, ma è anche importante che al di là della paura di vendette nei confronti dei parenti di coloro che tradiscono la mafia e via dicendo. Questi non tradiscono perchè si sentono parte di un'organizzazione forte ed efficiente che è in grado anche di intervenire ed evitare loro le condanne più pesanti nel caso fossero catturati e sottoposti a processo penale è un dato importante. Ecco allora che nel panorama dei possibili contatti che i non mafiosi possono avere con l'organizzazione mafiosa sono evidentemente individuabili con quelli che favoriscono la mafia in quanto apportano alla sua conservazione od al suo rafforzamento un contributo causale.

Nella sentenza Carnevale, i giudici sapevano che la Cassazione aveva assunto un indirizzo assolutamente preciso, abbastanza rigoristico. Bisognava cioè provare concretamente il contributo causale e provare il contributo causale su un fenomeno di efficienza rilevante sull'organizzazione. Però si poteva condannare per concorso esterno per un dato contributo che un soggetto dava all'associazione mafiosa.

Nel 2005 interviene la sentenza Mannino. Mannino non era un magistrato, ma era un politico, un grosso politico della sinistra democristiana, era stato un importante assessore alla Regione Sicilia e poi sottoministro alla cultura nei governi democristiani. Nel 1992 era tra i comunisti. Adesso è coinvolto nel processo sulla trattativa Stato - mafia. Era stato assolto in primo grado, condannato in appello. Arriva alla Cassazione e la vicenda viene di nuovo sottoposta alle Sezioni Unite. è perchè viene sottoposta alle Sezioni Unite? In realtà la causa del processo Mannino era stata assegnata alla Sesta Sezione. Le Sezioni Unite si erano già pronunciate. Però in realtà in materia di concorso esterno dei politici non ogni questione era stata risolta. Perchè su che base avveniva il concorso esterno, cioè l'imputazione per concorso esterno, a dei politici? Normalmente il coinvolgimento del politico sul terreno della congruità alla mafia era conseguente ad un fenomeno di voto di scambio, cioè il politico otteneva i voti in cambio di una proemssa. La promessa quale poteva essere? La promessa era: se mi fai diventare consegnare comunale, se mi aiuti a diventare consigliere regionale, senatore in Parlamento. Quando si tratterà di intervenire su qualche vicenda di interesse mafioso, io politico cercherò di utilizzare la mia competenza funzionale per aiutarti e favorirti. Questo era il nucleo del discorso dal quale partiva il coinvolgimento dei politici sul terreno del concorso esterno nella mafia.

Secondo un primissimo orientamento, che Grosso ritiene assolutamente demenziale, si sosteneva che il solo fatto che un politico aveva accettato il voto mafioso od addirittura gli era stato dato il voto mafioso, questo politico era responsabile per concorso esterno. Perchè, si diceva, un politico che accetta il voto mafioso, sa benissimo che, anche se al momento in cui il voto gli viene dato nessuno gli chiede specificamente nulla, è implicito che se mai si presenterà l'occasione e gli verrà chiesto nel corso del mandato un favore, dovrà adempiere, perchè se non presta il favore all'organizzazione che lo ha aiutato ad essere eletto, è ovvio che subirà delle dure conseguenze, addirittura rischierà di essere ammazzato o verranno ammazzati i suoi parenti, o gli si brucerà la casa. Cioèper la mafia è implicito che al momento opportuno il favore deve essere prestato se chiesto, non c'è bisogno di accertare nulla ex ante.

è chiaro che un discorso di questo tipo sul piano delle regole che sorreggono il processo penale era assolutamente demenziale. Ma come si fa a considerare una persona concorrente esterno su base assolutamente presuntiva?! Il fatto che tu ti sei impegnati ad adempiere semmai ti verrà chiesto qualcosa. E se la mafia ad un certo punto non ti chiede niente, sei concorrente esterno lo stesso? Generalmente questo discorso non aveva senso.

Ed allora si è cominciato in alcune decisioni dei giudici di merito a cercare di porre dei paletti. E si è cominciato a dire che comunque bisogna che quantomeno ci sia stato un accordo, quantomeno ci sia stato un contratto. Ma quando mai un boss mafioso ed un politico stipulano un contratto lecito? è tutto fondato sulla parola. Bisogna provare che c'è stato l'incontro, c'è stato l'accordo, ed il politico si è impegnato. E si era a questo punto prima della sentenza Carnevale.

Però a questo punto il problema era ancora aperto. Ha promesso che cosa? Bisogna provare che tu hai promesso effettivamente un concreto, oppure bisogna genericamente promesso di fare quello che ma mafia ti chiede? I commendatori, o meglio i professori di diritto penale, sostenevano che è chiaro che sulla base delle regole che sorreggono l'insorgere della responsabilità penale per stabilire che hai dato un contributo concreto in grado di incidere sulla consistenza dell'associazione, quindi sulla conservazione o sul rafforzamento dell'associazione, devi avere individuato che cosa hai promesso di fare.

La sentenza d'appello Mannino era molto peculiare. Grosso ha avuto occasione di sfogliarla perchè gli è stato chiesto di difendere Mannino proprio in Cassazione, e quando ha letto quella sentenza veramente molto stupito perchè è sempre un problema quando si affronta il tema di un esterno.

Ma quali sono i comportamenti sintomatici? Se tu vent'anni prima eri andato ad un battesimo di un ragazzino che ha avuto la ventura di nascere in una famiglia il cui protagonista vent'anni dopo è emerso come capo mafia, il fatto che tu vent'anni fa sei andato a quel battesimo vale a provare che tu sei collegato alla mafia? Oppure il fatto che tu politico hai fatto una serata per incontrare i tuoi elettori sotto le elezioni, hai visto 400 persone, non potevi controllare tutte le persone che c'erano in quella stanza, ed in quella stanza c'erano tre mafiosi, e tu manco li conoscevi, però c'erano, li hanno fotografati a stringerti la mano. Basta il fatto che tre mafiosi erano in una stanza in cui tu hai tenuto un comizio o hai stretto anche la mano a due di essi perchè tu possa essere considerato colluso con la mafia? Nel senso che secondo una certa prassi, od almeno usi consolidati della mafia, il boss mafioso dà un bacio in quel modo soltanto a chi fa parte dell'organizzazione.

Cioè, quando si fa un processo per concorso esterno non è che si abbia appunto contratti stretti,si hanno sintomi, indizi. Qual è il grado di indizi in grado di provare che tu hai dato un contributo rilevante perchè la mafia conservi la sua forza od aumenti la sua forza? Questo è il problema.

Allora, quando si è arrivati ad affrontare il problema del processo Mannino, i suoi difensori sono andati dal Presidente ed hanno detto: "Guardi, caro Presidente, abbiamo la sentenza Carnevale, che a questo punto in maniera di concorso esterno del politico è ancora in fase di dibattito giurisprudenziale", perchè cominciano ad affiorare alcune sentenze, non ancora della Cassazione ma dei giudici di merito che richiedono la prova del contributo concreto, cioè la prova dell'accordo sul fatto specifico del contributo. Ed invece ci sono delle sentenze della Cassazione che continuano a dire che basta che si trovi un accordo generico. Bisogna provare l'esistenza dell'accordo e non basta l'acquisizione dei voti, però bisogna discutere il grado di concretezza.

Il primo Presidente ci ha pensato un poco e poi ha disposto, ritenendo che ci fosse un contrasto giurisprudenziale, che il processo passasse alla Sesta Sezione delle Sezioni Unite. Dato che c'è ancora questo problema che riguarda specificamente il politico, è bene che le Sezioni Unite si pronuncino. Era ovvio, perchè se si pronunciava la sesta Sezione, sarebbe stata una sentenza importante perchè tutte le Sezioni della Cassazione, ma se si pronunciano le Sezioni Unite evidentemente la forza della pronuncia è particolare, e soprattutto in situazioni in cui l'indice di specificazione normativa era così vaga era importante che fossero le Sezioni Unite ad individuare i termini della norma reale.

So va alle Sezioni Unite nel 2005 e le Sezioni unte stabiliscono:

In tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di concorrente esterno il soggetto che, non essendo inserito stabilmente nella struttura organizzativa, e privo dell'affectio societatis (siamo nell'ottica della sentenza Carnevale), fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale, e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione od il rafforzamento per l'effettività operativa dell'associazione.

Questa prima massima non fa altro che ribadire per la seconda voltaquanto aveva già detto la sentenza Carnevale. Cosa dice in più questa sentenza? Dice: occorre essere molto attinenti perchè non è sufficiente una valutazione ex ante del contributo risulta in termini di mera probabilità della lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento ex post in esito al quale si è dimostrata alla stregua della certezza processuale, l'elevata credibilità razionale dell'ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della condotta tipica del concorrente.

Cerchiamo di capire che cosa significa questa enunciazione della nostra Suprema Corte di Cassazione.

Non è sufficiente una valutazione ex ante del contributo, cioè non è sufficiente che la Cassazione dica "si assume provato l'accordo di una certa controprestazione, e quindi sulla base di questa assunzione probatoria ex ante io ritengo che quella controprestazione promessa sia tale da assicurare un rafforzamento od una conservazione dell'organizzazione".

è necessario un accertamento ex post, cioè bisogna valutare ex post che cosaè capitato. Effettivamente quel politico è stato accusato di aver promesso qualcosa di specifico, si è poi comportato in maniera coerente con questa promessa? E quindi noi possiamo ritenere ex post che questa sua promessa si è concreta in atti dai quali è attribuibile un'elevata credibilità razionale per cui è possibile ritenere certo l'organizzazione ha confermato la sua forza se non si è addiritttura rafforzata? Sul piano probatorio, è un passo molto avanti sulla richiesta di specificazione. Cioè si è detto che non basta perchè tu possa condannare un politico che tu provi che ha preso i voti mafiosi, come ha detto la sentenza Carnevale. è necessario che tu provi che il politico si sia impegnato in qualcosa di concreto.

Dopodichè, dopo che c'è stata la prova dell'accordo, bisogna provare qualcosa di più, ex post. Quel politico ha dimostrato di comportarsi in modo coerente alle promesse? In modo da creare una situazione di pericolo in ordine al mantenimento della forza od all'aumento della forza dell'organizzazione? Bisogna provare anche questo. Ecco il doppio dato in più della sentenza Mannino. Devi provare lo specifico contributo della promessa, e poi devi provare se il politico si è, secondo la valutazione ex post. comportato concretamente dimostrato di avere intenzione di eseguire la promessa. è chiaro che in questo modo si viene a chiedere una serie di requisiti molto stringente per il concorso esterno. Però la sentenza Mannino dal punto di vista di un sistema penale che è ancorato sul terreno di stretta legalità, questo era il minimo.

Quale era la critica che si legge frequentissimamente nelle dichiarazioni di molti soggetti, di molti politici sul concorso esterno in associazione mafiosa? Bisogna abolire questo reato (non è un reato, è un istituti), perchè consente un indiscriminato intervento nei confronti dei cittadini onesti. Quindi bisogna abolire questo istituto che consente di coinvolgere senza regole nella responsabilità per concorso nella mafia, senza regole.

è chiaro che se noi leggiamo l'articolo 110, cosa vuol dire concorrere in un reato? Di per sè evidentemente questa formulazione è estremamente elastico, può essere interpretata in modo amplissimo, come era stata interpretata inizialmente. Noi sappiamo che le norme non sono qualcosa di astratto, le norme sono quelle che sono incarnate nella prassi giudiziaria ad opera delle Sezioni Unite. Cioè le Sezioni Unite soprattutto contribuiscono a creare il contenuto della norma reale, e la norma viene poi applicata dai nostri tribunali e la norma che viene interpretata dalla Cassazione ed in particolare dalle Sezioni Unite quando c'è bisogno dell'interpretazione delle Sezioni Unite.

Ed allora oggi la norma qual è? La norma è quella che emerge dal combinato disposto della sentenza Carnevale e della sentenza Mannino, la norma sul concorso esterno è quella. E voi capite che se leggete la sentenza Mannino vedete che i requisiti perchè una persona possa essere considerata responsabile per concorso esterno sono estremamente dettagliati e precisi. Quindi non vengono a dire che il concorso esterno va abolito perchè la norma non è precisa! Come la norma non è precisa?! La norma è assolutamente precisa così come è stata interpretata dalla Corte di Cassazione - Sezioni Unite e come oggi deve essere applicata, e di fatto è applicata, in tutti i Tribunali del Paese. E quindi all'obiezione "aboliamo il concorso esterno?" perchè la norma consente di coinvolgere dei cittadini onesti in indagini per mafia, si risponde sì, ma questi cittadini non potranno mai essere condannati se non si prova in modo stringente ciò che le Sezioni Unite hanno richiesto prima del 2002 e poi soprattutto nel 2005. Quindi perchè mai abbandonare questo strumento?

L'ultima volta che è esploso il dibattito su questi problemi è stato due mesi fa, quando la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna per concorso esterno nei confronti dell'onorevole Dell'Utri. C'erano due sentenze di condanna per organizzazione mafiosa, la Cassazione ha annullato. Era inevitabile che sorgessero delle polemiche.

Il discorso è: le norme sono stringenti (è ovvio che la norma è stringente) ma tanto è stringente che la Cassazione, se ha ritenuto che la Corte d'Appello non ne ha motivato adeguatamente per ragioni in forza delle quali si poteva sostenere che ormai la giurisprudenza delle Sezioni Unite chiede, è chiaro che la sentenza deve essere annullata. Un annullamento da parte della sentenza zella Cassazione non vuol dire che chi è stato condannato e poi la sentenza è annullata è innocente, significa semplicemente che la motivazione della sentenza d'appello non è stata coerente con quanto richiede la regola, non basta. Dopodichè, se viene annullato questo rinvio, e si riterrà che sussistono degli elementi a carico dell'onoreole Dell'Utri, evidentemente ricondannerà con motivazione più stringente che tenga conto dei criteri enunciati dalla sentenza Mannino, sembra evidente. è una polemica assolutamente non producente.

Chi chiede che venga vietato per legge il concorso esterno per associazione mafiosa evidentemente vide eliminare qualunque coinvolgimento della società civile nella mafia, vuole circoscrivere la responsabilità per mafia a chi è accertato e consolidato partecipe dell'organizzazione mafiosa. Evidentemente chi vuole tenerlo, vuole mantenere uno strumento che permette di intervenire anche ragionevolmente nei confronti di chi non fa parte dell'organizzazione sicuramente ma si è prestato a dare dei contributi rilevanti. Ecco perchè all'interno della politica criminale corretta questo atteggiamento è assolutamente condivisibile.

Poi c'è, sempre sul terreno della dialettica dell'idea, la soluzione assolutamente contrapposta, come quella proprio in occasione della sentenza Dell'Utri, ha espresso il nostro Procuratore della Repubblica, il dottor Caselli, il quale ha detto che le sentenze della Corte di Cassazione e delle Sezioni Unite hanno praticamente tolto il potere alla magistratura ed alla procura perchè hanno ridimensionato con criteri estremamente restrittivi la loro possibilità di intervenire nella cosiddetta zona grigia. Grosso non condivide questa posizzione, perchè ritiene che le norme siano assolutamente adeguate al principio di legalità al quale è ispirato il nostro sistema penale. Se la norma non è sufficientemente chiara e determinata, evidentemente non può funzionare, perchè non può essere nemmeno utilizzata in maniera disarmonica. Bisogna che la norma sia stringente, che la magistratura sia sufficientemente così retta dalla norma ad operare in modo omogeneo in tutti i casi, e questa è una dimostrazione di civiltà del nostro ordinamento giuridico penale, e quindi probabilmente si indebolisce, con la sentenza delle Sezioni Unite, la possibilità di intervento delle procure nei confronti delle zone grigie, e però si riduce anche la possibilità di imporre anche i propri convincimenti, che sono indubbiamente ampi.

Un'ultima riflessione. Cosa accadrebbe se invece il Parlamento ad un certo punto, accettando le sollecitazioni di cui vuole vietare l'abrogazione dell'articolo 110 formasse effettivamente un illecito? Evidentemente può farlo. Le cose potrebbero cambiare, però Grosso crede che a questo punto da una parte della magistratura non cambierebbe assolutamente non cambierebbe assolutamente niente, perchè ciò che oggi viene considerato concorso esterno potrebbe venire considerato partecipazione, sulla base di un altro elemento.

Il reato associativo che cos'è? è un reaato a concorso di persone necessario. Quand'è che una persona può essere considerata concorrente necessario di un reato? Quando apporta un contributo alla realizzazione causale di questo reato, E quindi ampliamo il concetto di associato, E come al solito il diritto può essere manovrato ed utilizzato. Grosso si ricorda che quando aveva visto che la Procura di Palermo aveva cambiato il capo d'imputazione nei confronti dell'onorevole Andreotti perchè erano apparse alcune sentenze della Cassazione che negavano il concorso esterno, aveva quindi imputato un'imputazione che non c'era. Andreotti è stato riscritto fino ad un certo punto e poi è stato assolto perchè il fatto non sussiste.

Ultimo punto. I reati associativi (l'associazione a delinquere dell'articolo 416). Sono reati permanenti. Cosa vuol dire reato permanente? è un reato che non si perfeziona in un momento determinato, ma la condatta si protrae nel tempo fintanto che gli articoli di quella condotta intendono farla protrarre nel tempo (naturalmente il sequestro di persona, finchè rimane lo Stato di soggezione del sequestrato, la situazione permane finchè permane lo stato di soggezione).

Si è posto un problema. Ma la cattura di un associato interrompe la sua permanenza nell'associazione? L'associato in carcere può continuare a far parte dell'organizzazione. Si sono visti casi di persone che dirigevano un'organizzazione in carcere. Il fatto che il capo è allora anche dal carcere operante può essere ancora fonte di forza, di continuità, di sostegno morale per le persone che sono ancora operanti sul territorio. Però poi la giurisprudenza ha affermato che comunque se l'associne ancora permane significa condanna definitiva. è chiaro che per una condanna definitiva, l'associazione dovrebbe continuare, però sulla base delle scelte giurisprudenziale si è detto che la partecipazione del singolo condannato all'associazione viene meno con la sentenza di primo e secondo grado. Ne prendiamo atto. Ovviamente queste sentenze rispondono all'esigenza pratica di porre fine alla vita dell'associazione.

Articolo 416 ter (scambio elettorale politico - mafioso), reato introdotto successivamente. Scambio elettorale politico - mafioso, cioè indipendentemente dal fatto che questo scambio elettorale possa in qualche modo essere la premessa per il coinvolgimento di un politico sul terreno dell'associazione, si aferma che:

la pena stabilita dal primo comma dell'articolo 416 bis (pena prevista per il reato di associazione di tipo mafioso) si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis (con riferimento all'associazione) in cambio dell'erogazione di denaro (cioè è stato punito il voto di scambio, però circoscrivendolo al fatto che il voto venga pagato).

Se si verifica recentemente un'ipotesi del tipo è stata accertata a carico di un assessore della Giunta Formigoni, in cui pare che pagava 50 euro ogni voto, è chiaro che si ha la realizzazione sicuramente dello scambio elettorale politico - mafioso. Non necessariamente questo da sì che quell'assessore sia qualificabile come concorrente esterno, bisogna vedere che cosa si è impegnato a fare. Secondo la sentenza Mannino, bisogna vedere se concretamente ha fatto qualcosa. Sembrerebbe di si. Se si è limitato a pagare i voti alla mafia in denaro, c'è stato reato. Qualcuno dice: perchè limitare lo scambio elettorale politico - mafioso, cioè il reato specifico allo scambio con denaro? Ci può essere scambio di altro tipo, cioè tutti i reati in cio è in gioco un'utilità, il nostro codice parla di denaro od altra utilità. Corruzione: la tangente può essere il pagamento di denaro, ma può essere anche qualche altra utilità (l'alloggio, il voto politico). Nello scambio elettorale politico - mafioso ci si è limitati ad indicare il denaro.

Riforma approvata dal Senato qualche giorno fa: si è detto che se non si è intervenuti sul voto di scambio anche per le prestazioni diverse dal denaro. è da vedere se ha senso introdurre queste norme in un decreto anticorruzione o se questa norma debba essere prevista in una norma riguardante la Pubblica Amministrazione, ma questo è un altro discorso.

Il nostro codice ha previsto numerose fattispecie nell'ambito dei cosiddetti delitti politici, cioè delitti contro lo Stato, reati contro la personalità dello Stato come li definisce il nostro codice penale, noi diciamo che sarebbe meglio definirli "reati contro l'ordinamento costituzionale dello Stato", in ogni caso al di là delle etichette si tratta di reati secondo la valutazione del legislatore che attentano alle fondamenta dell'organizzazione democratica, perchè siamo in uno Stato democratico dello Stato. Molte di queste fattispecie sono state abrogate o sono state dichiarate illegittime costituzionalmente della nostra Corte costituzionale in quanto in contrasto con il diritto di associazione ed il diritto di manifestare liberamente quello che si pensa. Comunque le fattispecie che ancora oggi permangono nell'ordinamento sono: la cosiddetta associazione sovversiva (sia pure molto modificata) all'articolo 270 bis del codice penale, fattispecie introdotta all'epoca sul terrorismo per combattere puù efficacemente le organizzazioni terroristiche (articolo 270 bis: associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico); le fattisoecie di delitto di cospirazione mediante accordo, articolo 304 del codice penale; la fattispecie di associazione mediante cospirazione, articolo 305 del codice penale, nonostante l'etichetta è evidentemente una cospirazione contro lo Stato, per rovesciare l'organizzazione dello Stato stesso; gli articoli 306 e 307 prevedono le cosiddette bande armate, sempre operanti sul terreno politico. Sono fattispecie associative per le quali sono previste delle pene molto pesanti, proprio in ragione della loro valenza politica ed il pericolo dche esse rappresentano per l'organizzazione pubblica del nostro Paese.

La sentenza Demitry.[]

Con la sentenza Demitry, la giurisprudenza aveva riconosciuto l'ammissibilità del concorso esterno in associazione mafiosa, sottolineando la diversità dei ruoli tra chi partecipava all'associazione ed il concorrente eventuale; mentre il primo è colui che fornisce un apporto continuo ed assiduo all'associazione, agendo nella sua fase fisiologica, nella sua vita quotidiana corrente, il secondo è invece colui che non vuole far parte dell'associazione, ma al quale essa si rivolge.

Tale assunto lasciava parzialmente irrisolto il problema della questione inerente alla necessità dell'apporto dell'extraneus come condotta effettivamente idonea a rafforzare l'organizzazione da un lato, e l'effettivo verificarsi del rafforzamento dell'associazione stessa dall'altro.

La giurisprudenza, nelle successive pronunce, aveva poi optato all'utilizzazione di un giudizio di tipo prognostico secondo il quale fornisce un apporto causalmente efficente alla realizzazione del reato colui il quale pone in essere una condotta che appaia ex ante idonea a facilitare la commissione dello stesso, aumentandone le probabilità di verificazione.

Tale impostazione era stata fortemente criticata dalla dottrina sulla base di svariate considerazioni, prima tra tutte il fatto che, da un lato si rischiava di trasformare l'istituto del concorso di persone nel reato in una fattispecie a consumazione anticipata, chiamata a sanzionare la creazione di un mero pericolo per l'ordine pubblico; dall'altro, focalizzandosi sul concetto di rafforzamento della struttura, si rischiava di ricondurre l'istituto in esame esclusivamente alla categoria del concorso morale.

Tale soluzione interpretativa invece che ricostruire la condotta incriminata attraverso un meccanismo di tipizzazione causale, si limitava a delinearla in virtù della finalità assegnata al contributo esterno del sodalizio stesso.

La sentenza Carnevale.[]

La sentenza Carnevale ha dapprima riconfermato il tema dell'ammissibilità del concorrente esterno, ed in secondo luogo ne ha meglio precisato i confini. Scomparso il riferimento al concetto della metafora clinica della fibrillazione, ed il riferimento all'unità od alla pluralità di condotte attuative, le Sezioni Unite del 2002 hanno individuato la figura del concorrente esterno in colui che è privo dell'affectio societatis e non è stabilmente inserito nella struttura organizzativa del sodalizio, ma fornisce comunque un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo.

Il contributo dell'extraneus deve dunque essere effettivamente idoneo ad arrecare un oggettivo apporto di rafforzamento o consolidamento dell'associazione, sulla base di un giudizio effettuato ex ante.

La sentenza Carnevale, se da un lato ha avuto il merito di riconoscere in via definitiva la figura del concorrente esterno, e di meglio definirne i contorni, dall'altro è stata sottoposta a più di una critica quanto alla difficoltà sul piano del nesso causale, di individuare l'apporto minimo del contributo.

Sulla base di queste premesse si è inserita la più recente pronuncia delle Sezioni Unite, la sentenza Mannino.

La sentenza Mannino.[]

Il merito indubbio della sentenza Mannino è stato quello di ridefinire i contorni del contributo atipico dell'extraneus, definito ora come colui che fornisce un apporto

che abbia avuto una reale efficienza causale, che sia stato condizione necessaria per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo e per la produzione dell'evento lesivo del bene giuridico protetto.

La rilevanza del contributo del concorrente esterno infatti, non è più valutata ex ante e considerata idonea in astratto ad aumentare la probabilità od il rischio di realizzazione del fatto di reato, ma è effettuata operando un giudizio contraffattuale ex post, verificando se, eliminata quella determinata condotta, si sarebbe o meno comunque verificato quel determinato risultato.

Tale approccio ha consentito di escludere dalla serie causale tutti quei contributi dei concorrenti che si siano rivelati, quanto alla formazione dell'evento, controproducenti o comunque influenti. Le Sezioni Unite hanno cos definitivamente abbandonato la teoria, sposata in particolare nella sentenza Carnevale, dell'aumento del rischio, secondo la quale era considerata sufficiente per configurare la condotta del concorrente esterno la generica messa a disposizione di un soggetto particolarmente qualificato per la sua peculiare posizione nel contesto politico a favore dell'associazione.

Cosa si intende per associazione armata?[]

Con riferimento alle fattispecie associative previste per i delitti politici. Non veniva specificato che cosa si intendesse, se n'è discusso, armata nel senso che tutti o la maggioranza dei comportamenti fosse concretamente dotata di armi, oppure che bastasse che l'organizzazione disponesse dell'utilizzabilità delle armi, magari tenute in un magazzino e custodite da alcuni componenti dell'associazione, ma non messe a disposizione continua dell'organizzazione?

Il comma 5 risolve legislativamente la questione: l'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o materiale esplodente anche se occultamente in un luogo di deposito. Per evitare dubbi interpretativi, le norme in maniera di delitto mafioso hanno cristallizzato il principio emerso in maniera chiara a livello d'interpretazione nei confronti delle associazioni criminali a livello politico.

Comma 6: ulteriore aggravante, si vuole contrastare specificamente l'impiego dei provenienti dal crimine nel rafforzamento dell'organizzazione criminale.

Importanza del penultimo comma: obbligo di confisca di tutto ciò che costituisce prodotto, prezzo, profitto del reato associativo quando si è arrivati ad una sentenza passata in giudicato.

Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca.

Norma di figura dell'intervento del tipo patrimoniale prevista dalla legge La Torre, che è intervenuta con un'ampia utilizzazione di interventi di natura patrimoniale: da un lato con la misura di prevenzione, con l'applicazione del procedimento di prevenzione finalizzato ad ottenere il sequestro delle cose che costituiscono il prezzo, il prodotto, il profitto di possibile attività criminosa, sequestro finalizzato alla confisca.

Il procedimento che portava al sequestro ancorato ad un accertamento di una situazione di pericolosità soggettiva, indipendentemente dall'accertamento della commissione del reato associativo. Sulla base di questo processo, evidentemente mero garantistico perchè non andava ad accertare i fatti ma soltanto la condizione personale del soggetto, alla luce delle circostanze che quel soggetto avesse determinate ricchezze e non fosse in grado di giustificare la loro provenienza, si otteneva il sequestro. Dopodichè il processo poteva o non poteva partire, se partiva il processo penale per accertare l'associazione mafiosa e si giungeva a condanna definitiva degli associati, scattava la confisca obbligatoria dei beni già sequestrati che venivano definitivamente confiscati dallo Stato.

Quindi nei confronti delle associazioni mafiose partono due procedimenti, uno, il provvedimento di prevenzione, che prescinde dall'accertamento dei fatti, ancorato esclusivamente a procedere in ordine alla pericolosità soggettivache conduce al sequestro.

L'altro se si arriva a condanna definitiva, le cose sequestrate vengono confiscate, se c'è proscioglimento saranno dissequestrate e restituite.

Il procedimento di prevenzione si svolge di fronte all'autorità giudiziaria.

Con le garanzie del processo penale: contraddittorio, diritto di difesa, manca l'accertamento del fatto, le difese si trovano in difficoltà sul come dimostrare l'acquisto di certi beni. Dimostrare che siano il prodotto di un'attività lecita perchè ereditati, vinti o frutto di attività imprenditoriali, se non riescono a dimostrarlo vengono sottoposti a sequestrati.

Quando si procede al processo penale non basta la presunzione di pericolosità, ma bisogna dimostrare che questo soggetto faceva parte di un'organizzazione mafiosa e che queste ricchezze sono il risultato dell'attività criminale svolta all'interno dell'organizzazione. Se non si dimostra la partecipazione all'organizzazione il soggetto deve essere assolto.

Sul piano probatorio, i due piani molte volte si confondono: quando si analizza un reato si fa un discorso di tipo astratto, quando si va a discutere in aula di giustizia della commissione di un reato la dimensione fondamentale è il dato probatorio.

L'architrave del processo penale è che senza prove non è possbile condannare nessuno.

Le prove o gli indizi che nel loro insieme determinano la prova devono trovarsi negli atti processuali.

La giurisprudenza nella sentenza della Cassazione, agli indizi degli anni 2000, ha stabilito che nessuno può essere condannato se non esiste una prova certa al di là di ogni ragionevole dubbio della responsabilità dell'imputato. Principio cristallizzato nel 2003-2004 in una norma giuridica: la prova certa deve emergere dagli attti certi del processo.

Se c'è un'insufficienza di prove le Corti d'Assise devono assolvere, in pratica però i magistrati condannano anche se non c'è la prova certa. Difficoltà di dimostrare la prova è un elemento fondamentale nel processo, normalmente dei reati di associazione, la prova dell'associazione e la prova della partecipazione all'associazione si desume dalla commissione alla partecipazione delle perso e che fanno parte dell'associazione, alla realizzazione del reato scopo, è più semplice accertare gli autori del reato.

Se si accerta che un gruppo di persone ha commesso una o dieci rapine, normalmente si desume la presenza di un'associazione, cioè che delle persone si sono associate per realizzare quella pluralità di rapine: si parte dall'accertamento dei reati scopo commessi.

Altre volte gli elementi probatori sono diversi in materia di associazione mafiosa, hanno trovato impiego gli elementi probatori ricavati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, coloro che hanno deciso di staccarsi dall'associazione mafiosa, in vista dell'applicazione di norme premiali, rivelano all'autorità giudiziaria od alla polizia la struttura dell'organizzazione ed i fatti criminosi commessi dall'organizzazione, consentono di scardinare le organizzazioni criminali.

Fenomeno del pentitismo: in Italia nel periodo del terrorismo rosso: coloro che facevano parte di associazioni terroristiche, come le brigate rosse o prima linea, sulla base di trattamenti processuali più favorevoli, erano propensi a rivelare i tessuti dell'organizzazione che si stavano sfaldando.

è da ciò che il Parlamento ha deciso, con riferimento quindi all'attività terroristica, di introdurre la legislazione premiale, con l'attuazione della pena o cause di giustificazione per coloro che apportavano un contributo rilevante alla scoperta dell'organizzazione.

Una volta che il meccanismo della legislazione premiale aveva funzionato molto bene nei confronti delle associazioni terroristiche, si è pensato di utilizzarlo anche alle associazioni di criminalità organizzata, preventivando norme premiali per la mafia e la ndrangheta.

Il fenomeno del pentitismo è stato molto importante, ma deve essere gestito dai magistrati e soprattutto dai procuratori della repubblica con grande perizia, può portare a conseguenze pericolose.

Associazioni sovversive.[]

Le associazioni sovversive, nella loro formulazione originaria del 1930, rimasta comunque tale fino alla modifica recente, erano così configurate:

Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale, o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da 5 a 10 anni.

Quindi la configurazione che nel 1930 si era data di associazione sovversiva era evidentemente statale. Veniva considerata associazione sovversiva l'associazione che tendeva ad instaurare violentemente una dittatura di classe, o quella che che intendeva abolire, eliminare violentemente la divisione della società in classi, o quella che si prometteva di eliminare qualunque assecco econmico e sociale consolidato nello Stato.

Quali erano durante il fascismo gli oppositor che considerava più pericolosi sul terreno non soltanto dell'ordine pubblico ma soprattutto sul terreno politico? Erano evidentemente gli oppositori che appartenevano alle organizzazioni socialiste, comuniste ed anarchiche. Socialisti e comunisti che avevano fra i loro obiettivi quello di instaurare la dittature la dittatura della classe operava in modo da cambiare gli assetti del Paese; gli anarchici che volevano far saltare gli assetti economici consolidati del Paese.

Non erano considerate associazioni sovversive le associazioni sia pure all'opposizione e bandite dal Paese che facevano capo ai cattolici ed ai liberali. Si era intervenuti pesantemente contro le organizzazioni cattoliche, l'Associazione cattolica era considerata un'organizzazione pericolosa ma non aveva etichettato questa organizzazione come un'organizzazione sovversiva.

Cosa è capitato dopo la liberazione del Paese? Dopo la liberazione del Paese, tutti sappiamo che cosa è capitato in Italia. Si sono affermate nuove forze politiche che si chiamavano Democrazia Cristiana, Partito Liberale, Partito comunista, Partito socialista. L'insieme di queste forze politiche la contribuito nella costituent a stendere la Carta Costituzionale. Erano evidentemente legittimate. Le vicende internazionali hanno portato ad una determinata evoluzione del nostro sistema politico, alla grossa vittoria della Democrazia Cristiana del 1948, prima ancora l'ascesa del Partito Socialista al Governo.

Una norma come l'articolo 270, nel 1945 - 1946 - 1947 - 1948, quando mai il partito comunista e socialista erano assolutamente giunti come forze politiche facenti parte dell'organizzazione politica del Paese, quando entrambi i partiti quando si è aperto il varco costituzionale erano tutti considerati facenti parte della Costituente. Il partito fascista era bandito, perchè aveva creato la dittatura ed aveva portato l'Italia in guerra.

Che senso aveva mantenere la figura dell'articolo 270? Una parte dei penalisti ha detto che è chiaro che a questo punto si deve concentrare l'articolo 270 come implicitamente abrogato, perchè non ha più nessun senso considerare come associazione sovversiva un'organizzazione che riproduca quanto meno il programma teorico di alcuni dei partiti che fanno parte del nostro arco costituzionale. Era evidentemente una contraddizione, che poteva essere risolta nel senso che il Partito comunista italiano aveva perso gran parte della sua carica rivoluzionaria, che era solo più negli intendimenti teorici, ed in realtà cercava di operare all'interno del sistema politico e democratico italiano o comunque, secondo un altro punto di vista, è stata considerata una scelta tattica per cambiare cambiare dall'interno l'organizzazione democratica dello Stato secondo i modelli che hanno avuto attuazione in alcuni Paesi dell'allora Europa dell'Est.

Indubbiamente, una norma come l'articolo 270 di per sè, scritta in questo modo, non aveva più alcun senso. Però, allora la scelta politica era stata quella di non toccare il codice penale. Le ragioni sono le ragioni per cui nel 1946 non era stato abrogato il codice penale Rocco; soprattutto scelte di priorità. La Costituente ha deciso di optare prioritariamente per l'approvazione della Costituente ed il legislatore di allora ragionava nel senso che aveva senso modificare il codice penale, come il codice civile, come tutte le altre leggi soltanto una volta approvata la Costituzione, perchè sulla base dei principi enunciati dalla Costituzione aveva un senso costruire un codice penale che fosse conforme alla Costituzione. Quindi secondo i programmi dell'epoca c'era la Costituzione e poi direttamente la riforma della legislazione ordinaria per conformarla alla Costituzione che si intendeva elaborare.

Che cos'è capitato? La Costituzione è entrata in vigore nel 1948, nel 1948 c'è stata una grande vittoria delle forze moderate e la sconfitta delle forze di sinistra, ed a questo punto una politica ingessata, anche dovuta alle maggioranze parlamentari abbastanza striminzite che erano realizzate ed il progressivo spegnimento della spinta riformatrice che veniva dalla Resistenza. La situazione grosso è modo è questa. Fatto sta che nel 1948 nessuno più pensava di cambiare il codice penale, e noi ce lo ritroviamo ancora adesso, con una serie di modifiche parziali ed una serie di interventi massicci della Corte costituzionale che hanno cercato di adeguare il nostro codice penale fascista ai principi democratici. Il codice penale che noi abbiamo oggi è molto diverso dal codice penale Rocco originario, ma il codice è ancora quello.

Era un grosso problema cambiare soprattutto i reati politici. Nel Paese c'era una situazione per cui era meglio non andarsi ad impantanare in una situazione di questo tipo. Come è stato giustificato in maniera teorica il mantenimento dell'articolo 270? Si è detto sì, l'articolo 270 è storco, però in ogni caso contiene un'indicazione, cioè si parla di sovvertimento violento, cioè eliminazione violenta di classi sociali, e quindi ad un certo punto lasciamo stare l'impostazione storica, lasciamo stare. Ovviamente sono politicamente superati, ma teniamo ferma la violenza. Quindi applichiamo questa norma a tutti coloro che creano organizzazioni, che attraverso la violenza, quindi atti violenti, tendono a sovvertire l'ordinamento costituzionale dello Stato. Cioè diamo una lettura completamente nuova dell'articolo 270.

Così si è arrivati al 2006 perchè il nostro legislatore pensasse che, se vogliamo mantenere questa norma, cambiarla. Nel 2006 il legislatore è intervenuto su impronta decisiva della Lega. La Lega aveva fatto le sue azioni, nonsi sa se dimostrative o reali, aveva mandato uno psudo carro armato in Piazza San Marco, aveva occupato il campanile San Marco, nel nome della secessione, aveva fatto azioni di manifestazione più o meno violente in varie città del nord Italia, soprattutto in Veneto. Era soprattutto la Procura di Verona ad aver iniziato una serie di procedimenti penali per delitti politici per il delitto di opinione e di associazione nei confronti dei leghisti. Ad un certo punto la legge si è fatta promotore di un'idea di eliminare gran parte dei reati associativi, soorattutto dei reati di opinione, che erano stati più volte avanzati nel corso degli anni, ma nel 2006 è passata questa legge.

Nel 2006 tra l'altro è cambiata la definizione di associazione sovversiva. Si dice:

Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale, o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da 5 a 10 anni.

Si è praticamente adeguata la norma a quello che era stato attribuito alla norma originaria come contenuto, deputata dal riferimento specifico agli obiettivi originari del partito comunista e del partito socialista, degli anarchici. Era un'operazione fatta nel 1946.

La norma letta così cosa vuol dire? Noi portiamo come delitto politico ogni organizzazione di persone che si prefigge di usare la violenza per sovvertire gli ordinamenti economici, sociali e politici del Paese. è ovvio, se c'è un'organizzazione di persone che tende a questi obiettivi e si organizza e si struttura per usare la violenza per rovesciare lo Stato, è chiaro che lo Stato deve difendersi con lo strumento adeguato al reato associativo politico.

La norma attuale respinge quello che i professori di allora avevano detto fin dall'inizio, ed anche Grosso quando aveva commentato questa norma. La norma deve essere letta in questo modo: la norma originaria doveva essere letta nel 1946 come è stata definita nel 2006.

Qual è la portata di questa norma? Se noi la leggiamo:

chiunque nel territorio dello Stato, promuove, costituisce o dirige associazioni dirette ed idonee (è importante, perchè la norma è del 2006, il concetto della pericolosità concreta era già emerso, e quindi hanno messo che l'organizzazione deve essere tale da creare una situazione concreta di pericolo in ordine alla realizzazione di atti di sovversione violenta del Paese, quindi l'associazione deve essere concretamente in grado di realizzare degli atti di ribellismo e rivoluzione del Paese) a sovvertire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale, o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato.

Facciamo ordine, Nel nostro Paese abbiamo tanti tipi di organizzazione (organizzazioni terroristiche rosse, organizzazioni terroristiche nere, organizzazioni secessionistiche, che volevano staccare dal territorio del Paese una parte del nostro Paese). Il problema grosso era nato negli anni '70, ma si pone anche oggi, è di capire che rapporti ci sono tra l'associazione sovversiva e le associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di secessione dell'ordine politico previsto dall'articolo 270 bis.

L'articolo 270 bis è stato introdotto nel nostro ordinamento con una legge del 1979. Anche qua bisogna inserirlo nel contesto e capire quale era la condizione del Paese nel 1979. Nel 1979 eravamo ancora in piena esplosione del terrorismo rosso, avevamo una serie di episodi clamorosi di terrorismo nero, avevamo cioè le Brigate Rosse in prima linea e le altre organizzazioni eversive di sinistra che rappresentavano, nell'ottica del sovvertimento dell'organizzazione statuale e poi avevamo le stragi (Bologna, Brescia) e poi le stragi sui treni e tutta una serie di attentati chiaramente di matrice opposta. Storicamente si è accertato che erano stragi di matrice fascista.

Per contrastare soprattutto il terrorismo rosso che era attivo in maniera epidemica e fisiologica e che oeprava pressochè quotidianamente, mentre i fascisti operavano con grossi episodi stragisti, i terroristi rossi non hanno mai fatto le stragi, hanno fatto molto omicidi, molte azioni singole, però erano azioni ripetute quasi quotidianamente.

Si elabora una legislazione cosiddetta di emergenza per fronteggiare specificamente il terrorismo. Fra le norme per fronteggiare specificamente il terrorismo viene ipoteizzato questo nuovo reato associativo, l'associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. è stata considerata un'aggravante per tutti i reati fondamentali quando si è cercato di fronteggiare il fenomeno.

Che cosa si è stabilito?

Chiunque promuove, costituisce od organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni.

La finalità quindi era o di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. Dire che la finalità stabilita dall'organizzazione sovversiva era una finalità molto simile a quella di sovversione dell'ordine democratico, che era espressione più circoscritta ma più comprensiva per intendere tutte quelle finalità indicate.

Si aggiungevano a queste finalità la finalità di terrorismo, e quindi si è detto che il terrorismo di per sè non è automaticamente protettivo di sovvertimenti dell'organizzazione democratica, persegue finalità di terrorismo fine a sè stessa. Oppure terrorismo diretto ad altre finalità di sovvertimento dell'ordine democratico, per esempio un'associazione terroristica diretta a separare una parte del territorio nazionale per attaccarlo ad un altro Stato.

Il problema qual è? Una volta fu introdotto nello Stato l'articolo 270 bis che influirà sull'applicazione dell'articolo 270 non è un problema, perchè le due norme parzialmente sovrapposte (nell'intenzione dell'articolo 270 che si dava anche prima della modifica è chiaramente un utilizzo della violenza per sovvertire gli assetti democratici dello Stato), la situazione dell'articolo 270 bis è in parte la stessa cosa.

Si tendeva, nell'ottica realistica della tutela penale, di ancorare la punibilità alla circostanza che la sovversione messa in opera dall'associazione rappresentasse un pericolo concreto per il sovvertimento dell'ordinamento costituzionale.

Quando è apparso l'articolo 270 bis, l'interprete ha avuto difficoltà perchè sembra rispecchiare e proporre gran parte degli elementi dell'articolo 270. Tanto che, all'entrata in vigore di questa norma, qualcuno ha temuto che tornassero delle interpretazioni ricoristiche del 270, oltre a trasformarlo in reato di mero pericolo astratto: un'organizzazione che si propone genericamente fini sovversivi, indipendente dalla capacità di operare concretamente atti pericolosi, poteva essere colpita ai sensi dell'articolo 270. In realtà una parte consistente della dottrina ha detto che una volta entrato in vigore il 270 bis non aveva più senso tenere in vita il 270.

La giurisprudenza ha cercato di tracciare delle distinzioni tra le due norme. Le distinzioni si sono attenuate quando nel 2006 è stato riformulato l'articolo 270.

Cassazione, Sezione 1, 3 febbraio 1983:

La differenza fra le ipotesi criminose, di cui agli articoli 270 e 270 bis, è netta e non consiste nel requisito della violenza, che è presente in entrambe le fattispecie, ma nel fatto che la prima (associazione sovversiva) è a forma specifica, mentre la seconda è a forma generica. Elemento costitutivo della prima, al pari di quelli disciplinari ai sensi degli articoli 271, 272, 274 è la commissione del fatto nel territorio dello Stato, elemento che non figura nella seconda.

è vero, l'articolo 270 dice "chiunque nel territorio dello Stato..." l'articolo 270 bis non introduce questa specificazione. Il che vuol dire che se un'associazione sovversiva viene costituita all'estero, non potrà mai essere punita ai sensi dell'articolo 270, ma il problema del rapporto tra le due fattispecie si pone con riferimento ad una situazione concreta in cui un'associazione è stata costituita in Italia e ha le finalità indicate sia dall'articolo 270, sia dal 270 bis. Questi sono i casi in cui si pone un problema di rapporto tra le due fattispecie. Che cosa accade quando viene costituita in Italia un'associazione che tende a sovvertire l'ordinamento costituzionale dello Stato? Applichiamo il 270 od il 270 bis? Questo è il problema.

Scambio elettorale politico - mafioso.[]

Il decreto legge 8 giugno 1992 numero 306 convertito con modifiche nella legge 7 agosto 1992 numero 356, ha introdotto nel codice l'articolo 416 ter che chiarisce che

la pena stabilita dal primo comma dell'articolo 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio delll'erogazione di denaro.

Tra le finalità dell'associazione di tipo mafioso l'articolo 416 bis, per effetto del decreto legge 8 giugno 1992 numero 306, è venuto a comprendere il fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sè od ad altri. La risposta penale conseguente a questa precisazione era, per altro, pur sempre condizionata all'apparenza dell'associazione medesima. Con l'articolo 416 ter il legislatore ha inteso meglio realizzare gli scopi generali e specialpreventivi che si era proposto, creando, se anche con formula non troppo felice, un nuovo reato, volto a perseguire chi compri la promessa di voti erogando denaro. Il richiamo non a qualsiasi promessa di voti, ma a quella prevista dal terzo comma dell'articolo 416 bis, esige se non la partecipazione all'associazione, un qualche collegamento con sistemi organizzativi e metodi mafiosi. Ciò non renderà agebole la prova della condotta rilevante per l'integrazione del delitto.

Esso si consuma con la promessa, indipendentemente dall'effettiva prestazione del voto o dalla sua dazione in conformità della richiesta del soggetto attivo. Se questi è un associato, il reato in esame potrà concorrere con quello associativo di cui all'articolo 416 bis, secondo il combinato disposto degli articoli 110 e 416 del codice penale. Con specifico riferimento alla possibilità di una concessione tra una responsabilità ex articolo 110 ed il delitto di cui all'articolo 416 ter, la sentenza Mannino, sulla scorta di quanto affermato in tema di nesso di causa, ha definito in termini di alternatività il rapporto tra la fattispecie concorsuale e la speciale figura di reato in esame. Sarà configurabile il concorso esterno nel reato in esame, soltanto qualora il personaggio politico, a fronte del richiesto appoggio dell'associazione nella competizione elettorale, si impegni ad attivarsi una volta eletto, a favore del sodalizio criminoso, pur tuttavia senza essene organicamente inserito. Affinchè vi possa essere un contributo causalmente rilevante da parte del concorrente esterno, gli impegni assunti dal politico, proprio per i caratteri strumentali dell'associazione e per il contesto di riferimento, dovranno necessariamente avere il carattere della serietà e della concretezza. La sfera di operatività dell'articolo 416 ter è volta a punire i soli comportamenti nei quali lo scambio elettorale politico - mafioso, non risolvendosi in contributo al mantenimento o rafforzamento dell'associazione, resterebbe irrilevante.

Il dolo esige la volontà di richiedere la promessa e di ottenerla con la coscienza delle condizioni di ambiente nelle quali essa viene prestata.

Non è contemplata sanzione per chi promette. La legge suppone che egli agisca per effetto di una coazione personale ed ambientale: resti in sostanza una vittima anche se viene pagato.

La sanzione è la reclusione da 3 a 6 anni.

Devastazione e saccheggio.[]

L'articolo 419 punisce a questo titolo

chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio.

La norma ha carattere sussidiario, in quanto può essere applicata solo allorchè non ricorrano gli estremi del delitto di cui all'articolo richiamato, e precisamente quando i fatti non siano commessi allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato.

Perchè il legislatore non ha precisato in alcun modo le due ipotesi contemplate dall'articolo 419, l'interpretazione dà luogo ad incertezze.

Premesso che "devastare" in genere significa guastare con violenza, mettere a soqquadro, mentre "saccheggiare" vuol dire fare man bassa, svaligiare, si deve ritenere che la devastazione importi anzitutto il danneggiamento di cose mobili ed immobili. Il saccheggio implica sempre la depredazione di cose mobili. Queste caratteristiche non bastano per concretare le ipotesi considerate dalla legge. Il collocamento dell'incriminazione nel titolo V del libro II del codice non lascia dubbio che i danneggiamenti e le sottrazioni, oltre a ledere interessi patrimoniali, devono offendere l'ordine pubblico. Questo risultato che distingue il delitto in esame dal comune danneggiamento e dal furto, per le sue modalità e per le circostanze di tempo e di luogo in cui si svolge, determina nell'ambiente un particolare allarme sociale. Un solo fatto a tal fine non basta, occorrendone una molteplicità, come si desume dalla lettera della legge. I danni arrecati devono essere piuttosto rilevanti. Non si richiede che sia usata violenza alle persone.

Il delitto si consuma nel momento in cui i danneggiamenti od i furti assumono il profilo proprio della devestazione e del saccheggio: vale a dire, quando vengono a costituire una minaccia per l'ordine pubblico.

In ordine all'elemento soggettivo in dottrina prevale l'opinione che sia sufficiente la coscienza e la volontà di porre in essere fatti di devastazione o di saccheggio. La Corte Suprema ha talora asserito che occorre la previsione e la volontà di turbare l'ordine pubblico. Probabilmente la divergenza tra siffatti atteggiamenti è meno accentuata di quanto non appaa prima facie poichè, supponendo la devastazione ed il saccheggio fenomeni delittuosi di una notevole rilevanza quanto all'estensione ed al danno ed essendo a ciò collegato un inevitabile allarme nella collettività, la coscienza e la volontà di compierle è praticamente inscindibile dalla coscienza e volontà di turbare l'ordine pubblico.

Poichè la devastazione ed il saccheggio costituiscono due fattispecie alternative e penalmente equivalenti non è ammissibile concorso di reati, quando ambedue siano realizzate in un unico contesto di azione. La continuazione del delitto deve ritenersi configurabile. Essa si avrà quando i fatti di devastazione o di saccheggio vengono commessi in tempi diversi, ma in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Assai dibattuta è la questione dell'eventuale assorbimento dei reati che potrebbero raffigurarsi nei singoli fatti di devastazione o di saccheggio.

Nel capoverso dell'articolo 419 è prevista un'aggravante speciale. Essa ricorre quando il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito.

La sanzione è la reclusione da 8 a 15 anni, con l'aumento ordinario in caso di concorso della circostanza ora indicata.

Pubblica intimidazione.[]

In questa categoria avremo compreso tutte le due fgure rispettivamente previste negli articoli 420 e 421, e cioè la pubblica intimidazione mediante esplorioni terroristiche e la pubblica intimidazione mediante minaccia o pubblica intimidazione propriamente detta.

Con le norme in parola il legislatore aveva inteso prevenire dei comportamenti che pongono in pericolo l'ordine pubblico. Avuto riguardo alla prima figura criminosa, la situazione però è ora modificata come segue.

Per effetto dell'articolo 6 della legge 2 ottobre 1967 numero 895, recante disposizioni sul controllo delle armi, l'articolo 420 venne dapprima abrogato e sostituito dalla previsione di un'ipotesi crminosa che colpiva la pubblica intimidazione col mezzo di armi o materie esplodent. Ma anche il nuovo articolo 420 fu poi abrogato e sostituito dall'articolo 13 legge 14 ottobre 1974 numero 497, che elevò la misura massima della pena. Quest'ultima è rimasta nell'ordinamento nell'ordinamento quale norma incriminatrice speciale, lasciando per così dire scoperto l'articolo 420. Ciò è stato avvertito dal legislatore solo in sede di conversione del decreto legge 21 marzo 1978 numero 59, che aveva creato, per la nuova figura dell'attentato ad impianti di pubblica utilità, l'articolo 419 bis,

Attentato ad impianti di pubblica utilità.[]

L'articolo 420, il cui nuovo testo si era formato nel modo sopra descritto e risulta sostituito dall'articolo 2 legge 23 dicembre 1993 numero 547, incrimina, salvo che il fatto costituisca più grave reato,

Chiunque commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere impianti di pubblica utilità

nonchè

chi commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici di pubblica utilità, ovvero dati, informazioni o programmi in essi contenuto od ad essi pertinenti.

è prevista pena maggiore

se dal fatto deriva la distruzione od il danneggiamento dell'impianto o del sistema, dei dati, delle informazioni o dei programmi ovvero l'interruzione anche parziale del funzionamento dell'impianto o del sistema.

Poichè l'ordine pubblico può essere gravemente turbato, oltrechè con l'intimidazione diretta sulle persone anche con forme di intimidazione indiretta sulle cose di utilità generale, il nuovo delitto si colloca tra i reati in esame. è opportuno subito porre in rilievo che, al contrario di quanto avviene per l'ipotesi dell'articolo 433, non si esige per l'integrazione del reato che dal fatto sia derivato pericolo alla pubblica incolumità. CIò ne fa un illecito di pericolo astratto.

è stato rilevante che il mancato richiamo al requisito dell'idoneità non vale ad escluderlo in un ordinamento che non attribuisce rilievo agli atti preparatori non idonei e, comunque, prevede espressamente la non punibilità del reato impossibile. Altro requisito, che nasce dalla collocazione del reato, è il pericolo per l'ordine pubblico. Ma il limite appare non poco svalutato dal rilievo che tale presupposto si ritiene implicito ogni qualvolta il magistrato sia di fronte a comportamenti volti a danneggiare o distruggere impianti o sistemi informatici o telematici di utilità pubblica. Opportunamente i compilatori della legge numero 547/1993 hanno modificato la precedente formula che, quanto all'oggetto materiale del reato, ponendo in alternativa agli impianti di pubblica utilità quelli di ricerca o di elaborazione dati senza richiamare per essi in modo espresso quest'ultimo requisito, aveva ingenerato il dubbio che esso non fosse necessario per i sistemi informatici.

Il reato si consuma col solo fatto del porre in essere l'azione volta a danneggiare o distruggere.

L'esigenza di distinguere il reato in esame da quello di danneggiamento induce a ritenere che non basti al dolo la volontà di danneggiare o distruggere, ma occorra la coscienza di compiere un fatto capace di porre in pericolo l'ordine pubblico.

Nell'ambito della struttura dei reati aggravati dall'evento, costituisce circostanza aggravante l'essere derivati dal fatto la distruzione od il danneggiamento od anche la semplice interruzione del funzionamento dell'impianto.

Nell'ipotesi semplice del primo comma, la sanzione è la reclusione da 1 a 4 anni; in quella aggravata è la sanzione da 3 a 8 anni.

Pubblica intimidazione mediante minaccia.[]

Chiunque minaccia di commettere delitti contro la pubblica incolumità, ovvero fatti di devastazione o di saccheggio, in modo da incutere pubblico timore.

A differenza del reato precedente, in questo si richiede un pericolo concreto si estrinseca in una semplice minaccia. Tale minaccia deve avere come oggetto uno dei delitti previsti nel titolo VI del codice, ovvero il delitto previsto dall'articolo 419.

Per quanto contestato dal Manzini, il verificarsi del pubblico timore deve ritenersi elemento costitutivo del reato e non condizione di punibilità. Non si tratta di un avvenimento estrinseco alla condotta umana, ma di un risultato della condotta stessa dipendente dalle sue modalità. Conviene porre in rilievo che il considerare la verificazione del pubblico timore elemento essenziale del reato non ha per conseguenza che ad esso debba essere indirizzata la volontà dell'agente basta che costui se ne sia rappresentata la possibilità senza escluderla (dolo eventuale).

La sanzione prevista è la reclusione fino ad un massimo di un anno.

Contravvenzioni concernenti l'ordine pubblico.[]

Nel libro III del codice figurano varie norme contravvenzionali che sono tipicamente dirette a rafforzare la tutela dell'ordine pubblico. Si tratta di nove disposizioni che, in modo minuto e frammentario, contemplano alcune manifestazioni sediziose o pericolose e lievi turbamenti della tranquillità pubblica e privata.

Formazione di corpi armati non diretti a commettere reati.[]

Articolo 653. è punito

chiunque, senza autorizzazione, forma un corpo armato non diretto a commettere reati.

Formare un corpo armato significa creare un'organizzazione di persone unite di armi. La norma in parola non riguarda coloro che semplicemente partecipano al corpo armato, ma soltanto coloro che lo costituiscono.

La formazione del corpo armato deve avvenire senza l'autorizzazione della competente autorità di PS. Occorre che il corpo armato non sia diretto alla commissione di più reati, perchè altrimenti sarebbero applicabili l'articolo 416 (associazione per delinquere) oppure l'articolo 306 (banda armata). Se si trattasse di arruolamento o di armamento di cittadini perchè militino al servizio dello straniero, subentrerebbe il titolo specifico preveduto nell'articolo 288.

Il Vannini ritiene che, in analogia al disposto dell'articolo 308, lo scioglimento della formazione del corpo armato da parte dell'organizzazione, prima dell'ingiunzione dell'Autorità o della forza pubblica od immediatamente dopo, determini l'impunità. Questa opinione ci sembra degna di considerazione. Data la natura contravvenzionale del reato, questo non resta escluso dall'errore colpevole sull'esistenza dell'autorizzazione.

La sanzione è l'arresto fino ad un anno.

Grida e manifestazioni sediziose.[]

Articolo 654. Incorre in questa originaria contravvenzione ora trasformata in illecito amministrativo

chiunque, in una riunione che non sia da considerare privata a norma del numero 3 dell'articolo 266 ovvero in un luogo pubblico, aperto od esposto al pubblico, compie manifestazioni od emette grida sediziose

qualora i lfatto non costituisca reato.

Per poter qualificare sediziose grida o manifestazioni, è necessario un comportamento che offenda o minacci la pubblica autorità o che comunque faccia sorgere pericolo per il mantenimento dell'ordine pubblico. L'articolo 21 della legge di pubblica sicurezza dichiara che

è sempre considerata manifestazione sediziosa l'esposizione di bandiere od emblemi che sono simbolo di sovversione sociale o di rivolta o di vilipendio verso lo Stato, il governo o le autorità.

è manifestazione sediziosa anche l'esposizione di distintivi di associazioni sediziose.

Questa norma attende ancora di essere coordinata con le disposizioni e lo spirito della Costituzione, ma risulta integrata dall'articolo 5 della legge 22 maggio 1975 numero 152, che vieta di partecipare a pubbliche manifestazioni col volto in tutto od in parte coperto, facendo uso di caschi protettivi o comunque in modo da rendere difficile il riconoscimento.

La responsabilità dell'agente non è esclusa dal fatto che le grida sono state emesse in una riunione autorizzata dalla polizia.

L'illecito ha carattere sussidiario. Il fatto è doloso e la sua sussistenza rimane esclusa dall'errore sulla pubblicità del luogo. Esso può assumere carattere permanente, come nel caso di affissione di manifesti.

La sanzione è una sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 619 euro.

Radunata sediziosa.[]

Articolo 655. La contravvenzione consiste nel semplice far parte di una radunata sediziosa di dieci o più persone. Costituisce aggravante la circostanza di essere armato ed è sancita l'impunità per colui che

prima dell'ingiunzione dell'Autorità, o per obbedire ad essa, si ritira dall'aduata.

Radunata è la riunione di più persone nello stesso luogo per uno scopo prestabilito. Si distingue dall'assembramento, che è una riunione dovuta a motivi occasionali od omprovvisi.

Affinchè la contravvenzione si verifichi, è necessario che la radunata sia di almeno 10 persone ed abbia carattere sedizioso, e cioè che rappresenti un pericolo per l'ordine pubblico. Di tale carattere si debbono rendere conto i partecipanti, sicchè non incorre nella contravvenzione l'individuo che si avvicini alla folla solo per curiosità.

La sanzione corrisponde all'arresto fino ad 1 anno. Per colui che partecipa armato alla radunata, la sanzione corrisponde alla pena dell'arresto non inferiore a 6 mesi.

Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico.[]

Articolo 656. Viene punito

se il fatto non costituisce un più grave reato, chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico.

Come si legge nella relazione al Re numero 215

sono tendenziose non solo le notizie che tendono ad uno scopo illecito, ma altresì quelle che hanno in sè la capacità di produrre un effetto dannoso, indipendentemente dalla volontà dell'agente.

A sua volta la Corte costituzionale, nella sentenza numero 19 del 16 marzo 1962, ha precisato che l'espressione "notizie false, esagerate o tendenziose" è una formula di endiadi, con il quale il legislatore si è proposto di abbracciare ogni specie di notizie che, in qualche modo, rappresentino la realtà in modo alterato.

Per l'esistenza del reato basta che le notizie siano atte a turbare l'ordine pubblico non essendo necessario che questo sia effettivamente turbato. All'agente deve potersi rimproverare almeno un'imprudenza o negligenza sia nella propalazione delle notizie, sia in ordine alla falsità, esagerazione o negligenza delle medesme.

La sanzione consiste nell'arresto fino a 3 mesi oppure l'ammenda fino a 309 euro.

Grida o notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o privata.[]

Articolo 657, contravvenzione abrogata. Commetteva questa contravvenzione, abrogata per effetto dell'articolo 18 della legge 25 giugno 1999, numero 205, colui che, con lo scopo di smerciare o distribuire scritti o disegni in luogo pubblico ovvero aperto al pubblico od esposto al pubblico, avesse annunciato o gridato notizie delle quali potesse essere turbata la tranquillità pubblica o privata.

Per la sussistenza della contravvenzione non era necessario il fine di lucro perchè la norma incriminatrice, accanto allo smercio, considerava la distribuzione. Un effettivo turbamento della tranquillità pubblica o privata non era richiesto, e si riteneva sufficiente che il fatto lo avesse reso possibile.

Procurato allarme presso l'autorità.[]

Articolo 658. Risponde di questo reato

chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l'Autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio.

L'incriminazione mira evidentemente ad impedire che l'attività della Pubblica Amministrazione sia messa in moto senza necessità oppure subisca deviazioni od intralci. L'annuncio deve avere l'attitudine a suscitare allarme, e cioè una giustificata apprensione con la conseguente possibilità di provvedimenti per fronteggiare i danni od i pericoliprospettati. Questi devono essere inesistenti, ma non è necessario che l'agente fosse di ciò pienamente consapevole. Trattandosi di semplice contravvenzione basta che a lui si possa rimproverare una leggerezza.

La sanzione corrisponde all'arresto fino a 6 mesi ovvero l'ammendo da 10 a 516 euro.

Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone.[]

Articolo 659. Sono previste due ipotesi: il caso di colui che mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni od il riposo delle persone; ovvero gli spettacoli, i ritrovi od i trattenimenti pubblici; il caso di chi esercita una professione od un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'Autorità.

Non è necessario che i rumori o le segnalazioni acustiche siano commessi per petulanza, capriccio od altri motivi biasimevoli. L'animus jocandi non esclude l'elemento soggettivo del reato.

Per la prima ipotesi, è previsto l'arresto fino a 3 mesi oppure l'ammenda fino a 309 euro; per la seconda, l'ammenda da 103 a 516 euro.

Molestia o disturbo alle persone.[]

Articolo 660. Incorre in questo reato

chiunque, in un luogo pubblico od aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.

Si ha petulanza quando si agisca in modo pressante, indiscreto od impertinente così da interferire, con effetti sgradevoli, nella sfera di altre persone, disturbandone la libertà ed il diritto alla quiete. Motivo biasimevole è qualsiasi altro movente riprovevole che produca lo stesso effetto.

è da ritenere che, se il fatto costituisca ingiuria, la contravvenzione ne rimane assorbita, salvo che manchi la querela o sia fatta remissione.

Per la sussistenza del reato occorre il dolo, perchè il fatto deve essere commesso pr petulanza o per altro biasimevole motivo.

è previsto l'arresto fino a 6 mesi ovvero l'ammenda fino a 516 euro.

Abuso della credulità popolare.[]

Articolo 661. Viene punito colui che

pubblicamente, cerca con qualsiasi impostura anche gratuitamente, di abusare della credulità popolare, se dal fatto può derivare un turbamento dell'ordine pubblico.

Questo fatto contravvenzionale consiste nel tenere di trarre vantaggio della credulità popolare, valea dire della corrività dlele persone a prestare fede derivante la deficienza di cultura, da scarsezza di intelligenza o da inclinazione superstiziosa. Il mezzo deve essere un'impostura di qualsiasi genere, intendendosi per impostura ogni atteggiamento malizioso diretto ad ingannare ed idoneo allo scopo in relazione alle persone verso cui si esplica.

Il fatto deve essere commesso pubblicamente e deve poter determinare un turbamento di ordine pubblico. Non occorre che tale turbamento si sia verificato.

La contravvenzione esige il dolo. Se l'impostura è diretta anche ad una persona determinata e sussistono gli altri requisiti della truffa, si avrà concorso fra i due reati.

La sanzione consiste nell'arresto fino a 3 mesi oppure l'ammenda fino a 1.032 euro.

Reati contro la fede pubblica.[]

Reati contro la fede pubblica in generale.[]

Il titolo VII del libro II del codice ha per oggetto la classe di reati che comunemente va sotto il nome di delitti contro la fede pubblica.

Esso si divide in quattro capi. Il primo contempla le falsità in monete, in carte di pubblico credo ed in valori di bollo, comprendendo anche le falsità relative ai biglietti di pubbliche imprese di trasporti. Il secondo prevede la falsità in sigilli o strumenti o segni di autentificazione, certificazione o riconoscimento. Il terzo, che è il più importante, tratta dell'ampia categoria delle falsità documentali denominata falsità in atti. Il quarto ed ultimo, il quale costituisce una novità del codice attuale in confronto al precedente, concerne un piccolo gruppo di reati che sono indicati col nome di falsità personali: la sostituzione di persona, alcune false attestazioni ai pubblici ufficiali, l'usurpazione di titoli ed onori.

è incontestato ed incontestabile che la materia dei reati che ci accingiamo a studiare è la più complessa. Le difficoltà dipendono dall'indole della materia la quale poco si presta ad essere concentrata e ridotta al sistema. Derivano anche dall'incertezza dei confini tra i fatti che meritano una pena e quelli che non è ragionevole o non è opportuno assoggettare alla sanzione punitiva.

La larga zona grigia esistente fra l'illecito ed il lecito penale fa sorgere una grande quantità di dubbi e di incertezze che danno molto filo da torcere alla dottrina ed alla giurisprudenza.

Per quanto già il Carrara avesse posto in guardia contro il pericolo del troppo specificare in una materia così proteiforme e complessa come quella del falso, essi hanno spinto agli estremi il metodo casistico.

Distinguendo e sottodistinguendo, spezzando, triturando le figure criminose, spesso per diversità di pene insignificanti, non solo hanno complicato notevolmente la materia, ma hanno dato occasione a molte controversie che ben potevano evitarsi Una grossa falcidia ne era stata proposta già fin dal Progetto del 1950. Ed anche lo schema di legge di delegazione per un nuovo codice penale redatto dalla Commissione Pagliaro contempla apprezzabili semplificazioni. Ne sono derivate anche non poche lacune.

La particolare difficoltà della materia rende assolutamente necessario in limine determinare con esattezza l'essenza di questa categoria di reati, indicando criteri chiari e precisi per individuarla e dedurne, poi, le conseguenze che logicamente ne derivano. Solo in questo modo sarà possibile evitare quell'empirismo e quelle improvvisazioni che fanno sì che l'applicazione delle norme giuridiche proceda quasi a caso e si dibatta, come purtroppo ora avviene, in un groviglio di incoerenze.

Falsificare significa porre in essere una situazione capace di far apparire la realtà diversa da quella che è, e, quindi, atta a provocare un giudizio contrario al vero.

L'intenzionale alterazione del vero nella quale si compendia il concetto della falsificazione, assume due profili che bisogna tenere ben distinti. è falsa la dichiarazione che contrasta con la verità, e cioè la dichiarazione menzognera. Non genuino e mendacee, quindi, sono i due significati che, in genere, può assumere il termine falso.

La differenza ora prospettata ha grande importanza nella teoria del falso.

L'immutatio veri è destinata a provocare un giudizio erroneo. Ciò significa che è destinata ad ingannare. Falso ed inganno sono due concetti indissolubilmente collegati; il che si desume dalla stessa origine della parola falsum, la quale, secondo l'opinione più attendibile, deriva dal verbo fallere.

Mentre vi sono alcune falsità che possono trarre in inganno una sola persona od un numero ristretto di persone, come avviene di regola negli uffici o raggiri che si usano per commettere una trugga od altri delitti del genere, ve ne sono non poche che hanno la capacità di ingannare il pubblico, e cioè un numero indeterminato di individui.

Fatto questo rilievo, non è compiuto che il primo passo per comprendere la natura dei reati in discorso. Per averne un'idea esatta e completa bisogna individuare, porre in evidenza la ragione di cui deriva la possibilità di trarre in inganno un numero indefinito di persone.

Se noi ricerchiamo tale ragione, non possiamo non constatare che la possibilità di trarre in inganno il pubblico deriva dal fatto che il falso concerne un quid che gode di un particolare credito. è un'esigenza insopprimibile della vita collettiva che a determinate cose, segni od attestazioni sia attribuito valore probatorio perchè senza di ciò lo svolgimento dei rapporti tra gli uomini sarebbe fortemente ostacolato. Siccome la generalità delle persone, per le esigenze e le consuetudini della vita sociale, presta fede a certi oggetti o dichiarazioni, la falsità di essi può ingannare un numero indeterminato di individui.

Si desume che la nota che caratterizza i delitti contro la fede pubblica consiste nel fatto che l'attività del reo si svolge su cose o con dichiarazioni che nella comunità sociale godono di un particolare credito.

Ciò appare palese nelle falsità documentali. La funzione naturale de documenti è quella di servire alla prova.

è anche evidente rispetto alla falsità in contrassegni, giacchè il contrassegno è destinato a garantire la provenienza di una determinata cosa, oppure una sua qualità o quantità.

Il carattere anzidetto si riscontra pure nelle falsità in valori pubblici. Anche in questo campo l'azione criminosa ha per oggetto cose che sono contraddistinte da segni particolari che hanno il compito di ispirare fiducia alla generalità dei cittadini.

Tale carattere non manca nelle falsità personalità, giacchè si tratta di dichiarazioni che trovano credito nei rapporti della vita in comune per le speciali modalità con cui sono rese.

La caratteristiche che abbiamo prospettato, già intravista da vari criminalisti italiani, ed in specie dal Pessina, è stata posta nel più netto rilievo ed illustrata dal Binding. Successivamente il Carnelutti in un libro assai interessante e ricco di penetranti rilievi, ha ribadito lo stesso ordine di idee, che ha alquanto forzato, sostenendo che gli scavi per le fondazioni della teoria del falsosboccano inevitabilmente nei principi processualistici delle prove.

è nostro fermo convincimento che, nello studio dei delitti contro la fede pubblica, non abbia mai perdersi di vista la caratteristica di cui abbiamo parlato.

Conviene tener presente che il nostro codice, nel titolo relativo ai delitti contro la fedde pubblica, non ha contemplato tutti i fatti criminosi che hanno la possibilità di trarre in inganno un numero indeterminato di persone. Ne ha escluso le falsità giudiziali, alcuni delitt contro lo stato di famiglia, le frodi nel commercio ed altri reati.

Per l'incontro, il legislatore nel titolo VII non ha considerato soltanto le valsità vere e proprie. Vi ha compreso alcune attvità che rappresentano l'utilizzazione della cosa falsificata.

Avendo ritenuto opportuno sottoporre a pena alcune azioni perentorie del falso in considerazione della speciale importanza degli interessi offesi da questi reati, il legislatore ha incluso anche queste attività tra i delitti contro la fede pubblica.

La dottrina dominante considera come oggetto giuridico o come oggetto della tutela penale del gruppo di reati in discorso la fede pubblica.

Il concetto della fede pubblica, nel senso in cui intende la nostra dottrina, no ha origine molto remota. L'adozione di esso viene attribuita al Filangeri.

Sulle orme dell'opera fondamentale di Arturo Rocco, la Relazione illustrativa del Progetto del codice vigente spiega la fede pubblica come la fiducia che la società ripone negli oggetti, segni e forme esteriori, ai quali l'ordinamento giuridico attribuisce un valore importante.

Secondo l'opinione corrente la pubblica fede costituisce un vero e proprio bene od interesse giuridico, un'entità reale, e titolarità ne è la società, vale a dire la collettività vivente nello Stato.

Non è superfluo notare che, per vario tempo, la dottrina italiana aveva ritenuto che la fede pubblica traesse origine da un comando dell'Autorità. In tale ordine di idee, il Carrara aveva scritto che è fede pubblica quella che deriva da un prescritto dell'autorità che la impone. Il grande criminalista aveva affermato che la prima è pubblica soggettivamente perchè costituisce la credenza di tutti i cittadini, ed è tale oggettivamente perchè promana dall'Autorità pubblica.

Questa idea, rimasta ferma nella dottrina per vario tempo è scomparsa in più recenti elaborazioni, tra le quali è particolarmente degna di nota quella del Manzini. Per questo illustre scrittore, affinchè la fiducia assuma il carattere di fede pubblica, non occorre che un precetto la imponga, sono le necessità e le consuetudini della vita sociale che la fanno sorgere e perciò la pubblica fede deve considerarsi come un fenomeno collettivo, come un costume sociale. Il Manzini definisce la pubblica fede

quella fiducia usuale che lo stesso ordinamento dei rapporti sociali e l'attuazione pratica di esso determina tra i singoli o tra la pubblica Autorità ed i soggetti, relativamente all'emissione e circolazione monetaria, ai mezzi simoblici di pubblica autenticazione ai documenti e qualità delle persone.

Il concetto della fede pubblica non è andato esente da criteri. Si è detto specialmente che esso è ambiguo, indeterminato ed artificioso. Di questa opinione si sono manifestati, in passato, fra gli altri, il Gabba, il Frassati, il Maino. Nella dottrina germanica analoghe critiche sono state mosse da due grandi criminalisti: il von Liszt ed il Binding. Il primo, dopo aver rassomigliato la pubblica fede ad uno di quegli animali marini che seducono lo sguardo per la loro fosforescenza, ma, presi fra le mani, si sciolgono in una massa gelatinosa, ha affermato che i delitti di falso monetario e quelli di falso documentale hanno in comune soltanto il mezzo dell'offesa.

In italia si sono pronunciati contro la dottrina dominante il Delitalia, il Borettini ed il De Marsico. Quest'ultimo ha espresso l'opinione che la pubblica fede non costituisca un bene giuridico, ma semplicemente il predicato di determinate cose materiali: un predicato di relazione tra queste cose e le generalità dei cittadini.

A noi sembra che non possa negarsi alla teoria dominante un fondamento di verità. La fiducia che la generalità dei cittadini, in un certo luogo e momento, ripone in determinati oggetti, segni ed attestazioni, non è un prodotto dell'immaginazione, non è una creazoine della fantasia dei giuristi, ma una realtà. La convivenza sociale la presuppone, giacchè siffatta fiducia è indispensabile per il normale svolgimento della vita in comune. Se il concetto di fede pubblica viene precisato nel senso di fiducia e sicurezza nelle relazioni giuridiche, come sembra opportuno, il concetto stesso non può considerarsi più indeterminato di molti altri che trovano generale accoglimento nella nostra disciplina.

La pubblica fede esattamente può considerarsi e viene considerata un interesse sociale meritevole di protezione da parte dello Stato, come riconosce anche il Carnelutti, il quale pure giudicava vana ed infeconda la ricerca intorno al bene giuridico offeso dai delitti di falso. Il brillante giurista scrive che

ciò che si chiama pubblica fede, ossia il potersi ciascuno fidare delle prove, è un pubblico interesse analogo alla pubblica sicurezza ed alla pubblica nettezza, notando che come le strade debbono essere pulite e sicure, così le prove devono essere genuine e veritiere.

Il difetto della dottrina dominante non sta nell'aver considerato la pubblica fede come oggetto giuridico del gruppo di reati di cui si parla.

Bisogna riflettere che, nella realtà delle cose, il falso non è mai, o quasi mai, fine a sè stesso, Non si falsifica per falsificare, ma per conseguire un risultato che sta al di là della falsificazione. Di ciò è agevole convincersi, considerando che il falso è una specie di frode e che la frode, al pari della violenza e della minaccia, non è che una modalità dell'azione per offendere determinati interessi. L'attività del falsario non ha per oggetto la pubblica fede. Contrasta con la realtà, ed anche col buon senso, dire che il falsario agisce per offendere tale fede: egli la offende per uno scopo ulteriore che è il vero punto di mira della sua attività criminosa.

Il fatto che il falso non è fine a sè stesso è implicitamente riconosciuto dal legislatore, il quale, mentre sottopone a pena gli atti di utilizzazione della cosa falsificata, come, ad esempio, l'uso di un atto falso o la spendita di moneta non genuina, esige sempre la condizione negativa della mancanza di concorso nella falsificazione.

Ci sembra tutt'altro che difficile individuare il risultato a cui si dirige l'attività del falsario: si tratta dell'offesa di quell'interesse particolare che sarebbe salvaguardato se i mezzi probatori non fossero falsati; in altri termini, di quell'interesse specifico che è garantito dalla genuinità e veridicità dei mezzi di prova.

Anche questi interessi specifici sono protetti dalle norme che incriminano le falsità. La tutela che l'ordinamento giuridico appresta ad essi non + semplicemente occasionale, ma immediata e diretta.

Che si tratti di protezione immediata e diretta si desume da un fatto che, se non ci inganniamo, ha un valore assai preponderante: al titolare dell'interesse specifico che è leso o posto in pericolo dall'azione del falsario è riconosciuto è riconosciuto il diritto al risarcimento del danno.

Gli organi giudiziari non hanno mai avuto esitazioni su questo punto: essi hanno sempre ammesso i danneggiati dal falso a costituirs parte civile nel processo penale. Il riconoscimento della pretesa riparatoria dimostra, senza alcun dubbio, che gli interessi di queste persone sono tutelati direttamente dall'ordine giuridico, perchè non è sostenibile che quel diritto possa competere a titolari di interessi che hanno nella legge una protezione soltanto mediata.

La verità del nostro assunto è confermata anche da un altro fatto che è passato inosservato come il precedente.

Tutte le legislazioni configurano parecchie ipotesi di falsità, graduandole in vario modo. La maggiore o minore fiducia, la credibilità che è attribuita al mezzo probatorio e quindi, la gravità dell'offesa alla pubblica fede è tenuta presente dal legislatore.

I delitti contro la fede pubblica appartengono alla larga categoria dei reati plurioffensivi, e cioè dei reati che offendono più interessi. In essa si riscontrano due offese: una comune a tutti i delitti della categoria, l'altra che varia da delitto a delitto. La prima concerne la pubblica fede; la seconda l'interesse specifico che è salvaguardato dall'integrità dei mezzi probatori. Questa opinione è contrastata da chi assume che gli interessi specifici salvaguardati dall'integrità dei mezzi di prova sarebbero protetti soltanto in via mediata anche perchè spesso individuabili solo in un secondo tempo.

La reciproca posizione delle due offese è perfettamente identica a quella che si verifica nei numerosi reati nei quali la legge considera quale elemento costitutivo la violenza o la minaccia.

Nei delitti previsti nel titolo VII del libro II del codice, due sono gli oggetti dell'offesa e della tutela penale: la pubblica fede, e cioè la fiducia e sicurezza del traffico giuridico, da una parte, e, dall'altra, l'interesse specifico che trova una garanzia nella genuinità e veridicità dei mezzi probatori, intesi questi ultimi nel senso indicato, vale a dire nel senso di oggetti o dichiarazioni che, per il costume sociale, godono di un particolare credito nei rapporti della vita in comune.

In ordine al primo oggetto, è del tutto inutile indagare se si tratti di lesioni oppure di messa in pericolo, perchè è praticamente difficile, per non dire impossibile, distinguere l'unica forma dall'altra, come è stato più volte rilevato. Rispetto al secondo deve ritenersi che la lesione dell'interesse particolare garantito dal mezzo di prova, e cioè un danno effettivo, non sia necessaria: basta che quell'interesse sia minacciato.

La concezione dei delitti contro la fede pubblica come reati aventi un duplice oggetto giuridico non ha un valore puramente teorico: essa impronta notevoli conseguenze pratiche e getta una viva luce nell'interpretazione delle norme legislative. Il carattere plurioffensivo dei delitti di falso è negato da una giurisprudenza della Corte di Cassazione avuto riguardo alla falsità in atto pubblico, sul presupposto che il nocumento correttivo è insito nella semplice violazione delle guarentigie probatorie accordate all'atto. Implicitamente escludono tale carattere tutte le sentenze che ravvisono il contenuto del dolo nei reati di falso nella semplice coscienza e volontà dell'immutatio veri. Un determinante passo avanti sembra essere compiuto dalla sentenza della Cassazione 3 luglio 1984, ove si assume che non basta al falso in atto pubblico la lesione della pubblica fede, ma è altresì necessaria l'offesa di una specifica situazione probatoria.

La parola falso ha due significati: non genuino e non veritiero. Spingendo un po' a fondo l'indagine, si scorge che la non genuinità si riferisce alle cose. La non veridicità riguarda sempre e soltanto le dichiarazioni, siano a no riprodotte in una scrittura.

Il codice quando vuole indicare la non genuinità, usa di regola i verbi contraffare od alterare. Con il termine contraffare intende riferirsi al fatto che l'oggetto è stato posto in essere da persona non autorizzata, mentre con la parola alterare considera l'ipotesi che l'oggetto, pur provenendo dall'autorizzato, ha subito delle modificazioni non consentite.

Per l'incontro, nei casi cui vuole colpire la non veridicità della dichiarazione, il codice usa in genere l'espressione attesta falsamente.

Non è superfluo rilevare che, in tutte le ipotesi accennate, si ha quella che comunemente viene detta immutatio veritatis, giacchè, anche nei casi in cui l'oggetto è contraffatto od alterato, il vero è mutato, in quanto si fa apparire una provenienza diversa, in tutto od in parte, dalla reale.

Le varie formule con cui la legge designa le azioni che concretano le falsità, specialmente le espressioni alterare ed attestare falsamente, hanno un significato assai esteso. Può essere ammessa la correzione di errore materiale ma non la modificazione con aggiunte pur se dirette a riportare il documento alla verità.

I fatti che rientrano nelle formule della legge, prese alla lettera, sono innumerevoli ed è fuori dubbio che non tutti meritano di essere assoggettati ad una pena. Di qui la necessità assoluta di sceverare, dall'ambito di essi, le falsità giuridicamente rilevanti. Qual è la nota che distingue tali falsità dalle altre? Non può essere che il danno od il pericolo di danno.

L'esigenza indicata è così ovvia che da gran tempo è stata esplicitamente, e nel modo più netto, riconosciuta dai criminalisti. Già Ippolito de' Marsilii scrisse: falsitas quae nemini nocet non punitur ed affermazion analoghe si riscontrano pressochè in tutti i pratici del Medioevo. Anche i giuristi dell'epoca successiva non posero mai in dubbio quel principio basilare che l'amplissima estensione del concetto astratto di falso impone in modo perentorio.

I compilatori del codice attuale non si sono allontanati da questa direttiva. La Relazione ministeriale al Progetto definitivo, nel giustificare una modificazione nella formula che prevedeva la falsità in atti pubblici, e precisamente la soppressione dell'inciso

ove ne possa derivare pubblico o privato nocumento

che figurava nel codice Zanardelli all'articolo 275, dichiara che tale espressione

non può assolutamente apparire in contrasto con le fonti e resta perfettamente vero che falsitas non punitur quae non solum non nocuit, sed nec erat apta nocere.

Il Manzini non meno esplicitamente afferma che

se in concreto risulta che la falsità non è suscettiva di produrre alcun danno, pubblico o privato, il delitto non sussiste, perchè non esiste una falsità giuridicamente considerabile.

Le tendenze formalistiche che in questi ultimi decenni sono prevalse nella nostra dottrina e giurisprudenza con la conseguente avversione per ogni indagine che vada al di là della corteccia della squama verbale delle norme giuridiche, praticamente hanno finito con lo svuotare di contenuto il grande principio tradizionale.

Ciò si è verificato specialmente nel settore più delicato del falso, che è quello che concerne i documenti. Così si afferma comunemente che un danno vi è sempre nelle falsità in atti pubblici, perchè in ogni caso è menomata la fede pubblica inerente alla forza probante dell'atto. Ne è derivato un estremo rigore nella repressione delle irregolarità formali compiute dai pubblici ufficiali, rigore che può portare persino a condannare per falso in atto pubblico il notaio che fa firmare dalla stessa l'atto in un momento successivo.

Il peggio è che siffatto rigorismo non è adottato costantemente: si attua in modo saltuario e sporadico nei casi che per motivi contingenti capitano sotto gli occhi del magistrato. L'affermazione generale secondo cui un danno vi è sempre nelle falsità in atti pubblici, viene spesso dimenticata.

La dottrina ha talora sottolineato il prevalre del diritto giurisprudenziale, con evidenti effetti negativi sul piano della certezza delle incriminazioni.

Questi deplorevoli sbandamenti non si verificherebbero se si tenesse presente questo dinnanzi abbiamo esposto sull'essenza dei delitti in discussione, e precisamente che essi hanno due oggetti giuridici: la fede pubblica e l'interesse che è salvaguardato dalla genuinità e veridicità dei mezzi probatori.

Dall'esigenza che il fatto offenda la pubblica fede deriva che è necessario che la cosa contraffatta od alterata, oppure la dichiarazione mendace sia idonea ad ingannare il pubblico.

Di qui l'impunità del falso grossolano: vale a dire, delle falsità che non può trovare alcun credito presso le persone a cui è destinata. Nel senso che l'inidoneità del mezzo e dell'azione fa venir meno la punibilità quando abbia carattere assoluto e sia tale da escludere la possibilità dell'inganno e con essa la lesione o la messa in pericolo dell'interesse tutelato dalla norma.

è opportuno mettere in rilievo che l'illazione non giustifica l'opinione di quegli autori che considerano l'imitatio veri come un requisito del falso punibile. Non può escludersi l'ipotesi che, anche senza l'imitazione del vero, sussista la possibilità di ingannare il pubblico.

Ma l'offesa della pubblica fede non basta ad integrare il momento oggettivo, e cioè quella che comunemente si dice materialità dei reati di falso. Occorre che sia offeso anche l'altro bene che è tutelato dalle norme incriminatrici.

Dalla nozione del falso esposta discende che è giuridicamente irrilevante non solo il falso che non è idoneo ad ingannare il pubblico, ma anche il falso che non può ledere e neppure mettere in pericolo gli interessi specifici che trovano una garanzia nella genuinità e veridicità dei mezzi probatori.

La dottrina e la giurisprudenza sono tormentate da una grande incertezza e disparità di opinioni, mentre domina un rigorismo non minore di quello che si verifica a proposito dell'elemento materiale.

Nel terreno indicato il rigore, più che dal formalismo prevalente, deriva da un'altra tendenza che è ancora assai diffusa in Italia, e cioè la tendenza a limitare al massimo, nell'accertamento dei reati, le indagini di carattere psicologico, e ciò per il timore che, attraverso queste ricerche, le quali per propria natura sono sempre difficili e delicate, gli autori dei fatti criminosi riescono a sfuggire alle maglie della giustizia.

Il problema della configurazione del dolo viene dibattuto specialmente a proposito delle falsità documentali, ma ciò che ci accingiamo ad esporre vale per tutte le falsità.

La più cruda espressione del rigorismo dominante è costituita dal principio, patrocinato, in passato, in modo esplicito, tra gli altri dall'Impallomeni, del dolus in re ipsa, e cioè del principio secondo cui il dolo è insito nel fatto stesso della falsificazione.

La critica di questa opinione non richiede un lungo discorso. Il principio del dolus in re ipsa costituisce un vero e proprio anacronismo: è sostanzialmente un ritorno alle concezioni delle epoche primitive, nelle quali la repressione penale si basava esclusivamente sulla materialità del fatto.

Non si allontanano molto dal principio del dolus in re ipsa quegli scrittori i quali, sulla falsariga di dichiarazioni che si leggono nella Relazione illustrativa del Progetto del codice attuale, ritengono che nel falso non occorra altra indagine che quella concernente la coscienza e volontà dell'immutazione del vero, sostenendo che basta accertare che il colpevole abbia consapevolmente voluto il fatto della falsificazione.

Il Manzini va un poco al di là ed afferma che per il dolo è necessaria la volontà cosciente e libera di compiere la falsificazione per rendere possibile un inganno circa l'autore od il tenore del documento, aggiungendo che

se l'agente non volle preparare siffatto inganno, viene meno, in ogni caso il delitto di falso documentale.

La Cassazione, nei primi tempi dopo l'entrata in vigore del codice attuale, si ispira ad una certa larghezza, ed in più occasioni negò la sussistenza del dolo quando l'autore del falso avesse agito con la positiva convinzione dell'assoluta innocuità del suo operato. Successivamente la Cassazione si è irrigidita in una giurisprudenza informata al massimo rigore, proclamando che, nei delitti di falso, il dolo consiste nella cosciente e volontaria immutazione del vero senza che sia necessaria la ricerca di una intentio nocendi e neppure di quella intentio decipiendi a cui accennava il Manzini.

Questo rigorismo, contro il quale invano si sono levate le voci autorevoli del De Marsico, del Maggiore e del Pannain, non trova alcuna a giustificazione, perchè non è assolutamente possibile ridurre il dolo, che è la forma tipica della colpevolezza, alla semplice volizione del comportamento. Per sua intrinseca natura, il dolo non può prescindere dalla consapevolezza del carattere antisociale del fatto.

Se ciò si ammette, bisogna dedurne che, nei delitti di falso, a costituire il dolo non è sufficiente la colpevole volontà di immutare il vero, ma occorre che il soggetto si renda conto di nuocere ad altri, vale a dire di ledere o porre in pericolo interessi che non sono di sua spettanza. Soltanto a questa condizione si può dire che egli abbia dolosamente realizzato il fatto.

Accogliendo quest'ordine di idee, si spiega agevolmente come la punibilità debba essere negata per difetto dell'elemento soggettivo, tra l'altro, nei seguenti casi che sono stati spesso prospettati nelle discussioni svoltesi in dottrina: taluno falsifica un ordine dell'Autorità per giocare ad alcune persone un pesce d'aprile, nel senso che il fine di scherzo o gioco non esclude di norma il dolo generico e non scrimina se concorre la possibilità dell'inganno; un individuo imita la firma di una persona esclusivamente per dimostrare la sua abilità calligrafica; un incisore riproduce una moneta per puro fine di studio artistico; un industriale fabbrica senza autorizzazione un piccolo quantitativo di carta filigranata a scopo di esperimento.

Quasi tutti gli autori sono d'accordo nel riconoscere che questi e simili casi debbono rimanere impuniti, ma tale riconoscimento non si concilia punto col principio che si proclama, secondo il quale, per l'esistenza del dolo, basta la consapevole volontà di immutare il vero.

Dalla nostra concezione deriva così la conseguenza che, anche nei reati di falso, per il disposto dell'articolo 47 del codice, il dolo è escluso allorchè il soggetto erroneamente crede che il suo falso sia innocuo; ma è questa forse un'illazione da respingere? No. Essa era ammessa dalla dottrina nei tempi più luminosi della scienza criminalistica italiana. Basterà, in proposito, ricordare l'insegnamento del Carrara, il quale scrisse che si ha buona fede

non solo quando si crede vero ciò che è falso, ma anche quando, conoscendo la falsità, si crede che essa sia innocua e non si prevede in alcun modo la possibilità del nocumento.

Osiamo sperare che la nostra concezione del falso finirà col riscuotere nella giurisprudenza quei larghi consensi che ha ottenuto in dottrina.

Falsità in valori pubblici.[]

Le falsitù contemplate nel capo I del titolo concernente i delitti contro la fede pubblica riguardano i seguenti oggetti: le monete, le carte di pubblico credito, i valori di bollo. Accanto a questi, che sono veri valori pubblici, il codice, per ragioni di affinità, considera i biglietti di pubbliche imprese di trasporto.

Per moneta si intende un disco metallico il cui peso e titolo sono garantiti dallo Stato e provati dall'integrità delle impronte che ne coprono la fattispecie e della provenienza della coniazione delle zecche autorizzate ad eseguirle.

Le monete prese in considerazione dalla legge non sono soltanto quelle nazionili, ma anche quelle straniere, e ciò in base ad accordi internazionali-

Non tutte le monete, italiane ed estere, però rientrano nella previsione delle norme che ci accingiamo ad illustrare. SI esige che esse abbiano corso legale, vale a dire che siano dichiarate dallo Stato mezzi validi di pagamento con efficacia liberatoria.

Per carte di pubblico credito si intendono oltre quelle che hanno corso legale come moneta, le carte e cedole al portatore emesse dal governo e tutte le altre aventi corso legale emesse da istituti a ciò autorizzati.

Quanto ai valori di bollo, come risulta dall'articolo 459 comma 2, essi consistono nella carta bollata, nelle marche da bollo, nei francobolli e negli altri valori equiparati a questi da leggi speciali. Non rientrano nella nozione i francobolli non più in uso e quelli che portano il segno di annullamento e che sono destinati ai collezionisti. Occorre che i francobolli non siano contraffatti in modo da poterli ingannevolmente impiegare per l'affrancazione postale.

Biglietti di pubbliche imprese di trasporto sono non solo i biglietti delle strade ferrate, ma anche quelli delle imprese che hanno carattere di pubblica utilità. Vi sono compresi i biglietti di accesso alle stazioni e di deposito dei bagagli e delle merci.

Per il deposito della prima parte dell'articolo 458 le carte di pubblico credito sono parificate alle monete e possono essere riunite a queste nella trattazione, per quanto per propria natura costituiscano documenti, mentre le monete sono cose contrassegnate.

Falsità in monete ed in carte di pubblico credito sono contemplate negli articoli da 453 a 457.

Scopo specifico delle incriminazioni è la tutela della regolatià della circolazione monetaria, regolarità che implica anche la salvaguardia degli interessi finanziari e patrimoniali degli enti autorizzati all'emissione delle monete.

La tutela è estesa anche ai privati che risultino danneggiati dalla falsità.

La sussistenza dei delitti monetari presuppone che la contraffazione o l'alterazione siano tali da poter trarre in inganno il pubblico, e cioè un numero indeterminato di persone. Le monete falsificate devono essere spendibili. Una falsificazione così grossolana da non poter ingannare chi maneggia il denaro, potrà dar luogo al delitto di truffa od ad un reato previsto da leggi speciali, ma non ai reati di cui si tratta.

Il momento consumativo delle varie figure criminose si verifica quando le singole ipotesi descritte nelle norme incriminatrici sono realizzate al completo. Se il fatto rimane incompiuto, si ha tentativo.

Il dolo consiste nella coscienza e volontà di realizzare uno dei fatti descritti nelle norme incriminatrici, conoscendo la falsità delle monete e rendendosi conto che il comportamento contrasta con le esigenze della vita in comune. Sui criteri per provare la scienza della falsità, la giurisprudenza pone in rilievo il numero delle monete o dei biglietti detenuti ed il difetto di indicazioni da parte dell'imputato sulla loro provenienza. Il fatto non è punibile per difetto dell'elemento soggettivo, oltre che nel caso dell'incisore che riproduce una moneta per puro scopo di studio artistico nell'ipotesi di colui che altera delle monete d'oro per trarformarle in ornamento, oppure che contraffà biglietti di banca per dimostrarsi ben fornito di denaro. Quando la legge espressamente richiede il fine di mettere in circolazione le monete false, si richiede in più tale fine. Nel senso che questa finalità può essere desunta soltanto da elementi sintomatici gravi e convergenti, idonei a rappresentare, in modo inequivoco, l'intenzione della messa in circolazione, elementi quali il numero ed il valore delle false monete detenute, il tempo intercorso tra la ricezione e la spendita delle stesse, lo scopo della conservazione e della mancata consegna all'autorità.

Un'esimente speciale è prevista nell'articolo 463: essa si verifica a favore di colui che riesce, prima che l'Autorità ne abbia notizia, ad impedire la contraffazione, l'alterazione, la fabbricazione o la circolazione delle monete. La giurisprudenza della Cassazione è pressochè concorde nel negare che, nel falso nummario, possa essere presa in considerazione l'attenuante comune della lieve entità del danno.

Le sanzioni sono: per i fatti contemplati nell'articolo 453 la reclusione da 3 a 12 anni e la multa da 516 a 3.098 euro; per quelli previsti nell'articolo 454 la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 103 a 516 euro; per i reati di cui all'articolo 455 la pena stabilita nei due articoli precedenti ridotta da un terzo alla metà, cioè, per fissare il minimo della pena si attuerà la diminuzione massima della metà e per determinare il massimo si computerà la diminuzione minima, di un terzo; per la messa in circolazione di monete falsificate ricevute in buona fede, articolo 457, la reclusione fino a 6 mesi oppure la multa fino a 1.032 euro. La circostanza aggravante contemplata nell'articolo 456 ha carattere oggettivo ed esercita il suo effetto sulal pena ordinaria del delitto, secondo le regole generali.

Contraffazione.[]

Prevista nell'articolo 453 numero 1, consiste nella fabbricazione di monete da parte di persone od enti che non sono a ciò autorizzati. Il valore intrinseco dell'oggetto contraffatto è indifferente, dato lo scopo dell'incriminazione.

Alterazione.[]

Presuppone l'esistenza di una moneta genuina e consiste in una modificazione del suo valore.

L'alterazione è prevista in due distinte ipotesi.

La prima, contemplata nel numero 2 dell'articolo 453, si ha quando in qualsiasi modo vengono alterate monete genuine, dando ad esse l'apparenze di un valore superiore. Afferma il concorso tra l'ipotesi di cui all'articolo 453 del codice penale e quella di cui all'articolo 461 del codice penale

qualora vi sia una soluzione di continuità tra l'azione che perfeziona il reato meno grave e la condotta che integra quello più grave e non si esaurisca in quest'ultimo il complesso dell'attività esplicatasi.

La seconda ipotesi è configurata nell'articolo 454 e si verifica allorchè il valore intrinseco della moneta è scemato mediante tosatura, raschiatura, segatura, elitrolisi, trattamenti chimici, eccetera, il che di regola si verifica per utilizzare il metallo sottratto.

A queste due fattispecie il codice ne aggiunge altre che consistono nell'utilizzazione della moneta contraffatta od alterata. Esse presuppongono sempre che il soggetto non sia concorso nella falsificazione, perchè altrimenti, in base ai principi generali, egli dovrebbe considerarsi compartecipe del fatto.

Introduzione nello Stato di monete falsificate.[]

Si tratta dell'importazione dall'estero nel territorio dello Stato di monete contraffatte od alterate. Il codice distingue: l'importazione effettuata di concerto con chi ha eseguito la contraffazione o l'alterazione ovvero con un suo intermediario, prevedendola nel numero 3 dell'articolo 453; l'importanza che si verifica senza il detto accordo, ma al fine di mettere in circolazione le monete falsificate. Questa seconda ipotesi è contemplata nell'articolo 455.

Acquisto o ricezione di monete falsificate.[]

Si richiede in ogni caso che il soggetto sia entrato in possesso delle monete contraffatte od alterate al fine di metterle in circolazione.

Anche a proposito di questa ipotesi il codice distingue secondo che le monete siano state acquistate o comunque ricevute da chi le ha falsificate o da un suo intermediario, oppure da altre persone.

Detenzione di monete falsificate.[]

La detenzione di monete contraffatte od alterate è punita, quando si verifica di concerto col falsificatore o con un suo intermediario, oppure senza il detto concerto, ma al fine di metterle in circolazione.

Essa implica la disponibilità delle monete. accompagnata dal corrispondente animus.

Spendita o messa in circolazione di monete falsificate.[]

La spendita consiste nel dare la moneta, in qualsiasi modo, ad un terzo in cambio di un'altra cosa. Per la messa in circolazione basta che la moneta sia fatta uscire dalla propria sfera di custodia, trasferendola ad altri, eventualmente anche a titolo gratuito. Tanto la spendita quanto la messa in circolazione implicano l'accettazione della moneta falsificata da parte del terzo.

Il fatto dà luogo a tre distinte ipotesi criminose, secondo che: venga compiuto di concerto con chi ha contraffatto od alterato la moneta oppure con un suo intermediario; sia compiuto senza il detto accordo con monete ricevute conoscendone la falsità; si verifichi rispetto a monete contraffatte od alterate, ricevute dall'agente in buona fede, e cioè ignorandone la falsità.

Quest'ultima ipotesi rappresenta la figura più tenue di falso nummario, perchè il soggetto agisce per evitare a sè un danno pecuniario, riservandolo su altri.

Si richiede che l'agente, prima di mettere in circolazione la moneta, sia venuto a conoscenza della sua falsità. Poichè l'affermazione di responsabilità ai sensi dell'articolo 457 del codice penale suppone la ricezione in buona fede delle monete contrafatte od alterate, la giurisprudenza si è chiesta più volte quali siano gli effetti della mancata prova della buona fede iniziale. La Corte costituzionale ha talora asserito che il principio del favor rei il difetto della suddetta deve andare a vantaggio dell'imputato, chiamato a rispondere del meno grave reato di cui all'articolo 457. Più volte la Corte ha posto il rischio per la mancata prova a carico dell'imputato, ritenuto responsabile ai sensi dell'articolo 455, assumendo al più che l'allegazione di buona fede senza specifica dimostrazione poteva essere ritenuta valida nel caso di spendita sporadica. Nella recente giurisprudenza di merito, afferma che il fatto di sottrarsi all'identificazione, pur avendone la possibilità, costituisce elemento indicativo della mancanza di consapevolezza della falsità della banconota spesa.

Falsità in valori di bollo.[]

Per valori di bollo si intendono la carta bollata, le marche da bollo, i francobolli e gli altri valori che a questi sono equiparati dalla legge. Tra questi ultimi vanno ricordati le marche assicurative, le cambiali, oltrechè i francobolli stranieri.

Sanzioni: per il reato contemplato nell'articolo 459 le pene stabilite negli articolo 453, 455 e 457 ridotte di un terzo; per il reato di cui all'articolo 464 la reclusione fino a tre anni, nonchè la multa fino a 516 euro nell'ipotesi tipica, mentre nella forma attenuata si applica la pena stabilita nell'articolo 457 ridotta di un terzo; per l'illecito di cui all'articolo 466, sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 619 euro. Nel caso di uso di valori alterati ricevuti in buona fede la sanzione amministrativa pecuniaria da 51 a 309 euro.

Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati.[]

L'articolo 459 stabilisce:

Le disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 si applicano anche alla contraffazione od alterazione di valori di bollo ed all'introduzione nel territorio dello Stato od all'acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori di bollo e contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.

Questa disposizione non ha bisogno di commenti: per essa vale quanto si è detto nei riguardi nel falso nummario. La Cassazione, in una recente pronuncia, ha ritenuto integrato, sia pure in forma tentata, il delitto di cui all'articolo 459 del codice penale nella condotta consistente nel possesso dell'hard disk contenente immagini di valori bollati, in un caso in cui l'agente era stato sorpreso nell'imminenza di procedure alla stampa delle immagini riprodotte.

Ai falsi previsti nell'articolo 459 è applicabile l'esimente speciale di cui all'articolo 463. L'autore va esente da pena, se, prima che l'Autorità abbia notizia del fatto, riesce ad impedire la contraffazione, l'alterazione, la fabbricazione o la messa in circolazione dei valori di bollo falsificati.

Uso di valori di bollo contraffatti od alterati.[]

Per l'articolo 464 è punito

chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, fa uso di valori di bollo contraffatti od alterati.

L'uso di cui si parla è quello che corrisponde alla naturale destinazione del valore di bollo; non rientra nella previsione della legge l'uso a scopo collezionistico di francobolli falsificati. In tal caso potrà eventualmente ricorrere il delitto di truffa.

Si ha una forma attenuata in questo reato quando i valori falsificati sono stati ricevuti in buona fede.

Alterazione di segni nei vallori di bollo ed uso degli oggetti così alterati.[]

Nell'articolo 466 sono previste due ipotesi: il fatto di colui che cancella o fa in qualsiasi modo scomparire da valori di bollo i segni appostivi per indicare l'uso già fattone qualora ne faccia uso o lascia che altri ne faccia uso, in passato, qusndo l'ipotesi era ancora reato, è stato fatto salvo il caso di marche assicurative annullate per errore, e poi recuperate ed utilizzate regolarmente, ravvisondasi in essa solo un illecito amministrativo; il fatto di chi, senza essere concorso nell'alterazione, fa uso dei dei valori di bollo alterati.

Anche in ordine a questa seconda ipotesi è sancita una pena minore per il caso che i valori alterati siano stati ricevuti in buona fede.

Attività preparatorie punibili.[]

Allo scopo di rafforzare la repressione della falsità in moneta, carte di pubblico credito e di valori di bollo, il codice incrimina le seguenti attività preparatorie che non rientrano nella schema del tentativo.

Filigrane sono i punzoni, le forme o le tele che servono per fabbricare la carta filigranata, operazione che è riservata allo Stato ed agli enti autorizzati dalla legge. Sono strumenti destinati esclusivamente alla falsificazione, gli apparecchi meccanici apprestati per questo scopo, restandone escluse le materie prime ed i modelli che abbiano la medesima destinazione. Gli ologrammi, introdotti con particolare riguardo all'euro, sono difese approntate dalla più sofisticata tecnica tipologica e compositiva per evitare le falsificazioni.

I due reati sono consumati appena le attività indicate nelle norme incriminatrici sono condotte a termine. Quando sia accertata l'esclusiva destinazione alla contraffazione od all'alterazione delle monete o degli altri valori protetti, è stato ritenuto non necessario che le filigrane o gli strumenti siano pronti all'uso immediato, bastando che possano diventare idonei a tal uso con un processo di perfezionamento. Per quanto si tratti di attività preparatorie rispetto al falso, non vi è ragione di escludere la configurabilità del tentativo.

Le due disposizioni sono applicabili solo quando i fatti configurati non costituiscono un più grave reato, come quelli previsti negli articolo 453 e 459.

Anche ai due delitti in parola si applica l'esimente speciale stabilita nell'articolo 463.

Le sanzioni sono: per il delitto di cui all'articolo 460 la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 309 a 1032 euro; per il delitto previsto nell'articolo successivo la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 103 a 516 euro.

Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo.[]

Per l'articolo 460 è punito colui che

contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico credito o dei valori di bollo, ovvero acquista, detiene od aliena tale carta contraffatta.

Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata.[]

L'articolo 461 incrimina

chiunque fabbrica, acquista, detiene od aliena filigrane, programmi informatici o strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione od alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata.

L'articolo 5 comma 1 della legge 23 novembre 2001 numero 409 vi ha aggiunto un secondo comma che reca

la stessa pena si applica se le condotte previste dal primo comma hanno per oggetto ologrammi o altri componenti della moneta destinati ad assicurarne la protezione contro la contraffazione o l'alterazione.

Falsità in biglietti di pubbliche imprese di trasporto.[]

Sono previste negli articolo 462, 465 e 466.

Le sanzioni sono: per i fatti previsti nell'articolo 462 la reclusione fino ad un anno e la multa da 10 a 216 euro; per l'uso di biglietti falsificati la sanzione pecuniaria amministrativa da 103 a 619 euro applicandosi solo la sanzione da 51 a 309 euro se i biglietti sono stati ricevuti in buona fede; per i fatti di cui all'articolo 466 la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 619 euro, mentre si applica unicamente la sanzione da 51 a 309 euro quando i biglietti sono stati ricevuti in buona fede.

Falsificazione di biglietti di pubbliche imprese di trasporto.[]

Articolo 462. Commette questo reato

chiunque contraffà od altera biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto ovvero, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, acquista o detiene al fine di metterli in circolazione, o mette in circolazione tali biglietti contraffatti od alterati.

Nel caso di falsificazione non del biglietto ma della matrice, che serve per i riscontri amministrativi e contabili, sarà applicabile non la norma in esame, ma l'articolo 476 del codice penale.

Uso di biglietti falsificati di pubbliche imprese di trasporto.[]

Articolo 465, delitto depenalizzato. Si contempla il caso di colui che

non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, fa uso di biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto contraffatti od alterati.

Nel capoverso è sancita una pena minore per il caso cche i biglietti falsificati siano stati ricevuti in buona fede. Per effetto dell'articolo 41 del decreto legislativo 30 dicembre 1999 numero 507, il reato è stato trasformato in illecito amministrativo.

Alterazione di segni nei biglietti usati ed uso dei biglietti alterati.[]

Articolo 466, delitto depenalizzato. L'originario reato è stato depenalizzato dall'articolo 42 del decreto legislativo del 30 dicembre 1999 numero 507.

L'illecito consiste nel fatto che

cancella o fa qualsiasi altro modo scomparire da biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto, i segni appostivi per indicare l'uso già fattone, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, nonchè colui che senza essere concorso nell'alterazione, fa uso dei biglietti così alterati.

L'articolo 466 si riferisce anche ai valori di bollo e si rinvia a quanto è stato detto in proposito, non senza ricordare che l'articolo anzidetto ravvisa una forma attenuata della violazione nell'ipotesi che l'oggetto alterato sia stato ricevuto in buona fede.

Anche le due precedenti figure non esigono particolari commenti, differendo da fattispecie già esaminate solo per l'oggetto dell'azione.

Alle falsità contemplate nell'articolo 462 è applicabile l'esimente speciale di cui all'articolo successivo.

Infrazioni concernenti i valori pubblici.[]

La tutela della regolarità della circolazione monetaria è integrata da due norme originariamente contravvenzionali ed ora depenalizzate.

Il rifiuto di cui all'articolo 693 deve essere ingiustificato. Tale non sarebbe se fosse dovuto a seri dubbi sulla genuinità della moneta od ad un logoramento che ostacoli in modo considerevole la spendita.

Quanto alla seconda norma, per la sua applicabilità non basta il sospetto della contraffazione od alterazione: ne occorre la certezza.

Le sanzioni sono, per l'infrazione di cui all'articolo 693 pena pecuniaria fino a 30 euro, per quella contemplata nell'articolo successivo pena pecuniaria fino a 206 euro.

Rifiuto di monete aventi corso legale.[]

Articolo 693. Viene punito

chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato.

Omessa consegna di monete riconosciute contraffatte.[]

Articolo 694. Risponde di questo illecito colui che

avendo ricevuto come genuine, per un valore complessivo non inferiore a [venti lire], monete contraffatte od alterate, non le consegna all'Autorità entro tre giorni da quello in cui ne ha conosciuto la falsità o l'alterazione indicandone la provenienza, se la conosce.

Falsità in documenti.[]

Ciò che caratterizza la falsità previste nel capo III del titolo relativo contro la fede pubblica, è il fatto che l'azione del reo si svolge su quegli scritti che vanno sotto il nome di documenti.

Secondo alcuni autori, il documento non è soltanto l'oggetto materiale dell'azione criminosa, ma rappresenta anche il bene giuridico protetto. Nella classe di reati che ci accingono a studiare il documento assumerebbe il valore di bene giuridico a sè stante: esso sarebbe tutelato dalla legge nella sua efficacia probatoria. Questa concezione non può accogliersi, perchè i documenti non sono protetti in sè stessi, ma in vista degli interessi per i quali possono avere rilevanza ai fini giuridici.

Vero è che l'oggetto giuridico dei delitti di falso documentario è duplice: da un lato, consiste nella fiducia e sicurezza delle relazioni giuridiche; dall'altro negli interessi specifici che trovano una garanzia nella genuinità e nella veridicità dei documenti in quanto mezzi di prova. Questi interessi specifici, che possono essere così pubblici come privati, variano molto da caso a caso e non sono determinabili a priori. La considerazione di essi è assolutamente necessaria, se si vuole evitare di cadere, nell'applicazione della legge, in un aberrante formalismo.

Il nostro codice ha diluito la materia della falsità documentale in ben 18 articoli, accresciuti poi a 20 per efetto di leggi speciali. Ne è derivata una minima casistica con un'esasperante serie di distinzioni o sottodistinzioni, l'utilità delle quali è quanto mai discutibile dati i larghi poteri discrezionali che sono conferiti al giudice.

Siccome il diritto è quello che è, a noi non resta che mettere pazientemente un po' di ordine nell'intricata materia e cercare, per quanto è possibile, di gettare luce nelle categorie delle disposizioni di legge.

è indispensabile anzitutto chiarire il concetto di documento. Ai fini del diritto penale documento può definirsi:

ogni scritto, anche recepito in un programma informatico dovuto ad una persona che in esso si applica, contenente esposizione di dati, fatti o dichiarazioni di volontà.

Da questa definizione risulta che occorrono i seguenti requisiti:

  1. è necessaria anzitutto la forma scritta. è indubitabile che astrattamente possono esistere documenti senza il requisito della scrittura. Il progresso umano ha creato dei mezzi di rappresentazione del pensiero che posseggono un'efficacia probatoria anche maggiore della scrittura, come la fotografia, la videoregistrazione, la registrazione magnetofonica o la fonografia, la cinematografia. Non intendiamo neppure discutere se per gli scopi del processo tutti od alcuni di questi mezze debbano considerarsi documenti. Riteniamo che agli effetti della legge penale, è più precisamente della tutela apprestata dal nostro diritto positivo con le norme sul falso documentale, la scrittura sia indispensabile perchè il codice disciplina solo le falsità in atti pubblici, i quali nel momento attuale sono sempre scritti, ed in scritture private. Fanno eccezione i documenti informatici che l'articolo 419 bis per altro espressamente equipara agli atti pubblici ed alle scritture private, e che definisce come qualunque supporto informatico contenente dati od informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli. Conviene in proposito tenere presente che costituiscono scritto non sol i segni alfabetici, ma anche quelli numerici, stenografici, criptografici, purchè esprimono un pensiero. Essi devono essere comprensibili da tutti o da un certo numero di persone. Lo scritto indecifrabile e quello che ha un significato solo per l'autore non è documento. La lingua stessa è indifferente: può essere tanto italiana quanto straniera, antica o moderna. Non si esige l'autografia, e cioè non è necessario che la scrittura sia vergata a mano: il documento può essere scritto anche con un mezzo meccanismo od elettronico, salvo quanto sia dirà fra breve in ordine alla sottoscrizione. Non occorre che lo scritto sia effettuato con un mezzo indelebile: si richiede che il mezzo usato sia idoneo a conservare lo scritto almeno per un certo tempo. Si ritiene da alcuni che lo scritto debba essere fissato su un mezzo mobile e trasmissibile, ma noi non vediamo la ragione per cui si debba negare il carattere di documento ad uno scritto che presenti tutti gli altri requisiti richiesti e sia vergato su una cosa immobile.
  2. Occorre la riconoscibilità dell'autore. Dallo scritto, in altri termini, deve risultare l'autore, cioè l'individuo o l'ente da cui proviene. Questi deve palesarsi nel documento, assumendone, per così dire, la paternità, Lo scritto veramente autonomo non costituisce documento. Va posto in rilievo che autore del documento non è sempre colui che materialmente lo ha scritto. Il modo ordinario con cui l'autore del documento ne assume la paternità è la sottoscrizione. La sottoscrizione di regola deve essere autografa, cioè vargata a mano. Per la sua validità non è strettamente necessaria l'indicazione del nome e cognome: basta che la sottoscrizione sia idonea ad individuare colui che l'ha apposta. è valida la sottoscrizione effettuata con un soprannome, con uno pseudonimo notorio, con una relazione di parentela. Alla stessa condizione è valida la firma di per sè illeggibile, la sigla od altri segni abbreviativi del nome e cognome, specie quando siano preceduti dall'indicazione della qualifica. Il crocesegno, per l'incontro, non può considerarsi sottoscrizione, se non nei casi in cui la legge ne ammette la validità. In conformità all'avviso di vari autori, riteniamo che negli atti pubblici, quando la legge non richiede l'autografia come garanzia formale per l'individuazione dell'autore, la sottoscrizione possa essere sostituita da stampiglie personali. Va tenuto presente che vi sono documenti speciali che normalmente non sono sottoscritti, come i registri e le carte domestiche, i libri di commercio, le fatture. Essi non costituiscono una deroga a quanto si è detto sulla necessità che l'autore sia riconoscibile, percè la paternità, in tali casi, risulta da altri elementi. La sottoscrizione di regola viene integrata dalla data, e cioè dall'indicazione del tempo e del luogo in cui il documento è stato redatto. La data, di per sè, non è elemento essenziale del documento.
  3. Lo scritto, naturalmente, ha un contenuto che alcuni scrittori dicono tenore. Il contenuto può essere di due specie: può consistere nell'esposizione di un fatto, come nel processo verbale in cui il cancelliere rendo conto di un'operazione eseguita dal giudice, oppure di una dichiarazione, come nella quietanza rilasciata da una persona ad un'altra. Di qui la distinzione tra documenti espositivi e documenti dichiarativi. C'è una corrente dottrinaria la quale sostiene che, per l'esistenza di documento, occorre che il fatto esposto o la volontà manifestata siamo giuridicamente rilevante. Si discute se l'atto nullo possa considerarsi documento, e prevale l'opinione che nega tale qualità agli atti assolutamente nulli od inesistenti riconoscendola agli altri; e ciò per la considerazione che i primi non possono produrre effetti giuridici.

Notiamo che funzione essenziale del documento, come risulta anche dall'etimologia della parola, è di servire alla prova del traffico giuridico. Su ciò nessun dubbio è possibile. Bisogna tener presente che non occorre che lo scritto sia stato redatto proprio per dimostrare quanto in esso è contenuto: basta che possa essere utilizzato per tale scopo.

Sulla particolarità, ora posta in rilievo, si basa la distinzione fra documenti intenzionali e documenti occasionali. I primi sono precostituiti per la prova, e cioè sono intenzionalmente creati per comprovare un determinato fatto, come i processi verbali, i certificati. I secondi sono redatti per altri fini: non sono destinati ab initio alla prova, ma assumono valore probatorio successivamente per cause sopravvenute, come avviene di regola per la corrispondenza.

Questa distinzione non va trascurata nella complessa materia del falso documentale.

La principale divisio dei documenti ai fini della nostra ricerca è costituita dalla distinzione fra atti pubblici e scritture private, al quale l'articolo 491 bis equipara espressamente quella tra documenti informatici pubblici e privati.

Il codice civile all'articolo 2699 dichiara:

l'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato.

L'articolo successivo aggiunge

l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato nonchè delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

L'atto pubblico viene contrapposto dallo stesso codice civile, in conformità alla tradizione, alla scrittura privata. La dottrina non ha potuto esimersi dal rilevare che le due categorie non sono esaurienti: non comprendono tutti i documenti possibili, essendovene non pochi che non rientrano così nell'una come nell'altra.

Si deve considerare che i pubblici ufficiali redigono anche atti che non presentano le caratteristiche indicate nell'articolo 2699, ed inoltre che il nostro ordinamento giuridico, accanto al pubblico ufficiale riconosce la figura dell'impiegato che presti un pubblico servizio, come sottospecie della più ampia figura dell'incaricato di un pubblico servizio.

Tenendosi presente ciò, vengono in luce due gruppi di documenti che stanno fra l'una e l'altra delle due categorie delineate dal codice civile: gli atti redatti dai pubblici ufficiali all'infuori delle condizioni stabilite nell'articolo 2699. Si tratta dei documenti che i pubblici ufficiali compilano nell'esercizio delle loro funzioni, non per attribuire ad essi pubblica fede, ma per altri scopi, fra questi atti rientra la massima parte della corrispondenza che i pubblici ufficiali si scambiano fra loro e con privati; tutti gli atti che i pubblici impiegati incaricati di un pubblico servizio redigono nell'esercizio delle loro attribuzioni.

Poichè per ovvie ragioni non è possibile considerare come scritture private queste due categorie di documenti, si rende necessario delineare una nozione di atto pubblico in senso lato. Diremo che sono atti pubblici in senso lato tutti i documenti compilati dai pubblici ufficiali o dai pubblici impiegati incaricati di un pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni od attribuzioni. Atto pubblico in senso stretto, per l'incotro, è il documento delineato nell'articolo 2699 del codice civile, e cioè il documento redatto dal pubblico ufficiale che è autorizzato nel caso specifico ad attribuirgli pubblica fede. Come appare evidente, il secondo non è che una sottospecie del primo.

Si rende necessario stabilire quali atti facciano piena prova fino a querela di falso, giacchè il nostro codice, negli articoli 476 e 478, sulle orme del codice Zanardelli, ha ritenuto opportuno sancire un aggravamento di pena.

Sulla determinazione di tale categoria di atti regna nella dottrina notevole incertezza.

Respinta generalmente l'opinione secondo la quale godono di fede privilegiata soltanto gli atti che sono destinati in modo assoluto a fornire la prova del loro contenuto. Qualche autore si è fondato sul criterio della presenza del pubblico ufficiale mentre il Battaglini, nello scritto citato, ha sostenuto che la fede privilegiata spetta ai documenti espositivi con esclusione di quelli semplicemente dichiarativi. Entrambi i criteri non possono ritenersi soddisfacenti, perchè, pur contenendo del vero, non sono idonei a risolvere tutte le difficoltà del problema.

Per giungere ad una soluzione esatta ai fini che a noi interessano, conviene attenersi rigorosamente agli articoli 2699 e 2700 del codice civile. Perchè un atto faccia fede fino ad impugnazione di falso, occorrono i seguenti requisiti: che esso sia redatto da un pubblico ufficiale, e non da un pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio; che il pubblico ufficiale sia autorizzato dalla legge, dai regolamenti oppure dall'ordinamento interno della Pubblica Amministrazione ad attribuire all'atto pubblica fede, ciò significa che il documento deve essere formato dal pubblico ufficiale nell'esercizio del potere di pubblica certificazione; che il documento sia compilato con le formalità prescritte.

Nei riguardi del contenuto, la fede privilegiata è circoscritta: alle dichiarazioni delle parti ed agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza, a tutto quello che egli affemra di conoscere de visu et auditu ex propriis sensibus; ai fatti che il pubblico ufficiale dichiara di aver compiuto personalmente.

Non è esatto contrapporre sic et sompliciter gli atti che fanno piena prova fino ad impugnazione di falso a quelli che fanno fede fino a prova contraria. La prova privilegiata può riferirsi solo ad una parte del documento, il che è confermato anche dal testo del capoverso dell'articolo 476 e dal comma 2 dell'articolo 478, nei quali si parla di atto o parte di un atto.

La nozione di scrittura privata si desume per esclusione da quella di atto pubblico. è privata scrittura ogni documento che non presenti le caratteristiche dell'atto pubblico e non solo il documento che è formato da un privato, ma anche quello che è redatto dal pubblico ufficiale o da un pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio all'infuori dell'esercizio delle sue funzioni od attribuzioni. Si considera pure scrittura privata il documento compilato da un pubblico ufficiale incompetente od incapace, ovvero senza l'osservanza delle formalità prescritte.

Non è necessario che la scrittura sia precostituita per la prova: basta che possa servire per dimostrare l'esistenza di rapporti o fatti giuridici.

La tutela penale delle scritture private è indipendente dalla maggiore o minore efficacia probatoria delle stesse, efficacia che è determinata dal codice civile. Il nostro codice non distingue la scrittura privata che fa fede fino ad impugnazione di falso da quella che fa fede fino a prova contraria. Il giudice non potrà esimersi dal tener conto della forza probante della scrittura nell'esercizio del potere discrezionale fra il minimo ed il massimo della pena, perchè essa senza dubbio influisce sulla gravità del danno o pericolo cagionato dal reato.

L'articolo 491 del codice equipara agli atti pubblici alcune scritture private, e precisamente: i testamenti olografi, le cambiali ed ogni altro titolo trasmissibile per girata od al portatore. Tale equiparazione non è stabilita a tutti gli effetti, ma esclusivamente ai fini della pena. Ed eccezion fatta per il falso in testamento olografo, l'ipotesi è perseguibile a querela di parte.

Tanto per gli atti pubblici quanto per le scritture private bisogna distinguere gli originali dalle copie autentiche, perchè il codice considera separatamente le relative falsità, assoggettandole a sanzioni diverse. Le copie semplici per l'incontro, non sono prese in considerazione.

è originale il documento che è stato redatto dalla persona che era a ciò autorizzata.

Allorchè si formano nel tempo stesso più originali, come pure quando, essendo smarrito il primitivo originale, si rinnova l'atto negli stessi termini e con la firma delle medesime persone, si hanno i duplicati, ciascuno dei quali costituisce originale.

Copia autentica è la riproduzione fedele e concreta di un documento originale, effettuata con qualsiasi mezzo e dichiarata conforme all'originale da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. La dichiarazione del pubblico ufficiale, da lui sottoscritta, dicesi autenticazione e per effetto di essa la copia fa fede come l'originale.

La legge nell'ambito delle copie autentiche individua quelle che tengono luogo degli originali mancanti. Le falsità commesse su queste particolari copie sono parificate alle falsità compiute sugli atti originali.

Falsità materiali e falsità ideologiche.[]

D'ordinario la differenza tra le due forme di falso viene posta nei seguenti termini: mentre nel falso materiale il documento viene falsificato nella sua essenza materiale, nel falso documento il documento è falsificato soltanto nella sentenza, e cioè nel suo contenuto ideale.

Il criterio suindicato è certamente esatto, ma ha bisogno di essere chiarito perchè, a causa della sua scarsa determinatezza, può dar luogo, come ha dato luogo, ad applicazioni discordanti ed erronee.

Allo scopo di precisare la distinzione, il Manzini si è richiamato ai due diversi significati che assume il termine falso, e precisamente alla differenza tra non genuinità e non veridicità. Secondo l'insigne autore il falso materiale si ha quando il documento non è genuino; il falso ideologico allorchè il documento è bensì genuino, ma non è veridico, perchè colui che lo ha formato gli fa dire cose contrarie al vero.

Per evitare sbandamenti nell'applicazione pratica è necessario intendersi bene sul significato che si deve attribuire all'espressione genuino. Affinchè possa parlarsi di genuinità occorrono due condizioni: che il documento provenga da colui che figura esserne autore, in altri termini è necessario che l'autore apparente ne sia anche l'autore reale; che il documento non abbia subito alterazioni.

Per alterazioni si devono intendere le modificazioni di qualsiasi specie che al documento autentico vengono apportate dopo la sua definitiva formazione. Vi sono comprese esservi autorizzato dagli aventi diritto, come nel caso che egli vi aggiunga una clausola, una quietanza.

Quest'ultimo concetto trovasi affermato nell'articolo 485 del codice a proposito del falso in scrittura privata. Il capoverso di tale articolo, infatti, dichiara:

si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente ad una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata.

La disposizione, che non è contemplata, perchè ciò che si dice per le aggiunte vale senza dubbio anche per le cancellature, è fuori posto nell'articolo 485, trattandosi di un criterio inerente alla natura stessa dell'alterazione, e, perciò, valevole anch per gli atti pubblici.

Nei casi in cui il documento nè contraffatto nè alterato contiene dichiarazioni menzognere, il faso deve sempre considerarsi ideologico.

A questo punto è necessario porre in rilievo che se il criterio indicato, il quale è il solo consentito dalla logica, si applica con coerenza, si giunge a risultati molto diversi da quelli a cui tradizionalmente la dottrina italiana perviene.

I rilievi esposti non implicano soltanto una diversità di classificazione.

Essi hanno una portata pratica considerevole, anche se il nostro codice, di regola, punisce ugualmente le due specie di falso, perchè le falsità materiali sono punibili sempre in quanto siano giuridicamente rilevanti. Le falsità ideologiche, invece, per essere sottoposte a pena, oltre alla rilevanza giuridica, esigono una speciale condizione: richiedono che l'autore del falso sia venuto meno all'obbligo giuridico di attestare o far risultare il vero.

Questa caratteristica del falso ideologico rende ineliminabile la destinazione ora illustrata.

Falsità materiali in documenti.[]

Queste falsità sono contemplate in tre norme incriminatrici.

Le sanzioni sono: per la falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, nella forma semplice, la reclusione da 1 a 6 anni e, nella forma aggravata, la reclusione da 3 a 10 anni; per la falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati od autorizzazioni amministrative la reclusione da 6 mesi a 3 anni; per la falsità materiale commessa dal privato le pene stabilite negliarticoli 476 e 477 ridotte di un terzo.

Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. L'articolo 476 prevede il caso del pubblico ufficiale il quale

nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto od in parte un atto falso od altera un atto vero.

Il richiamo della legge all'esercizio delle funzioni è stato ritenuto capace di comprendere tutti i casi in cui il soggetto ha il potere di collaborare, in un modo qualsiasi, alla formazione dell'atto.

L'espressione formare un atto falso non può essere presa alla lettera, perchè altrimenti, come è stato autorevolmente notato, la fattispecie comprenderebbe anche la falsità ideologica di cui all'articolo 479. Essa deve essere intesa nel senso di contraffare, nel senso che in precedenza abbiamo chiarito, come è stato chiarito il significato di quell'alterazione che costituisce la seconda forma in cui il reato può presentarsi. Ecco due esempi: il cancelliere aggiunge una frase ad un verbale di udienza civile definitivamente formato ancorchè diretta a ristabilire una verità confusamente espressa; un impiegato dell'amministrazione degli istituti di pena trascrive nell'apposito registro un fotogramma di contenuto diverso da quello ricevuto.

Per il disposto del capoverso dell'articolo, il reato è aggravato se la falsità concerne un atto od una parte di atto che faccia fede fino a querela di falso.

Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati od autorizzazioni amministrative. Nell'articolo 477 si contempla l'ipotesi del pubblico ufficiale che

nell'esercizio delle sue funzioni, contraffà od altera certificati od autorizzazioni amministrative ovvero, mediante contraffazione od alterazione, fa apparire adempiute le codizioni richieste per la loro validità.

Certificati sono i documenti nei quali si attesta la verità o la scienza di determinati fatti o situazioni, come l'esistenza in vita di una persona, la sua buona condotta, la sua povertà. Vi sono comprese le carte d'identità e le tessere postali di riconoscimento.

Con l'espressione poco appropriata di autorizzazioni amministrative il codice si riferisce alle dichiarazioni rilasciate da un pubblico ufficio, dalle quali risulta che l'Autorità amministrativa ha rimosso limiti posti dalla legge a determinate attività dei singoli.

Come risulta dal resto della disposizione in discorso, il reato sussiste non solo la contraffazione od alterazione riguarda il contenuto del certificato o dell'autorizzazione amministrativa ma anche allorchè si riferisce alle condizioni richieste per la validità di tali atti, come la legalizzazione della firma e la vidimazione.

Falsità materiale commessa dal privato. Con l'articolo 482 si punisce il privato che commette alcuno dei fatti previsti nelle due norme ora esaminate nonchè nell'articolo 478.

Al privato la legge espressamente equipara il pubblico ufficiale che agisca fuori dell'esercizio delle sue funzioni.

Il reato presuppone che l'autore del falso sia soltanto il privato o colui che ad esso è equiparato, perchè se al fatto avesse partecipato il pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, come nel caso che il pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, come nel caso che il primo istighi il secondo a commettere il falso o gli fornisca gli strumenti per perpetrarlo, sarebbero applicabili le norme che concernono il predetto pubblico ufficiale e ciò in base al principio generale sancito dall'articolo 117 del codice.

Per le figure criminose in discorsosi osserva quanto segue:

  • In virtù della norma contenuta nell'articolo 493 del codice le disposizioni sulle falsità commesse da pubblici ufficiali si applicano altresì agli impiegati dello Stato, o di altro ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio, relativamente agli atti che essi redigono nell'esercizio delle loro attribuzioni.
  • Per quanto concerne l'elemento oggettivo si ricordi ciò che in generale è stato esposto in ordine alla rilevanza giuridica del falso. La falsità documentale deve essere giuridicamente rilevante, e cioè deve essere idonea non solo ad ingannare il pubblico, ma anche a ledere, o per lo meno a porre in pericolo, gli interessi specifici che trovano una garanzia nella genuinità del mezzo di prova. La contraffazione o l'alterazione grossolana e, più in generale, quella che non può nuocere ad alcuno, non è punibile. Nessuno pensa di contestare che, nel falso in atti pubblici, l'offesa alla pubblica fede sia in prima linea, perchè interessa sommamente all'ordine giuridico che non venga scosso il credito che gli atti medesimi è attribuito. Il fatto di contraffare od alterare un documento pubblico in modo da poter trarre in inganno un numero indeterminato di persone è sufficiente per la rilevanza giuridica di questa specie di falsità. Se si dimostra che nessun particolare pregiudizio poteva derivare dalla falsificazione, la rilevanza del falso deve essere esclusa, così come è esclusa nei casi di falsificazione grossolana.
  • La consumazione dei reati in parola si verifica nel momento in cui è condotta a terminare la contraffazione o l'alterazione giuridicamente rilevante. Non vi è alcuna valida ragione per escluderem come parecchi autori ritengono, la configurabilità del tentativo.
  • Relativamente al dolo, richiamiamo quanto abbiamo detto parlando in linea generale dell'elemento soggettivo dei reati di falso. L'opinione prevalente, secondo la quale, per la sussistenza del dolo, basta accertare che il colpevole abbia consapevolmente voluto l'immutazione del vero, contrasta con la nozione di questa forma di colpevolezza poco sopra enunciata. Se l'agente ha agito con la ragionevole convinzione dell'innocuità del suo operato, il dolo, per il disposto dell'articolo 47 del codice, deve essere escluso.

Falsità ideologiche in documenti pubblici.[]

Anche queste falsità formano oggetto di tre norme incriminatrici. Esse presuppongono tutte la genuinità del documento, e cioè un documento nè contraffatto nè alterato, il quale è falso perchè contiene dichiarazioni menzognere.

Le sanzioni sono: per la falsità ideologica in atti pubblici, le stesse pene stabilite per la falsità materiale contemplata nell'articolo 476; per la falsità ideologica in certificata od in autorizzazioni amministrative la reclusioni da 3 mesi a 2 anni; per la falsità in copie autentiche di atti pubblici o privati la reclusione da 1 a 4 anni nella forma semplice e da 3 ad 8 anni nella forma aggravata; per la falsità in attestato del contenuto degli atti la reclusione da 1 a 3 anni.

Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. è la figura delittuosa principale. Delineata nell'articolo 479, consiste nel fatto del pubblico ufficiale il quale

ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni: attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto od è avvenuto in sua presenza,od attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette od altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

Si è ritenuto non rilevante il silenzio quando non investa il fatto attestato ma una realtà concomitante senza che ne resti offesa la funzione probatoria dell'atto in relazione al suo specifico contenuto. Poichè la norma si riferisce alle dichiarazioni, non ha rilievo l'omessa attestazione di fatti compiuti dal pubblico funzionario od avvenuti in sua presenza. La Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi a Sezioni Unite in relazione ad un caso di mancata timbratura dei cartellini segnatempo da parte di dipendenti pubblici a seguito di brevi allontanamenti dei medesimi. La giurisprudenza prevalente affermava la natura di atto pubblico del foglio di presenza e del cartellino marcatempo, in quanto svolgenti una funzione non solo all'interno del rapporto di lavoro tra pubblica amministrazione e dipendente pubblico ma anche nell'organizzazione della pubblica amministrazione, con riflessi nella sua funzionalità, con la conseguenza che ogni falsa attestazione od alterazione di tali atti rendeva configurabile i delitti di cui agli articoli 476e 479 del codice penale, e ciò era stato affermata anche dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 3 febbraio 1993 numero 29, che aveva privatizzato il rapporto di pubblico impiego. Un orientamento minoritario, pur riconoscendo la natura di atto pubblico dipendente rimanesse privatistica in conseguenza del rapporto contrattuale di diritto privato tra dipendente e pubblica amministrazione. Aderendo a tale secondo indirizzo, le Sezioni Unite hanno osservato come, anche se agli effetti delle norme sul falso documentale, il concetto di atto pubblico è più ampio rispetto a quello che si desume dalla definizione contenuta nell'articolo 2699 del codice civile, tuttavia la falsa rappresentazione della realtà che viene documentata dev'essere rilevante in relazione alla specifica attività del pubblico ufficiale.

Poichè l'articolo in parola, rispetto alle pene, richiama all'articolo 476, il delitto è aggravato quando la falsità riguarda un atto od una parte di atto che faccia piena prova fino ad impugnazione di falso.

Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificato od in autorizzazioni amministrative. L'articolo 480 prevede l'ipotesi del pubblico ufficiale che

nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente, in certificati od autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

Che cosa siano i certificati e le autorizzazioni amministrative è stato spiegato nel capo precedende, parlando della falsità materiale.

Quanto all'espressione fatti, essa va intesa in senso ampio e comprende tutti gli avvenimenti e le situazioni personali alla cui prova è destinato l'atto in virtù del potere certificante del pubblico ufficiale.

Falsità commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati ed in attestati del contenuti di atti. Con l'articolo 478 viene punito

il pubblico ufficiale che, nell'esercizio delle sue funzioni, supponendo esistente un atto pubblico o privato, ne simula una copia e la rilascia in forma legale ovvero rilascia una copia di un atto pubblico o privato diversa dall'originale.

Si tratta di due ipotesi: nella prima viene rilasciata una pretesa copia di un atto che non esiste; nella seconda l'atto esiste, ma la copia è difforme dall'originale.

Una circostanza aggravante di questo reato è ravvisata dal 1° capoverso dell'articolo nel caso che la falsità concerna un atto od una parte di atto che fa fede sino a querela di falso.

L'ultimo comma dell'articolo sancisce una pena minore per l'ipotesi che la falsità sia commessa dal pubblico ufficiale

in un attestato sul sic contenuto di atti pubblici o privati.

Questa specie di documento si ha quando il pubblico ufficiale rilascia uno scritto in cui espone in forma sintetica il contenuto di un documento esistente.

Non si tratta di una copia, ma di un semplice riassunto: estratti autentici di atti notarili o di scritture private, schede del casellario giudiziale, certificati di nascita, diplomi di laurea.

Soggetto attivo può essere non solo il pubblico ufficiale, ma anche il pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio, e ciò in virtù dell'articolo 493 del codice.

Trattandosi di falsità ideologiche, l'esistenza del reato, come è stato notato, presuppone un obbligo giuridico di attestare o far risultare il vero. Tale obbligo sussiste sempre per coloro che esplicano un potere di pubblica certificazione; nei confronti degli altri pubblici impiegati può derivare dall'ordinamento interno dell'Amministrazione.

Come per tutti i reati contro la fede pubblica, la falsità deve essere giuridicamente rilevante. Se il mendacio non può offendere la pubblica fede, nè mettere in pericolo l'interesse specifico che è garantito dalla veridicità del documento, il fatto non cade sotto la sanzione penale. Questa limitazione assume una particolare importanza nella figura criminosa descritta nell'articolo 479, la quale comprende l'omissione di dichiarazioni ricevute.

I reati in discorso si perfezionano nel momento in cui l'atto contenente dichiarazioni menzognere è chiuso, vale a dire è completo e definitivamente formato. Se ciò si tiene presente, bisogna riconoscere che non ha base l'opinione dominante, secondo la quale il tentativo non sarebbe concepibile neppure in astratto.

Per quanto concerne il dolo, vale quanto si è detto per le falsità materiali. Anche in questo caso la semplice volontà di far risultare una cosa non rispondente al vero non basta: il soggetto deve rendersi conto della possibilità di ledere interessi che non sono di sua spettanza. Se egli agisce col ragionevole coinvincimento dell'assoluta innocuità del fatto, il dolo non sussiste.

False attestazioni di privati in documenti pubblici.[]

L'articolo punisce

chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

Il codice designa questa fattispecie come falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, ma la denominazione non può ritenersi esatta, perchè l'ipotesi prevista si distingue nettamente dalle falsità ideologiche in precedenza esaminate in quanto, come è stato posto in rilievo da vari autori, si tratta in realtà di una falsa testimonianza effettuata al di fuori del processo. Il falso non è dovuto all'autore di questo, ma ad una terza persona, onde, al massimo, si potrebbe parlare di falsità ideologica indiretta o mediata.

Per il capoverso dell'articolo in esame, il delitto è aggravato se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile. Tale falsità riguarda il giorno, l'ora ed il luogo della nascita o della morte di una persona perchè le falsità relative all'identità od alle qualità della propria o dell'altrui persona rientrano nelle previsioni dell'articolo 495, mentre alla soppressione ed alterazione di stato provvedono gli articoli 566 e 567.

A commento si osserva: dal testo dell'articolo si desume che la falsa attestazione deve essere resa ad un pubblico ufficiale, restano escluse le dichiarazioni mendaci fatte al pubblico impiegato incaricate di un pubblico servizio.

Circa la natura del documento in cui la falsa attestazione del privato deve riflettersi, a noi sembra che non vi siano motivi per allontanarsi dal testo letterale dell'articolo, il quale parla di atto pubblico destinato a provare la verità. Basta che il documento, redatto dal pubblico ufficiale, sia precostituito per la prova del fatto attestato dal privato: null'altro si richiede. Non occorre che l'atto sia idoneo a provare il fatto attestato e che faccia fede fino a querela di falso. Fra le dichiarazioni menzognere che rientrano nella previsione della legge, citeremo quelle concernenti lo smarrimento della carta di intetià, i titoli per l'esenzione del servizio militare o per la ferma abbreviata, le attestazioni alla dogana circa la specie e la qualità della merce da importarsi, i trasferimenti di proprietà di automobili. Quanto alle falsità contenute nei comuni atti notori siamo d'avviso che non possano sfuggire alle sanzioni della legge, a meno che nel caso singolo manchi ad esse l'attitudine a produrre effetti giuridici di un qualche rilievo.

Non concretano il reato in parola i negozi simulati, perchè in essi non si riscontra una falsa attestazione di verità, sibbene una falsa dichiarazione di volontà, tanto più che a siffatte dichiarazioni la legge attribuisce determinati effetti giuridici.

Nulla di particolare da osservare in ordine al momento consumativo del reato, mentre per i requisiti del dolo vale quanto in generale abbiamo detto sull'elemento soggettivo dei delitti contro la fede pubblica.

La sanzione è la reclusione fino a 2 anni, la quale nella forma aggravata non può essere inferiore a 3 mesi.

Falsità in scritture private.[]

Le sanzioni sono: per il reato generico di falsità in scrittura privata, articolo 485, la reclusione da 6 mesi a 3 anni; per la falsità in certificati commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità, articolo 481, la reclusione fino ad 1 anno, oppure la multa da 51 a 516 euro, pene che nella forma aggravata dallo scopo di lucro si applicano congiuntamente; per la falsità in registri e notificazioni, articolo 484 la reclusione fino a 6 mesi oppure la multa fino a 309 euro.

Per l'articolo 491, se la falsità concerne un testamento olografo, ovvero una cambiale od un altro titolo di credito trasmissibile per girata od al portatore, in luogo della pena sancita nell'articolo 485, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell'articolo 476 e nell'articolo 482. L'ipotesi è perseguibile a querela, eccezione fatta per il falso in testamento olografo.

Falsità materiale in scrittura privata. è prevista nell'articolo 485, il quale punisce

chiunque, al fine di procurare a sè od ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto od in parte, una scrittura privata falsa, od altera una scrittura privata vera qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso.

In passato, parecchi scrittori hanno rifiutato alla falsità in parola il carattere di delitto contro la fede pubblica, ma a torto, perchè un'offesa della fiducia e sicurezza nel traffico giuridico si riscontra anche in essa, sia pure in misura meno elevata di quella che si verifica nelle falsità in atti pubblici.

A noi sembra indubitabile che, nella falsità in scrittura privata, sia in primo piano la tutela degli interessi specifici che sono salvaguardati dalla genuinità del documento.

L'attività esecutiva del reato di cui trattasi è complessa, risultando da due comportamenti. Il primo è costituito dal fatto della falsificazione, che la legge indica con la formula

forma, in tutto od in parte, una scrittura privata falsa od altera una scrittura privata vera.

Non è dubbio che il termine formare va inteso nel senso di contraffare, e cioè nel senso di creare un documento che non proviene dall'autore appartiene, mentre l'alterazione, come in genere nelle falsità documentali, comprende ogni modificazione, non autorizzata, che venga introdotta nella scrittura privata autentica. Anche per le scritture private vale il principio secondo il quale rientrano nel concetto di alterazione le modificazioni apportate dall'autore del documento dopo la sua definitiva compilazione, principio che trovasi affermato proprio nel capoverso dell'articolo in esame. Poichè tanto la contraffazione quanto l'alterazione escludono la genuinità e non la veridicità del documento, trattasi senza dubbio di falso materiale. Ne consegue che le affermazioni mendaci che eventualmente figurino nella scrittura privata non cadono sotto le sanzioni della legge, mentre la contraffazione e l'alterazione, purchè giuridicamente rilevanti, sono punibili sempre anche se dirette a dimostrare un fatto vero, come nel caso che venga creata una ricevuta apocrifa per comprovare un pagamento realmente avvenuto. è controverso se commetta il reato in parola chi appone al documento la firma altrui col consenso dell'interessato. La questione si è presentata molte volte nella pratica a proposito di firme non genuine su cambiali apposte col consenso dell'avente diritto. La Cassazione affermò che l'autorizzazione data dall'interessato equivale a mandato a sottoscrivere ed è pertanto consentita dalla legge. Successivamente la Corte andò in contrario avviso, ritenendo che anche in questo caso sia violato l'interesse sociale della pubblica fede. Tale indirizzo ormai può dirsi consolidato. La dottrina, sia pur talora con distinte motivazioni, propende ad escludere l'efficacia scriminante dal consenso in materia di falso cambiario. Quando si tratti di scritture non destinate alla circolazione o comunque a produrre effetti nei confronti di un numero indeterminato di persone o della pubblica autorità, non manchi chi, come il Foschini, sostiene l'opinione contraria. Mentre poi, anche in materia di falso cambiario, taluni autori, sul piano dell'elemento psicologico, attribuiscono rilievo alla dimostrazione di un errore su legge extrapenale che abbia determinato un errore sul fatto e ritengono applicabile l'articolo 47 capoverso 2 del codice penale. DI particolare interesse è la recente Cassazione 22 marzo 2007 numero 12.210, che, in relazione ad un caso in cui era stato contestato di aver formato, al fine di conseguire il vantaggio consistente nel far circolare la propria autovettura, una falsa polizza assicurativa, con relativo contrassegno, apparentemente emessa da una compagnia assicurativa, ha affermato che

in assenza di un contratto di assicurazione, non integra il delitto di cui all'articolo 642 del codice penale l'integrale falsificazione della polizza e del contrassegno, in quanto ciò non ha determinato alcun rapporto tra l'autore del documento falsificato e la compagnia di assicurazione.

Il secondo comportamento richiesto per la sussistenza del reato consiste nel far uso, oppure nel lasciare che altri faccia uso del documento contraffatto od alterato. La semplice falsificazione non è punita, qualora non si verifichi questo ulteriore fatto, che può consistere tanto in un'azione quanto in un'omissione. Siccome esiste una particolare norma che contempla, in genere l'uso di atto falso, per evitare ripetizioni riteniamo opportuno, rinviare a quanto diremo in proposito, mentre per l'ipotesi del lasciare che altri faccia uso, basterà osservare che, trattandosi di un'omissione, secondo le regole generali è presupposta nel soggetto la possibilità di impedire il fatto. L'uso o di lasciare che altri ne faccia uso è necessario anche per i testamenti olografi, le cambiali e gli altri titoli di credito trasmissibili per girata od al portatore, perchè l'equiparazione di queste scritture private agli atti pubblici è stabilita solo quoad poenam.

Dato che per l'integrazione del reato non è sufficiente la contraffazione od alterazione, ma occorre l'uso del documento falsificato, questo uso ne segna il tempo ed il luogo della consumazione, per la quale certamente non è necessario che l'agente abbia conseguito i vantaggi che si riprometteva dal suo operato. Anche in tema di scrittura privata la grossolanità della falsificazione impedisce l'esistenza del reato.

Per la sussistenza del dolo si richiede che il soggetto abbia voluto la falsificazione; occorre noltre che abbia voluto l'uso o consapevolmente tollerato l'uso da parte di terzi. Siccome l'uso non è condizione di punibilità, ma elemento del reato, non è possibile giungere a conclusione diversa. Oltre a questi requisiti che si desumono dalla nozione generale del dolo, l'articolo 485 richiede che il fatto sia commesso

al fine di procurare a sè od ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.

Questa formula non è certo felice, perchè, presa alla lettera, è priva di ogni portata pratica, dal momento che non vi è reato che non sia commesso per conseguire un vantaggio proprio od altrui, oppure per recare ad altri un danno. Essa, per avere senso, esige un'interpretazione restrittiva.

Il vantaggio di cui si parla non può essere un profitto qualsiasi, ma un profitto che derivi dal sacrificio di un legittimo interesse altrui. La giurisprudenza adotta una nozione amplissima di dolo, sottolineando che il vantaggio proprio ed il danno altrui possono riguardare qualsiasi aspetto della vita di relazione e consistere in un'utilità patrimoniale o morale, legittima od illegittima. CIò è imposto dalla natura stessa del dolo, il quale implica in ogni caso la consapevolezza del carattere antisociale del fatto. La formula va intesa nel senso che il falsificatore deve mirare a procurare a sè od ad altri un utile a danno di un terzo.

Salvo che per questa precisazione, concordiamo con la dottrina dominante nel ritenere che l'articolo 485 configuri un caso di dolo specifico: ciò significa che l'agente deve avere non solo la consapevolezza di offendere gli interessi protetti, ma anche l'intenzione di trarre un utile o recare un danno attraverso tale offesa. Nel caso del congiunto o dell'amico, il quale per nascondere la gravità di una malattia, falsifica la lettera di un medico e la mostra al malato od a chi è in pena per lui, l'autore del falso deve essere assolto per difetto del dolo specifico richiesto dall'articolo 485.

Per effetto dell'articolo 89 della legge 24 novembre 1981 numero 689, che ha introdotto nel codice l'articolo 493 bis, il reato è perseguibile a querela della persona offesa. Ciò anche nelle ipotesi aggravate nell'articolo 491, eccezion fatta per il falso su testamento olografo.

Falsità ideologica in certificati commessi da persone esercenti un servizio di pubblica necessità. Questa seconda figura di falso in scrittura privata è delineata nell'articolo 481 e consiste nel fatto di colui che

nell'esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente in un certificato, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

I certificati in parola sono scritture private, in quanto non provengono nè da pubblici ufficiali nè da enti pubblici incaricati di un pubblico servizio, ma godono di un maggior credito delle comuni scritture private per la posizione giuridica di colui che li rilascia. Essi si avvicinano agli atti pubblici per il pubblico interesse che presentano e ciò spiega la punizione del falso ideologico che di regola non è punibile nelle scritture private.

Una circostanza aggravante speciale si ha quando il fatto è commesso a scopo di lucro. La formula della legge esclude la necessità che il vantaggio economico sperato dall'autore del falso sia conseguito.

Falsità in registri e notificazioni. Questa terza fattispecie di falso in scrittura privata è prevista nell'articolo 484, il quale punisce

chiunque, essendo per legge obbligato a fare registrazioni soggette all'ispezione dell'autorità di pubblica sicurezza od a fare notificazione all'Autorità stessa circa le proprie operazioni industriali, commerciali o professionali, scrive o lascia scrivere false indicazioni.

Anche in questo caso si tratta di un falso ideologico in scrittura privata, il quale è eccezionalmente punito a causa della speciale importanza dei documenti in cui si verifica. Un caso analogo e praticamente importantissimo, è quello della falsità nei bilanci delle società commerciali prevista negli articolo 2621 e 2622 del codice civile. Con riguardo alla fattispecie in esame, si veda la sentenza della Cassazione 13 febbraio 2004 numero 10.753, secondo la quale

in materia di rifiuti, inserire false indicazioni, che non hanno quindi alcuna corrispondenza nella realtà, nei registri di? carico e scarico integra il reato di cui all'articolo 484 del codice penale.

Oggetto materiale del falso devono essere le registrazioni sottoposte all'ispezione dell'Autorità di pubblica sicurezza, oppure le notificazioni all'Autorità stessa. Espressamente la legge esige che il privato abbia obbligo giuridico di fare le predette registrazioni o notificazioni in ordine alle proprie operazioni industriali, commerciali o professionali. In tale situazione si trova l'albergatore, l'esercente di agenzie di affari, il commerciante di oggetti preziosi, il datore di lavoro.

Quanto all'espressione lascia scrivere, essa, come in tutti gli altri casi in cui la legge l'adopera, comprende i casi in cui il soggetto obbligato, potendo impedire la perpetrazione del falso, non la impedisce.

Soppressione od occultamento di documenti.[]

Il reato, che è contemplato nell'articolo 490, consiste nel fatto di colui che

in tutto od in parte distrugge, soprrime od occulta un atto pubblico od una scrittura privata veri.

Mentre distruggere significa non far più sussistere il documento nella sua materialità, soprrimere vuol dire operare in modo che lo scritto non possa più considerarsi documento, come nel caso che esso sia reso illeggibile o ne sia fatta scomparire la sottoscrizione.

L'occultamento si ha quando il documento è nascosto, o comunque, ne è resa impossibile l'utilizzazione.

Il fatto contemplato nella norma in esame si avvicina alle falsità di cui finora abbiamo parlato, ma se ne differenzia perchè non infirma la genuinità e veridicità del documento. Sopprimendo od occultando un atto pubblico od una scrittura privata viene eliminata una prova esistente e, perciò, il delitto deve considerarsi come un attentato all'integrità ed all'utilizzabilità dei mezzi probatori. Se ne è esattamente dedotto che il reato non può sussistere quando, per effetto di un precedente falso materiale su elemento essenziale dell'atto, ne sia risultata già del tutto esclusa ogni efficacia probatoria. La Corte, nel ribadire tale principio, ha ancora precisato che esso non vale nei casi di falso soltanto ideologico.

Oggetto dell'azione delittuosa sono esclusivamente gli atti pubblici contemplati negli articolo 476 e 477, oppure le scritture private di cui all'articolo 485, i quali sono richiamati nella norma incriminatrice. Per effetto dell'articolo 491 bis dee aversi riguardo anche ai documenti informatici. Vi rientrano altresì le copie autentiche che tengono il luogo degli originali mancanti e ciò in virtù del disposto dell'articolo 492, restandone escluse le altre copie autentiche, nonchè i certificati e gli attestati del contenuto di atti. Il documento deve essere vero, vale a dire genuino. Se viene distrutto un documento apocrifo, il reato non sussiste, come non sussiste se nel documento autentico sia soppressa solo la parte che ha subito un'alterazione La soppressione e l'occultamento di documenti che non rientrano nella previsione dell'articolo 490, non eliminano le eventuali responsabilità per altri titoli delittuosi.

L'antigiuridicità del fatto è esclusa quando l'agente aveva la piena ed esclusiva disponibilità del documento. Tale disponibilità non sussiste se il possessore era obbligato ad esibirlo od a restituirlo.

Il reato si consuma nel momento in cui l'avente diritto rimane privato della disposibilità del documento. La verificazione di un danno effettivo non è richiesta.

Affinchè sussista il dolo, oltre alla volontà consapevole di distruggere, in tutto od in parte, il documento, occorre la volontà di eliminare un mezzo di prova. CIò non risulta espressamente dalla norma incriminatrice, ma deve ammettersi come viene in generale riconosciuto, per poter distinguere il reato in esame dal delitto di danneggiamento.

Il delitto di cui si tratta assorbe il reato di danneggiamento, poichè in esso sempre le note che caratterizzano questa figura criminosa. può concorrere col furto, tanto più che è possibile che il documento venga sottratto anche in vista del suo valore intrinseco, mentre l'agente venuto in possesso del documento mediante artifici o raggiri, risponderà di truffa. Se oggetto materiale del reato è una scritturaprivata, esso è perseguibile soltanto a querela di parte, eccezione fatta per la soppressione od occultamento di un testamento olografo.

Le sanzioni sono le medesime stabilite negli articolo 476, 477 e 485 secondo le distinzioni dei documenti ivi contemplate. L'articolo 490 richiama anche l'articolo 482. Si tratta però di un errore di coordinamento perchè l'articolo 482 non indica uno speciale documento, ma statuisce solo la possibilità del falso materiale commesso dal privato in atti pubblici. Il documento, così falsificato, non può per nessun verso considerari vero, e, perciò, non può essere oggetto del delitto ora esaminato.

Uso di documento falso.[]

Per l'articolo 489 risponde di questo reato

chiunque, senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso.

Fra gli atti falsi il cui uso cade sotto le sanzioni di questa norma incriminatrice sono compresi anche gli atti firmati in bianco abusivamente riempiti.

Presupposto del reato è che l'autore? del fatto non sia concorso nella falsità. La Corte di Cassazione, seguendo un indirizzo che non può non suggerire perplessità, ha peraltro ritenuto che l'espressione in esame vada intesa nel senso di concorso punibile, così che il reato in oggetto possa ritenersi sussistere anche nel caso di nuovo uso dell'atto falso da parte dell'autore o del concorrente dopo l'intervento di una causa estintiva del reato principale.

Se egli in qualsiasi modo ha partecipato alla perpetrazione del falso sarà punito come concorrente, ma non per l'uso successivo del documento falso, uso che non importa neppure un aumento di pena. Questa impunità trova la sua spiegazione nel fatto che la falsificazione di regola non è fine a sè stessa, ma viene posta in essere per offendere gli interessi che sono garantiti dalla genuinità e veridicità dei mezzi probatori.

L'uso contemplato nella norma in esame va inteso nel senso di impiego del documento come mezzo di prova. Il documento, in altri termini, deve essere adoperato per uno di quegli scopi a cui servirebbe se non fosse falso. Non ricorre il reato se il documento è usato come carta. Il modo dell'uso è indifferente. Esso può essere tanto giudiziale, quanto stragiudiziale. Una parte della dottrina e la Cassazione ritengono che, per potersi parlare di uso, basta che il documento falso esca dalla sfera di azione del colpevole, in modo che si inizi con altre persone un rapporto produttivo di conseguenze giuridiche. Accettando questa ampia nozione di uso, rientra nella previsione della legge, fra l'altro, il deposito del documento falso a titolo di custodia presso un pubblico ufficiale e, a maggior ragione, la presentazione del documento stesso per la registrazione, per l'autenticazione della firma. Alcuni scrittori ritengono che in questi casi non si abbia un vero e proprio uso, ma, in sostanza, un atto probatorio dell'uso, in quanto le operazioni indicate mirano a conservare il documento od a porre in essere una condizione per poterlo poi efficacemente adoperare. La seconda opinione sembra preferibile.

La consumazione del reato si realizza nel momento e nel luogo dell'uso, senza che occorra il verificarsi di un danno effettivo. Siccome il delitto in esame presuppone che inantecedenza sia commesso un reato di falso, se la falsità non è giuridicamente rilevante nel senso che abbiamo indicato, anche la punibilità dell'uso deve escludersi.

Per l'esistenza del dolo occorre incontestabilmente sia la conoscenza della falsità del documento, sia la volontà di adoperare il documento a fini probatori. Il soggetto deve voler usare il documento come se fosse vero, perchè, qualora egli lo adoperasse proprio per dimostrare la falsità, per ovvie ragioni non si potrebbe parlare di dolo. Come è ben naturale, l'uso deve essere volontario. In conseguenza, non vi è responsabilità se il documento falso cade in possesso dell'Autorità in seguito a sequestro o nelle mani di terze persone per cause non imputabili al soggetto. Nel capoverso dell'articolo 489 si legge che

qualora si tratti di scritture private chi commette il fatto è punibile soltanto se ha agito al fine di procurare a sè od ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.

Siamo di fronte alla stessa formula che appare per la prima volta nell'articolo 485, ed in proposito non possiamo che richiamare quanto abbiamo rilevato commentando il detto articolo. Se l'uso ha per oggetto una scrittura privata falsa, il reato è percepibile a querela dell'offeso, eccezione fatta per l'uso di un falso testamento olografo.

Le sanzioni sono le medesime stabilite per le varie specie di falsità del documento usato, ridotte di un terzo. Per il disposto del comma 2 dell'articolo 491, nel caso di contraffazione od alterazione di testamenti olografi, cambiali od altri titoli trasmissibili per girata od al portatore, colui che ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena sancita per l'uso di atto pubblico falso. L'ipotesi resta perseguibile a querela, eccezion fatta per l'uso di un falso testamento olografo.

Falsità in foglio firmato in bianco.[]

Foglio firmato in bianco è ogni mezzo atto alla documentazione, il quale contenga soltanto la firma di colui che lo ha rilasciato oppure una dichiarazione incompleta, destinata ad essere integrata con qualche elemento essenziale. Ciò si desume dal capoverso dell'articolo 486, il quale recita

si considera firmato in bianco il foglio in cui lo scrittore abbia lasciato in bianco un qualsiasi spazio destinato ad essere riempito.

Bisogna distinguere il caso in cui il riempimento del foglio sia effettuato dalla persona che è in possesso del foglio medesimo per un titolo che importi l'obbligo o la facoltà di contemplarlo, dal caso in cui ciò abbia luogo per opera di persone diverse.

Per questa seconda ipotesi, la quale comprende tanto il possesso illegittimo, quanto il possesso legittimo, l'articolo 488 del codice stabilisce che si applicano le disposizioni sulle falsità materiali in atti pubblici od in scritture private. Ciò avviene anche quando siano apportate modifiche non consentite alla parte riempita di un foglio firmato solo parzialmente in bianco.

Nella prima ipotesi, si ha l'abuso di foglio firmato in bianco. Questo abuso, a rigore, non costituisce una falsità, in quanto colui che lo commette non compie nè un falso materiale, nè un falso ideologico. Non commette falso materiale, perchè egli ha un mandato ad scribendum; non commette falso ideologico, perchè può anche scrivere cosa vera, come nel caso che indichi l'importo effettivo di una transazione commerciale, mentre aveva avuto incarico di indicare una cifra minore. L'agente viene punito per aver commesso una frode, e più precisamente per aver abusato dalla fiducia che in lui era stata riposata dal sottoscrittore le foglio. Si comprende come la Cassazione affermi che

la denunzia di abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco con sottoscrizione riconosciuta richiede l'esperimento della querela di falso, ai sensi dell'articolo 2702 del codice civile, nel caso in cui il riempimento stesso sia avvenuto absque partis, ovvero senza che il suo autore sia autorizzato dal sottoscrittore con un patto preventivo. Diversamente, non è chiesto l'esperimento della querela di falso nell'ipotesi in cui il riempimento sia stato eseguito contra pacta, cioè in modo difforme da quello consentito dall'accordo intervenuto preventivamente.

Per tale ragione nel codice Zanardelli l'abuso di foglio firmato in bianco era compreso tra le appropriazioni indebite, come, del resto, fanno varie legislazioni straniere. Il trasferimento del reato in discorso nella classe delle falsità documentali è considerato da qualche scrittore un regresso scientifico e noi non siamo di diverso parere tanto più che, per scorgere nell'abuso di foglio in bianco una violazione della fede pubblica, bisogna far ricorso ad una lente di ingrandimento.

Il codice distingue due figure di abuso di foglio firmato in bianco, delinendole negli articoli 486 e 487.

Le sanzioni sono: per l'abuso di foglio in bianco di cui all'articolo 486 la reclusione da 6 mesi a 3 anni; per quello contemplato nell'articolo successivo le pene rispettivamente stabilite negli articoli 479 e 480.

Falsità in foglio firmato in bianco. Atto privato.

L'articolo 486 punisce

chiunque, al fine di procurare a sè od ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l'obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era obbligato od autorizzato se del foglio faccia uso o lasci che altri ne faccia uso.

La Cassazione 21 settembre 2004 numero 44.292 ravvisa il criterio distintivo tra il reato di cui all'articolo 486 del codice penale e quello di cui all'articolo 488 del codice penale nel fatto che

il primo esige nel soggetto attivo il possesso di un documento che importa l'obbligo o la facoltà di riempirlo, mentre il secondo presuppone che l'autore del reato abbia conseguito il possesso del foglio in bianco in modo illegittimo ovvero legittimamente, ma senza obbligo o facoltà di riempirlo.

Falsità in foglio firmato in bianco. Atto pubblico.

L'articolo 487 prevede il caso del pubblico ufficiale il quale

abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio e per un titolo che importa l'obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o vi fa scrivere un atto pubblico diverso da quello a cui era obbligato od autorizzato.

Ambedue i reati presuppongono nell'agente il possesso, e cioè la disponibilità del foglio firmato in bianco, possesso che rispetto al pubblico ufficiale deve trarre origine da ragioni di ufficio.

Presupposto altresì nell'agente l'obbligo? o la facoltà di riempire il foglio anzidetto. L'azione esecutiva consiste, in entrambi i casi, nello scrivere o far scrivere nel documento un atto diverso da quello a cui il soggetto era obbligato od autorizzato. Salvo s'intende che l'accordo non fosse contra legem. Così bene è stato escluso il reato nel caso del prenditore di un assegno che lo presentò, apponendovi la data del giorno di presentazione, prima del giorno illegittimamente pattuito facendo assumere al titolo la funzione della cambiale. Così dice la legge, ma la dizione è tutt'altro che felice, dato che il riempimento abusivo può consistere in una sola parola.

L'abuso commesso dal privato esige, in particolare, che costui faccia uso o lascia che altri faccia uso del foglio irregolarmente riempito, il che non è richiesto per l'abuso commesso dal pubblico ufficiale. Va osservato al riguardo che l'uso da parte del privato deve essere inteso come impiego del foglio quale mezzo di prova, secondo la sua funzione tipica. Sarebbe irrilevante il comportamento di chi, dopo aver irregolarmente riempito un biancosegno, se ne avvalesse per avvolgere un oggetto od accendere il fuoco. Occorre osservare che gli elementi di differenziazione tra le due figure criminose in esame vanno ravvisati, oltrechè nella qualifica del soggetto attivo e nella natura dell'atto, anche e soprattutto nel diverso contenuto del dolo, che è dolo specifico nell'ipotesi dell'articolo 486 e dolo generico in quella dell'articolo 487.

Per effetto dell'articolo 89 della legge 24 novembre 1981 numero 689 la figura dell'articolo 486 è perseguibile solo a querela dell'offeso.

Alle ipotesi da essa comprese non è applicabile l'aggravante dell'articolo 491, pur se si tratti di uno dei documenti previsti da quest'ultimo.

Falsità in contrassegni.[]

Il contrassegno è un mezzo di prova al pari del documento. Ne differisce sia perchè non indica alcuna persona come proprio autore, sia perchè ha un valore simbolico. Mentre il documento manifesta a chiunque sappia leggere il suo contenuto, il significato del contrassegno è più o meno convenzionale.

La materia del contrassegno in Italia è stata elaborata, con particolare cura, nell'opera del Carnelutti, il quale ha dato al concetto un'estensione eccessiva. Fra l'altro vi ha compreso le monete, il che non? sembra nè esatto nè opportuno. Non è contestabile che le monete portino un contrassegno, ma anche a prescindere dal fatto che esse possono essere falsificate lasciando inalterato il contrassegno come nel caso che ne sia scemato il valore intrinseco, il considerare le monete come semplici contrassegni significa disconoscerne la funzione essenziale, che consiste non già nel fornire una prova, ma nell'offrire un mezzo di scambio che è indispensabile nei rapporti della vita economica.

I contrassegni possono essere di varia specie. I principali sono quelli che indicano la provenienza di uno scritto o di una cosa, la qualità o quantità di un oggetto o l'uso che ne è stato fatto.

Dai contrassegni vanno distinti gli strumenti che sono destinati ad apporli, i quali non possono considerarsi mezzi di prova. Questa distinzione non è stata tenuta sempre presente dai compilatori del codice.

Anche per questo gruppo di reati di falso valgono i principi generali che regolano tutta la materia dei delitti contro la fede pubblica. In conseguenza: sono giuriicamente irrilevanti, e, quindi, non punibili, le falsità grossolane o, comunque, innocue; per la sussistenza del dolo non basta la consapevole volontà della falsificazione, occorre anche che il soggetto si renda conto che il suo fatto offende la pubblica fede e, nel tempo stesso, lede o pone in pericolo l'interesse specifico protetto dalla norma incriminatrice.

Fabbricazione illegittima di sigilli.[]

Il codice prende in considerazione anzitutto gli strumenti che possono essere adoperati per la falsificazione dei contrassegni. Gli articoli 467 e 468, infatti, puniscono chiunque contraffà: i pubblici sigilli, con particolare riguardo al sigillo dello Stato; gli altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione.

Sigilli sono gli strumenti atti a riprodurre su determinati oggetti, mediante impressione, i disegni o le diciture che essi recano.

Sono pubblici sigilli delle Amministrazioni statali, degli enti autarchici territoriali degli enti parastatali, nonchè il sigillo notarile. Nel senso che può ritenersi pubblico anche il sigillo di una ditta privata concessionaria dal servizio di esattoria. Il sigillo dello Stato, d'altra parte, è quello del Guardasigilli, Ministro della Giustizia, appone, insieme col suo viso, gli originali delle leggi e dei decreti.

Fra gli altri strumenti destinati a pubblica autentificazione o certificazione sono compresi i bolli ad umido od a secco, i punzoni, i marchi che lasciano impronte a fuoco, il martello forestale et similia.

Non è revocabile in dubbio che l'espressione contraffare, che figura negli articoli citati, significa fabbrica illegittimamente, vale a dire fabbricare senza ordine od autorizzazione della pubblica autorità competente. La fattispecie criminosa in esame, rigorosamente parlando, non costituisce una vera falsità, bensì un atto preparatorio del falso, atto che la legge sottopone a pena per l'importanza degli interessi che ne possono essere offesi.

Se si tratta di sigillo dello Stato, la sanzione è la reclusione da 3 a 6 anni e la multa da 103 a 2.065 euro, trattandosi degli altri pubblici sigilli e strumenti, la reclusione da 1 a 5 anni, nonchè la multa da 103 a 1.032 euro.

Falsità in impronte autenticatrici o certificatrici.[]

Questa falsità sono contemplate in modo scarsamente organico negli articoli 467 - 470 del codice.

La principale è costituita dalla falsificazione di impronte di una pubblica autentificazione o certificazione.

Per impronte di pubblica autenticazione si intendono i segni apposti dalla Pubblica Autorità o da un pubblico ufficio su un documento per attestarne la genuinità, e cioè la provenienza dall'ente o persona che figura averlo redatto. Le impronte di pubblica certificazione sono i contrassegni apposti da una pubblica Autorità o da un pubblico ufficio e destinati a comprovare il compimento di un determinato atto, oppure ad indicare la qualità, lo stato, l'origine di una cosa.

La legge distingue la contraffazione nei due articoli ora citati insieme la fabbricazione illegittima degli strumenti ed è prospettata dalla legge sotto l'aspetto di uso degli strumenti stessi. Tale falsità è soggetta a pena solo quando sia effettuata da persona diversa dall'autore della fabbricazione illecita dello strumento o da un suo complice. Quando è dovuta a persona che abbia partecipato alla detta fabbricazione, la falsità resta assorbita dal precedente fatto punibile.

La seconda specie di falsificazione di impronte è contemplata nell'articolo 469 con la formula

chiunque, con mezzi diversi dagli strumenti indicati negli articoli precedenti, contraffà le impronte di una pubblica autenticazione o certificazione.

In proposito va osservato che, per quanto nella disposizione si parla soltanto di contraffazione, non c'è motivo di ritenere che non rientri nella previsione della legge anche la semplice alterazione, delle impronte, come ritiene, fra gli altri, il Manzini.

Oltre ai fatti di cui abbiamo parlato, il codice punisce: l'uso della cosa che reca l'impronta falsificata, questo uso è previsto nell'articolo 469 insieme con la falsificazione e, secondo la regola generale seguita dal codice, la punizione di esso è subordinato alla condizione che l'autore non sia concorso nella falsificazione medesima; la vendita o l'acquisto di cose con impronte falsificate, è oggetto dell'articolo 470, il quale sottopone a pena colui che

fuori dei casi di concorso nei reati preveduti dagli articoli precedenti, pone in vendita od acquista cose sulle quali siano le impronte contraffatte di una pubblica autenticazione o certificazione.

è incontestato che la messa in vendita non esige che l'acquisto sia avvenuto, bastando che un'offerta sia fatta in qualsiasi modo.

Le sanzioni sono per la falsificazione delle impronte effettuate con gli strumenti indicati negli articoli 467 e 468, le stesse pene sancite per la fabbricazione illegittima degli strumenti; per le falsificazioni effettuate con altri mezzi e per l'uso di cose recanti l'impronta falsificata, le pene medesime ridotte di un terzo; per la vendita? o l'acquisto di cose con impronte falsificate, le pene sancite dagli articoli 467, 468 e 469, a seconda dei casi.

Abuso di pubblici sigilli.[]

Questa figura delittuosa che è prevista nell'articolo 471, ed è denominata nella rubrica, con grave improprietà linguistica, uso abusivo di sigilli e strumenti veri, consiste nel fatto di colui che

essendosi procurati i veri sigilli od i veri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, ne fa uso a danno altrui, od a profitto di sè o di altri.

Deve trattarsi di sigilli o strumenti veri, vale a dire fabbricati legittimamente e l'uso deve essere effettuato per recare pregiudizio ad altri oppure per procurare a sè o ad altri un utile, senza che occorra che il pregiudizio o l'utile si siano verificati.

Si esige che l'agente si sia procurato i sigilli o strumenti anzidetti: ciò significa che occorre un impossessamento illegittimo, da guisa che, se l'abuso sia effettuato da persona che ha il diritto di detenere quegli oggetti.

Uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta.[]

L'articolo 472 punisce

Chiunque fa uso, a danno altrui, di misure o di pesi con l'impronta legale contraffatta od alterata, o comunque alterati.

Chi, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, detiene misure o pesi con l'impronta legale contraffatta od alterata, ovvero comunque alterati.

L'ultimo comma dell'articolo reca:

Agli effetti della legge penale nella denominazione di misure o di pesi è compreso qualsiasi strumento per misure o pesare.

Si tratta degli strumenti che sono soggetti, in base alle norme legislative vigenti, al marchio ed alla verificazione.

Scopo dell'incriminazione non è soltanto la tutela della fiducia che dal pubblico è riposa negli strumenti metrici legali ma anche la necessità di impedire frodi negli scambi del commercio.

Mentre l'apposizione di false impronte su misure o pesi e la vendita o l'acquisto di misure o pesi con l'impronta falsa, rientrano nella previsione degli articoli 468, 469 e 470, in precedenza esaminati, l'articolo di cui trattasi considera l'uso e la detenzione di misure o pesi con l'impronta legale contraffatta od alterata. Con la dicitura comunque alterati il legislatore ha voluto far rientrare nella figura criminosa tutte quelle alterazioni che non riguardano l'impronta legale ma possono ugualmente servire ad ingannare il pubblico, come l'aggiunta di un piombo ad una bilancia regolare o la diminuzione della portata di un peso, ottenuta mediante sottrazione di una parte del metallo.

In ordine alla prima ipotesi che concerne l'uso, si osserva che soggetto attivo può essere chiunque, e, perciò, anche chi non è commerciante.

L'uso deve essere fatto a danno altrui. Occorre che l'uso sia oggettivamente e soggettivamente diretto a danneggiare altrui, anche se tale danno non si sia verificato.

Se mediante l'uso in parola il soggetto consegna ad un acquirente una cosa per quantità o qualità diversa da quella dichiarata o pattuita vi sarà concorso col delitto di frode in commercio previsto nell'articolo 515 del codice, non sussistendo le condizioni per l'assorbimento di un reato nell'altro.

Quanto alla seconda ipotesi, il reato può essere commesso soltanto da chi detenga i pesi o le misure alterate nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico. Non si esige la qualità di titolare dell'azienda e, quindi, possono essere chiamati a rispondere del reato pure gli institori, i rappresentanti ed i commessi.

La detenzione per concretare il delitto in esame deve avere per oggetto misure o pesi alterati nel modo sopra indicato.

In questa forma di reato la legge non richiede che il fatto sia diretto a recare un danno ad altri.

La sanzione per ambedue le ipotesi è la reclusione fino a 6 mesi oppure la multa fino a 516 euro.

Detenzione di misure o pesi illegali.[]

La norma incriminatrice che abbiamo illustrato è completata dalla disposizione contenuta nell'articolo 692 del codice, il quale configura illecito amministrativo come il fatto di colui che

nell'esercizio di un'attività commerciale, od in uno spaccio aperto al pubblico, detiene misure o pesi diversi da quelli stabiliti dalla legge, ovvero usa misure e pesi senza osservare le prescrizioni di legge.

Per l'applicabilità di questa norma si richiede che i pesi e le? misure non siano contraffatti od alterati, perchè altrimenti dovrebbe applicarsi l'articolo 472. La disposizione concerne i pesi e le misure che siano illegali o perchè diversi da quelli stabiliti dalla legge o perchè, pur essendo conformi, siano usati senza osservare le norme della legge metrica.

La sanzione prevista è quella amministrativa pecuniaria da 103 a 619 euro. L'articolo 18 della legge 25 giugno 1999 numero 205 ha abrogato il comma 2 dell'articolo in esame per effetto del quale il colpevole che avesse già riportato una condotta per delitti contro il patrimonio, o contro la fede pubblica, o contro l'economia pubblica, l'industria od il commercio, o per altri delitti della stessa indole, poteva essere sottoposto alla libertà vigilata.

Falsità in marchi e brevetti.[]

Sono disciplinate negli articoli 473 e 474 del codice.

L'articolo 473 punisce la contraffazione e l'alterazione, come pure l'uso effettuato senza concorso nella falsificazione, dei seguenti oggetti: marchi o segni distintivi, nazionali od esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali; brevetti, disegni o modelli industriali, sia nazionali che esteri.

L'articolo 474 contempla l'ipotesi di colui che

fuori dei casi di concorso dei delitti preveduti dall'articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali od esteri, contraffatti od alterati.

Per l'applicabilità delle disposizioni in parola si richiede in ogni caso che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale od industriale. Da questa prescrizione la quale unanime dottrina desume che la tutela penale predisposta dalle figure criminose in esame deve ritenersi limitata ai marchi registrati.

è necessario che la funzione differenziatrice del marchio o segno distintivo sia ancora operante nel momento del fatto.

Marchi o segni distintivi delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali sono quelli contemplati nell'ardicolo 14 del regio decreto 21 giugno 1942 numero 929 sulle privative industriali e sui marchi di fabbrica e di commercio, e cioè i contrassegni usati dai prodotti o commercianti per distinguere i propri prodotti e le proprie merci da quelli similari. Donde la prevalente opinione che si tratti di contrassegni privati.

I brevetti sono gli attestati coi quali è concessa la privativa industriale a norma del regio decreto 29 giugno 1939, numero 1127 e successive modificazioni mentre i disegni o modelli industriali di cui al regio decreto 25 agosto 1940 numero 1.411, sono quelli per i quali è conseguita la privativa industriale e si distinguono in modelli di utilità e modelli o disegni ornamentali.

I nomi dei prodotti industriali, a differenza del codice Zanardelli, non rientrano nella previsione della legge, a meno che non siano registrati e non vengano usati come marchi o segni distintivi, il che avviene spesso per i nomi di fantasia.

I brevetti nel senso indicato in realtà non sono contrassegni ma documenti pubblici. Dato che di essi è fatta menzione specifica nell'articolo 473, alle relative contraffazioni od alterazioni dovrà applicarsi questa norma, mentre alle falsità ideologiche restano applicabili le disposizioni sul falso documentale.

La contraffazione o l'alterazione per concretare il reato in parola deve cadere sulle parti essenziali di questi segni o di quelle leggende che sono destinate ad identificare il marchio. E deve essere tale che ne derivi possibilità di confusione tra il pubblico ricollegabile alla confondibilità tra segni.

Basta al dolo la coscienza e volontà di detenere le cose destinate alla vendita con la consapevolezza della contraffazione del marchio altrui.

Affine al delitto contemplato nell'articolo 474 è il reato di cui all'articolo 517, il quale è previsto fra i reati contro l'ordine economico.

Le sanzioni sono per il delitto configurato nell'articolo 473 la reclusione fino a 3 anni più la multa fino a 2.065 euro; per quello preveduto nell'articolo successivo la reclusione fino a 2 anni, nonchè la multa fino a 2.065 euro. Per il disposto dell'articolo 475 la condanna per l'uno o l'altro dei due delitti importa la pubblicazione della sentenza.

Falsità personali.[]

La materia del falso è stata intorbidita dal nostro codice con la creazione ex novo della classe delle falsità personali. In questa categoria sono state raccolte alcune figure criminose consistenti in azioni che possono indurre le Autorità od il pubblico sull'identità, sullo stato o sulle qualità di una persona, sia che si tratti dello stesso agente, sia di altri.

L'anomalia deriva dal fatto che il criterio di classificazione si trova su un piano diverso da quello che è seguito per le altre categorie di falso, le quali si distinguono secondo l'oggetto materiale dell'azione: valori pubblici, documenti e contrassegni. Nella classe in esame non? è l'oggetto materiale che viene in considerazione oggetto che di regola non esiste, ma la specie dell'inganno ordito dal soggetto, e più precisamente lo scopo a cui l'inganno stesso è diretto.

Nei casi compresi in tale gruppi, non sempre è agevole ravvisare un'offesa della fede pubblica, mentre il più delle volte ciò che veramente viene leso è un interesse della Pubblica Amministrazione.

False dichiarazioni sulle proprie od altrui qualità personali.[]

Si tratta di due figure criminose che sono previste negli articoli 495 e 496.

L'articolo 495 punisce chiunque:

dichiara od attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico l'identità o lo stato od altre qualità della propria o dell'altrui persona

Nel caso, assai frequente fra gli extracomunitari clandestini, di pretese generalità dichiarate sempre diverse, si è ritenuto che il fatto che tra le molto diverse dichiarazioni non avrebbe potuto anche essere veridica non escluda il reato in esame.

Punisce pure

chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico.

Il reato, nella prima forma, si distingue da quello contemplato nell'articolo 483, perchè la falsa attstazione non riguarda fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, bensì qualità personali.

La falsa attestazione può essere tanto provocata da richiesta, quanto spontanea.

Il reato si perfeziona nel momento in cui le false dichiarazioni vengono fatte ed a nulla rileva che il pubblico ufficiale sia stato tratto o meno in inganno dalle dichiarazioni medesime.

Nella dizione identità o qualità personali proprie od altrui sono compresi anche il domicilio o la residenza del dichiarante. La Corte di Cassazione ha definito le altre qualità come quegli attributi giuridicamente rilevanti che servono ad integrare le individualità di un soggetto ed ha escluso rilievo all'assunto di saper leggere e scrivere da parte di un analfabeta, ma ritenute rilevanti le dichiarazioni sulle condizioni patrimoniali.

Il delitto è aggravato in tre casi:

  • se si tratta di dichiarazioni in atto dello stato civile. Deve naturalmente trattarsi di dichiarazioni false relative alle qualità della propria o dell'altrui persona perchè alle altre falsità in atti dello stato civile provvedono, da un lato, il capoverso dell'articolo 483, dall'altro gli articoli 566 e 567.
  • se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all'Autorità giudiziaria. In sede di interrogatorio sull'identità o qualità personali, l'imputato ha l'obbligo di dire il vero, ancorchè in sede di interrogatorio sul merito dell'accusa egli possa dare anche risposte non veritiere o tacere. L'obbligo di dire la verità si estende ai precedenti penali, e perciò risponde del reato l'imputato che nega di aver riportato delle condanne.
  • se, per effetto della falsa dichiarazione, un provvedimento penale viene iscritto nel casellario giudiziale sotto falso nome. Si avverte in proposito che il falso è anche il nome immaginario.

Accanto a queste circostanze aggravanti il codice sancisce un'attenuante speciale a favore di colui che ha dichiarato il falso allo scopo di ottenere, per sè o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome o con altre indicazioni mendaci. Nel senso che ai fini della concessione dell'attenuante è sufficiente la prova della volontà di ottenere il rilascio di certificati indipendentemente della reale natura dell'atto.

Per l'articolo 496 soggiace a pena colui che, fuori dai casi indicati nell'articolo precedente,

interrogato sull'identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a pubblico ufficiale, od a persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio.

Questa figura criminosa differisce dalla precedente: perchè la dichiarazione non è fatta in un atto pubblico, nè è destinata ad essere riprodotta in un atto del genere; perchè, presupponendo un'interrogazione, consiste sempre in una risposta; perchè comprende anche la dichiarazione resa a persona incaricata di un pubblico servizio nell'esercizio del servizio medesimo. Sottolinea che, se il mendacio non ha alcuna attinenza, nè diretta nè indiretta, con la formazione di un atto pubblico, si configura il reato di cui all'articolo 496 del codice penale e non quello di cui al precedente articolo 495 del codice penale.

La falsa dichiarazione non va confusa col rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, rifiuto che concreta la contravvenzione prevista nell'articolo 651 del codice, la quale sarà esaminata in sede più opportuna.

Le sanzioni sono, per il primo delitto la reclusione a 3 anni, la quale non può essere inferiore ad 1 anno, quando concorrano le aggravanti speciali sopra indicate, mentre nella forma attenuata si applica la diminuzione ordinaria; per il secondo delitto la reclusione fino ad 1 anno oppure la multa fino a 516 euro.

Frode nel farsi rilasciare certificati del casellario giudiziale ed uso indebito di tali certificati.[]

Questo delitto, che, configurato nell'articolo 497, proviene dal codice di procedura penale del 1913, è previsto in due ipotesi alternative che penalmente si equivalgono.

La prima consiste nel fatto di procacciarsi fraudolentamente un certificato del casellario giudiziale od altro certificato penale relativo ad altra persona.

La seconda si ha quando uno dei detti certificati viene usato per uno scopo diverso da quello per cui fu domandato.

Per l'applicabilità della disposizione in esame, non devono ricorrere gli estremi di un delitto di falsità in atti. è fin troppo evidente che questa figura criminosa offende anche un interesse dell'Amministrazione della giustizia.

La sanzione prevista è la reclusione fino a 6 mesi oppure la multa fino a 516 euro.

Possesso e fabbricazione di documenti di identificazione.[]

Tale articolo è stato introdotto dall'articolo 10 comma 4 del decreto legge 27 luglio numero 144 Misure urgenti per il contrasto del Terrorismo internazionale, convertito nella legge 31 luglio 2005 numero 155. In esso si prevede che

chiunque è trovato in possesso di un documento falso valido per l'espatrio è punito con la reclusione da 1 a 4 anni. La pena di cui al 1° comma è aumentata da un terzo alla metà per chi fabbrica o comunque forma il documento falso ovvero lo detiene fuori dei casi di uso personale.

Possesso di segni distintivi ed altri materiali in uso ai Corpi di Polizia.[]

Quest'articolo è stato introdotto dall'articolo 10 bis del decreto legge 27 luglio 2005 numero 144 Misure urgenti per il contrasto del Terrorismo internazionale, convertito nella legge 31 luglio 2005 numero 155. In esso si prevede che:

le pene di cui all'articolo 497 bis si applicano anche, rispettivamente:

- a chiunque illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di Polizia, ovvero oggetto o documenti che ne simulano la funzione;

- a chiunque illecitamente fabbrica o comunque forma gli oggetti ed i documenti indicati nel numero precedente, ovvero illecitamente ne fa uso.

Usurpazione di titoli o di onori.[]

L'originario reato, che nel codice Zanardelli figurava tra i delitti contro la Pubblica Amministrazione, secondo l'articolo 498, si scinde in due ipotesi ora entrambe depenalizzate dall'articolo 43 del decreto legislativo 30 dicembre 1999 numero 507:

- nel fatto di colui che abusivamente porta in pubblico la divisa od i segni distintivi di un ufficio od impiego pubblico, o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico.

- nel fatto di chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni od altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente.

In ambedue i casi l'azione deve essere illegittima: tale non è solo quando il soggetto non ha mai avuto il diritto di portare la divisa, di fregiarsi di una dignità, ma anche allorchè tale diritto è stato da lui perduto o gli è stato sospeso.

Nella prima ipotesi si esige che il fatto sia avvenuto in pubblico. Quanto alla seconda ipotesi, siccome nell'arrogarsi è implicito il concetto di attribuzione, non commette l'illecito colui che si lascerà attribuire, senza protesta, titoli, dignità, gradi a cui non ha diritto. Essendo sufficiente ad integrare il fatto anche un solo atto di attribuzione della qualifica inesistente, ci si trova di fronte alla struttura di una valutazione solo eventualmente permanente.

Il dolo esige la consapevolezza di agire senza diritto, trattandosi di un caso di illiceità speciale.

Nella previsione dell'articolo 498 rientra il laureato in giurisprudenza che si arroga il titolo di avvocato, senza essere iscritto al relativo albo, e così il laureato in lettere che si fregia del titolo di professore, l'avvocato radiato dall'albo che esponga al pubblico una targa contenente il nome ed il titolo.

Quanto ai titoli nobiliari, in considerazione dell'articolo XIV delle disposizioni finali e transitorie della Costituzione, la quale, fra l'altro, ha stabilito che i titoli nobiliari non sono riconosciuti, la Cassazione giudicò in passato che l'arrogarsi i titoli stessi non costituisce più reato, anche se commesso prima dell'entrata in vigore della Costituzione.

La giurisprudenza ha concluso che l'illecito può concorrere con la truffa. Ma se il raggiro consiste nella sola falsa attribuzione di cui all'articolo 498, ci si trova senza dubbio di fronte ad una situazione di concorso apparente di norme col vincolo a ritenere soltanto l'ipotesi della truffa.

La sanzione per ambedue le ipotesi è la sanzione amministrativa pecuniaria da 154 a 929 euro. è imposta la pubblicazione del provvedimento che accerta la violazione.

Sostituzione di persona.[]

è una figura criminosa che non ha riscontro nella legislazione penale italiana anteriore al codice vigente. Secondo l'articolo 494, essa consiste nel fatto di colui che

induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria alla altrui persona, od attribuendo a sè od ad altri un falso nome, od un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

In questa fattispecie criminosa la lesione della pubblica fede, e cioè l'inganno di un numero indeterminato di persone, può mancare; anzi, di regola non si verifica onde appaiono tutt'altro che infondate le critiche che sono state mosse alla codificazione del reato nel titolo VII del codice.

Risulta dal testo dell'articolo 494 che il fatto deve esserre commesso

al fine di procurare a sè od ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno

e la dottrina nonchè la giurisprudenza, affermano che il vantaggio od il danno non devono essere necessariamente economici, desumendone che commette il reato in parola colui che, con falso nome, facendosi credere celibe, ottiene i favori di una donna, oppure presentandosi come appartenente ad una nota famiglia, riesce in tal modo ad entrare in relazione con persone che altrimenti non avrebbero concesso la loro amicizia, confidenza, ospitalità.

Non è dubitabile che il delitto si consuma non appena l'induzione in errore sia avvenuta, senza che occorra il conseguimento del vantaggio o la verificazione di un danno. Il tentativo è ammissibile.

Siccome l'articolo 494 contiene anche la riserva

se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica

la norma non si applica quando ricorrono gli estremi dei delitti di cui agli articoli 495 e 406.

Non si ha concorso di reati allorchè il fatto contemplato nella disposizione in esame è elemento costitutivo o circstanza aggravante di un altro reato. Lo stesso non può dirsi per il delitto di truffa, il quale, secondo l'opinione corrente, non assorbe il reato di cui si tratta, concorrendo con esso.

La sanzione prevista è la? reclusione fino ad 1 anno.

Reati contro la personalità dello Stato.[]

Il titolo I del libro II del codice, sotto la denominazione di delitti contro la personalità dello Stato contiene i delitti politici: più precisamente? delitti oggettivamente politici.

Nella nozione di delitto politico rientrano anche i reati che offendono i diritti politici dei cittadini, e cioè i poteri che questi hanno di partecipare all'attività statale, coprendo uffici pubblici od adempuendo pubbliche funzioni, perchè senza dubbio anche essi colpiscono lo Stato nella sua essenza unitaria.

Il codice Zanardelli, per designare i delitti politici, usava la denominazione di delitti contro la sicurezza dello Stato, ma tale espressione è stata ritenuta insufficiente, e perciò abbandonata, sia perchè male si adatta a varie forme di reato, come l'offesa alla bandiera od ad altri emblemi dello Stato, sia perchè il legislatore ha inteso accogliere un principio di tutela più ampio della pura difesa dello Stato, comprendendovi altri interessi fondamentali.

La nuova denominazione delitti contro la personalità dello Stato esige un chiarimento ed una precisazione. Il Manzini, dalla considerazione indubitabile che l'idea della personalità richiama quella di persona, ha affermato che nella classe di delitti che ci accingiamo a vedere l'oggetto del reato si identifica completamente col soggetto passivo. L'interesse protetto riguarderebbe la persona dello Stato in sè considerata, e cioè le condizioni per le quali lo Stato può esistere e svolgere la sua attività. Questa veduta non si può condividere, perchè l'ordinamento giuridico non tutela mai le persone in sè stesse, ma i loro interessi.

L'espressione delitti contro la personalità dello Stato, pertanto, non va intesa nel senso letterale di delitti contro la persona dello Stato, ma nel senso di delitti contro gli interessi politici dello Stato, e cioè contro gli interessi che concernono la vita dello Stato nella sua essenza unitaria.

Nel titolo in esame i reati politici sono distinti principalmente in delitti contro la personalità internazionale dello Stato e delitti contro la personalità interna dello Stato. Per giustificare la distinzione nei lavori preparatori è detto che la personalità dello Stato può esplicarsi in due modi: nei rapporti che si svolgono con gli altri Stati e nei rapporti che si esplicano entro i confini del suo territorio. Se ne deduce che la detta personalità può essere considerata sotto un duplice aspetto: come personalità internazionale e come personalità di diritto interno.

Questa giustificazione non è necessaria una volta che si tenga presente il significato concreto che deve essere attribuito all'espressione personalità dello Stato.

è indispensabile sottolineare che la distinzione tra interessi politici internazionali ed interessi politici interni è tutt'altro che netta, perchè le due specie di interessi sono intimamente collegate fra loro. Da ciò la conseguenza che i reati del primo gruppo molte volte ledono o pongono in pericolo anche interessi politici interni, come quelli del secondo possono avere ripercussioni sfavorevoli nei rapporti con gli altri Stati ed offendere anche interessi politici internazionali. Queste interferenze non devono essere perdute di vista nell'interpretazione della legge.

Il codice ha distinto il titolo relativo ai delitti contro la personalità dello Stato in quattro capi:

  1. Delitti contro la personalità internazionale dello Stato. Il codice abrogato denominava i reati del primo gruppo delitti contro la Patria. La denominazione era impropria, perchè la maggior parte delle figure criminose che vi sono comprese possono essere commesse anche dallo straniero. Per la stessa ragione sarebbe impropria la denominazione delitti di alto tradimento, la quale era frequentemente usata nel diritto intermedio e figurava nello Statuto Albertino. Essa appare anche nella nuova Costituzione all'articolo 90, ma solo nei confronti dell'eventuale responsabilità del Presidente della Repubblica. In questo caso l'espressione non può ritenersi inesatta, perchè l'altissima carica implica sempre uno speciale dovere di fedeltà verso lo Stato. Contiene? i delitti che offendono prevalentemente l'interesse dello Stato nella sua esistenza, all'integrità territoriale, alla sicurezza, alla normalità dei rapporti con le altre nazioni, nonchè alla sua efficienza ed al suo prestigio. I compilatori del codice hanno incluso nel capo alcune norme incriminatrici dirette specificamente a colpire gli avversari politici del regime. In questi fatti è ravvisata persono un'offesa alla personalità internazionale dello Stato.
  2. Delitti contro la personalità interna dello Stato. Viene tutelata anzitutto la persona del Capo dello Stato; quindi la Costituzione e gli organi costituzionali dello Stato, i poteri dello Stato e, infine, il prestigio della nazione.
  3. Delitti contro i diritti politici del cittadino. Comprende una sola figura criminosa, sotto la denominazione di attentati contro i diritti politici del cittadino, articolo 294.
  4. Delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi ed i loro rappresentanti. Figurano gli attentati ai Capi di Stato esteri, nonchè le offese alla bandiera ed agli altri emblemi degli Stati medesimi, mentre sono stati abrogati dalla legge 25 giugno 1999 numero 205 i delitti di offesa all'onore dei Capi e dei rappresentanti di Stati esteri.
  5. In un quinto capo sono contenute alcune disposizioni complementari comuni a tutti od ad una parte dei delitti previsti dal titolo stesso.

Quanto au delitti contro gli Stati esteri, a rigore essi dovrebbero far parte del primo gruppo, trattandosi di fatti suscettibili di nuocere alla sicurezza ed al prestigio dello Stato italiano per le ripercussioni, talora gravi, che possono avere nei rapporti internazionali. Ragioni pratiche consigliano di conservare l'autonomia del gruppo.

L'impianto originario dei dilitti di cui al titolo di cui è causa, tenuto presente il momento storico nel quale è sorto in funzione dei principi di un sistema totalitario, fa avvertire viva un'esigenza di coordinamento coi valori e principi della Costituzione. Se la dottrina è sostanzialmente schierata nel senso suddetto, non poche sono le divergenze sui modi e sui tempi della riforma. Va considerato che il sistema di tutela della personalità dello Stato definito dal codice Rocco è stato ampiamente modificato in più punti. In parte vi ha contribuito la giurisprudenza, di legittimità e di merito, che ha condotto un importante lavoro di adeguamento sul piano interpretativo del contenuto di alcune norme alle nuove libertà costituzionali. Un ruolo fondamentale è stato svolto dalle sentenze della Corte costituzionale che hanno reinterpretato o, in alcuni casi, espunto dal sistema le fattispecie che più apparivano impregnate dello spirito totalitario del regime fascista ed in quanto tali non più compatibili con il quadro dei principi dello Stato democratico. In parte l'assetto di tutela è stato interessato da una serie di riforme intervenute su specifici profili di disciplina, ma incapaci di affrontare in modo organico e complessivo la revisione dell'intero titolo.

I delitti contro la personalità dello Stato hanno subito modificazioni in seguito ai rivolgimenti politici che si sono verificati in Italia sul finire della seconda guerra mondiale- Con il d.l.l. 14 settembre 1944 numero 288, furono abrogate le disposizioni degli articoli 280, 281 w 282 che riguardavano alcuni delitti contro il Capo del Governo e, dopo la proclamazione della Repubblica, con la legge 11 novembre 1947 numero 1317, sono stati modificati gli articoli 276-279, 283, 289-290, 298 e 313 con l'aggiunta dell'articolo 290 bis. La legge 23 marzo 1956 numero 167, ha esteso la sfera di efficacia di alcuni delitti contro la personalità dello Stato, escludendo per essi la disciplina del codice militare di pace e la giurisdizione dei tribunali militari. La legge 30 luglio 1957 numero 655 ha apportato modifiche ai reati di attentato e di vilipendio, mentre la legge 24 ottobre 1977 numero 801 di riforma del servizio di sicurezza ha indirettamente interessato la tutela penale del segreto di Stato, definendo quali notizie potessero essere legittimamente segretabili.

Altri significativi interventi di riforma sono stati sollecitati dalla necessità di adeguare la tutela penale alle mutazioni della criminalità politica. Dapprima, sul finire degli anni settanta, il legislatore si trovò a dover fronteggiare il terrorismo di matrice interna.

Più recentemente la nuova dimensione internazionale del terrorismo ha imposto ulteriori interventi di riforma, necessari al fine di adeguare il nostro ordinamento agli standards di tutela imposti dalle condizioni internazionali e dalla normativa europea. In questa direzione vanno segnalate:

  • la legge 15 dicembre 2001 numero 438, che ha riscritto l'articolo 270 bis, attribuendo espressa rilevanza alle associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale ed al loro funzionamento, ed ha introdotto l'articolo 270 ter.
  • la legge 14 febbraio 2003 numero 34, che nel ratificare la Convenzione ONU per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata il 15 febbraio 1997, ha introdotto il delitto di atto di terrorismo con ordigni micidiali od esplosivi.
  • la legge 31 luglio 2005 numero 155 che ha definito per la prima volta le condotte con finalità di terrorismo ed ha attribuito rilevanza penale alle condotte di arruolamento ed addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale.

In una direzione differente si sono mossi gli interventi rivolti a sfrondare il sistema da alcune fattispecie che risultavano rami secchi dell'ordinamento nell'ambito dei cosiddetti reati di opinione, ossia quelle fattispecie che sanzionano la mera manifestazione di un pensiero: se molte di tali fattispecie costituivano uno strumento forte di tutela degli interessi politici dello Stato nella prospettiva autoritaria del regime fascista, erano diventate un imbarazzante presenza nel nuovo contesto costituzionale, che fa della libertà di manifestazione del pensiero un tassello essenziale dell'ordinamento democratico. In quest'ottica si sono mosse sia la legge 25 giugno 1999 numero 205, che nell'ambito di un disegno complessivo di depenalizzazione ha abrogato alcune fattispecie, sia la legge 24 febbraio 2006 numero 85, significativamente intitolata Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione. Quanto all'intervento sui reati di opinione, quest'ultima legge ha abrogato alcune fattispecie, che di fatto erano state disapplicate dalla magistratura. Tale legge ha in verità avuto un impatto sui delitti contro la personalità dello Stato ben più ampio di quanto non faccia trasparire l'intitolazione, in quanto è intervenuta a modificare anche la controversa fattispecie dell'associazione sovversiva, nonchè alcuni delitti di attentato: ora, sebbene fosse da tempo stata sollecitata dalla dottrina sia una riforma dei reati associativi politici, sia della struttura dei delitti di attentato, è mancata al legislatore una visione riformista complessiva dei settori su cui andava ad intervenire, per cui le modifiche apportate solo ad alcune fattispecie hanno finito per aprire nuove incoerenze nel sistema di tutela, limitando così il valore della riforma e dando ragione a coloro che hanno letto dietro la legge numero 85 del 2006 la volontà politica di soddisfare le specifiche richieste di una parte delle forze della coalizione della maggioranza.

L'ultimo intervento di riforma che ha interessato indirettamente il titolo I del libro II del codice penale è costituito dalla legge 3 agosto 2007 numero 124 che, nel disciplinare il sistema di informazione per la sicurezza, ha dettato anche nuove regole in tema di segreto di Stato, che sostituiscono quelle previste dalla precedente legge numero 801/1977, espressamente abrogata.

Ancora una volta si fanno sentre pressanti le esigenze di una riforma complessiva dei delitti contro la personalità dello Stato, che inquadri le fattispecie all'interno dei principi costituzionali, ne rispetti i rapporti sistematici e tenga conto dei collegamenti con la disciplina extracodicistica.

L'articolo 242 del codice punisce

il cittadino che porta le armi contro lo stato, o presta servizio nelle forze armate di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano.

Il fatto è incriminato non tanto per il danno che reca, danno che il più delle volte è insignificante, perchè implica una gravissima violazione dell'obbligo di fedeltà che ogni cittadino ha verso la patria.

Il reato può essere commesso soltanto dal cittadino, il quale non deve rivestire la qualità di militare italiano, giacchè in tal caso sarebbero applicabili le norme dei codici penali militari. Il terzo comma dell'articolo precisa che è considerato cittadino anche chi ha perduto per qualsiasi causa la cittadinanza italiana.

Portare le armi significa partecipare in qualità di belligerante ad operazioni militari contro il nostro Paese. Prestare servizio vuoil dire far parte dell'esercito nemico, anche se in esso si esplicano soltanto funzioni tecniche od ausiliarie. Nella prima ipotesi non è richiesta l'esistenza di uno stato di guerra, come nel caso del cittadino che porti le armi contro la Patria con elementi raccolti all'estero; nella seconda lo stato di guerra è necessario, ma non si richiede che il servizio sia prestato in forze armate che nel momento agiscano contro l'Italia. Il quarto comma dell'articolo in esame espressamente precisa che, agli effetti della legge penale, sono considerati in guerra con lo Stato italiano

anche gli aggregati politici che, sebbene dallo Stato italiano non riconosciuti come Stati, abbiano tuttavia il trattamento di belligeranti.

L'elemento soggettivo è costituito dalla volontà consapevole di compiere le azioni sopra indicate. Il dolo non sussiste e la punibilità è esclusa se il cittadino si arruoli nelle file nemiche per favorire il nostro Paese.

Il delitto, che è permanente, ammette il tentativo, come nel caso di arruolamento, che non abbia avuto seguito per cause indipendenti dalla volontà del soggetto.

è circostanza aggravante speciale l'avere esercitato nelle operazioni belliche un compando superiore od una funzione direttiva.

Il comma 2 dell'articolo 242 stabilisce che non è punibile chi, trovandosi, durante le ostilità, nel territorio dello Stato nemico, ha commesso il fatto per esservi stato costretto da un obbligo impostogli dalle leggi dello Stato medesimo.? è questo uno speciale stato di necessità. Qualora l'obbligo sia imposto non dalla legge, ma da un ordine dell'Autorità, può trovare applicazione, nei congrui casi, la norma generale sullo stato di necessità contenuta nell'articolo 54 del codice. In ambedue le ipotesi, l'esimente non si applica se il soggetto poteva sottrarsi all'obbligo senza correre il pericolo di un grave danno alla persona.

La sanzione prevista è l'ergastolo, anche nel caso della circostanza dell'aggravante speciale, per la quale il codice stabiliva la pena di morte.

Relazioni illecite con lo straniero.[]

Intelligenze con lo straniero a scopo di guerra contro lo Stato italiano. Risponde di questo reato chiunque:

- tiene intelligenze con lo straniero affinchè uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano,

- commette altri fatti diretti allo stesso scopo.

Sono intelligenze le intese di qualsiasi genere, non importa se palesi od occulte. La parola straniero indica non solo il goveno estero, ma anche gli agenti, diretti od indiretti, di esso. Per atti di ostilità devono intendersi qualsiasi manifestazione di inimicizia diversa dalla guerra. Per la sussistenza del reato basta qualsiasi fatto diretto a provocare la guerra od atti di ostilità contro il nostro Stato. Trattasi di un delitto che non consente il tentativo.

Alla coscienza e volontà dell'azione si deve accompanare il fine specifico.

Circostanza aggravante speciale è il fatto che a guerra sia seguita o le ostilità si siano verificate. Il Vannini sostiene che l'aggravante non è applicabile se

per intervento di fatti od avvenimenti nuovi o per altro motivo, si debba nel modo più assoluto escludere che nel verificarsi della guerra o delle ostilità abba influito l'attività del colpevole.

Le sanzioni sono la reclusione non inferiore a 10 anni e, dove si verifichi l'aggravante, l'ergastolo.

Intelligenze con lo straniero per impegnare lo Stato italiano alla neutralità od alla guerra. Il delitto consiste nel tenere

intelligenze con lo straniero per impegnare o per compiere atti diretti ad impegnare lo Stato italiano alla dichiarazione od al mantenimento della neutralità, ovvero alla dichiarazione di guerra.

Scopo di questa incriminazione è di impedire intromittenze straniere a favore della guerra o della neutralità, salvaguardando l'autonomia delle decisioni delle Autorità responsabili dello Stato.

Per la consumazione del reato basta che siano realizzate con lo straniero intelligenze destinate ad impegnare lo Stato nel senso indicato o semplicemente a compiere atti diretti all'assunzione di tali impegni.

Il dolo? di questo delitto è specifico, in quanto l'agente deve avere di mira un risultato che non è necessario per la perfezione del reato.

Il reato è aggravato se le intelligenze hanno per oggetto una propaganda per mezzo della stampa.

Le sanzioni sono la reclusione da 5 a 15 anni, la quale nel caso di concorso dell'aggravante subisce l'aumento normale fino ad un terzo. Per la procedibilità è necessaria l'autorizzazione del Ministro della giustizia.

Corruzione del cittadino da parte dello straniero. Risponde di questo reato il cittadino che, anche indirettamente

riceve o si fa promettere dello straniero, per sè o per altri, denaro o qualsiasi utilità, o soltanto ne accetta la promessa, al fine di compiere atti contrari agli interessi nazionali.

Il primo capoverso dell'articolo 246 sancisce la responsabilità dello straniero che dà o promette il denaro o l'utilità.

Gli atti a cui deve essere diretta la corruzione possono riguardare tanto la politica internazionale od interna, quanto l'economia o la finanza, l'ordine pubblica, la cultura. Essi si considerano contrari agli interessi nazionali quando sono in contrasto con le direttive degli organi autorizzati dello Stato. Il testo non si riferisce soltanto alla politica del Governo.

Il dolo è specifico e per la sua esistenza si richiede anche che il soggetto abbia la consapevolezza del contrasto? ora accennato. L'opinione personale dell'agente che i suoi atti rispondano agli interessi della nazione, non esclude il dolo.

Il delitto è aggravato: se il fatto è commesso in tempo di guerra o se il denaro o l'utilità sono dati o promessi per una propaganda col mezzo della stampa.

Le sanzioni sono: la reclusione da 3 a 10 anni e la multa da 516 a 2065 euro, tanto per il corrotto quanto per il corruttore. Verificandosi una delle circostanze aggravanti indicate, la pena è aumentata fino ad un terso. Se concorrono ambedue le circostanze, si applicano le disposizioni contenute nell'articolo 63 del codice.

Accettazione di onorificenze od utilità da uno straniero nemico. Prima dell'abrogazione per effetto dell'articolo 18 della legge 25 giugno 1999 numero 205 era punito il cittadino, che, da uno Stato in guerra con lo Stato italiano, avesse accettato

gradi o dignità accademiche, titoli, decorazioni od altre pubbliche insegne onorifiche, pensioni od altre utilità, inerenti ai predetti gradi, dignità, titoli, decorazioni od onorificenze.

Nella relazione del Guardasigilli al re, l'incriminazione venne giustificata, rilevando che non si trattava di una manifestazione di riprovevole vanità, ma di una assai grave mancanza di solidarietà sentimentale e politica col proprio Stato, nel tempo in cui si fosse trovato in guerra con un altro Stato.

Attentati alla pace.[]

Sotto la rubrica di atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra, l'articolo 244 punisce

chiunque, senza l'approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra.

Nel capoverso dell'articolo è prevista una forma attenuata del reato, la quale si ha quando gli atti ostili sono

tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano od i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni.

L'approvazione governativa è presupposto della condotta e scrimina se esistente nel momento del fatto. Arruolamento è qualsiasi ingaggio di armati, retribuito o gratuito, fatto con personale italiano o straniero, il quale implichi un rapporto gerarchico tra comandanti e subordinati. Nell'espressione atti ostili rientra ogni manifestazione di avversione contro lo Stato straniero, come il pubblico vilipendio, le dimostrazioni, le sottoscrizioni oltraggiose. Il delitto presuppone lo stato di pace, di neutralità o di non belligeranza tra il nostro Paese e la nazione straniera. Gli arruolamenti non autorizzati e gli altri atti ostili devono essere tali da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra. Qualche difficoltà ha arrecato l'esatta determinazione del concetto di atti ostili. Secondo una parte della dottrina non sarebbero sufficienti manifestazioni di grave inimicizia o di odio, ma gli atti dovrebbero essere dotati di una carica di aggressività tale che, se tollerata dallo Stato, verrebbe ad esprimere una vera e propria violazione o rottura della neutralità.

Secondo le regole generali ed in conseguenza di quanto ora si è detto sull'elemento oggettivo, il dolo esige la consapevolezza di esporre il nostro Paese al pericolo di una guerra.

Il delitto nella forma tipica si aggrava se la guerra avviene; nella forma attenuata, qualora segua la rottura delle relazioni diplomatiche oppure avvengano le rappresaglie o le ritorsioni.

Le sanzioni per la forma tipica è la reclusione da 6 a 18 anni, per la forma attenuata è la reclusione da 3 a 12 anni. Ricorrendo le aggravanti speciali indicate, nel primo caso si applica l'ergastolo, nel secondo la reclusione da 5 a 15 anni.

Favoreggiamento del nemico.[]

Favoreggiamento bellico. Consiste nel fatto di colui che

in tempo di guerra, tiene intelligenza con lo straniero per favorire le operazioni militari del nemico a danno dello Stato italiano, o per nuocere altrimenti alle operazioni militari dello Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti agli stessi scopi.

Soggetto attivo può essere anche lo straniero, ma non un suddito dello Stato in guerra con lo Stato italiano, perchè, per un principio di diritto internazionale, costui si identifica col nemico.

Per la perfezione del reato basta che, allo scopo di favorire le operazioni militari del nemico o di nuocere a quelle dello Stato italiano, siano tenute intelligenze con lo straniero o siano commessi altri fatti diretti ai medesimi scopi. La Cassazione ha giudicato che il reato di favoreggiamento dei disegni politici del nemico mediante denunzia di persone ad esso ostili, sussiste anche nel caso che il denunciato non abbia subito alcun danno.

Il dolo, che è specifico, non sussiste se il soggetto ha simulato di favorire il nemico, mentre in realtà, con la sua azione od omissione, intende rendere un servizio allo Stato italiano.

Il delitto è aggravato se l'autore ha conseguito l'intento è riuscito a favorire le operazioni militari nemiche? oppure a nuocere altrimenti a quelle del nostro Paese.

Le sanzioni sono, per la forma semplice, la reclusione non inferiore a 10 anni; per la forma aggravata, l'ergastolo.

Somministrazione al nemico di provvigioni. Risponde di? questo delitto

chiunque, in tempo di guerra, somministra, anche indirettamente, allo Stato nemico provvigioni, ovvero altre cose, le quali possono essere usate a danno dello Stato italiano.

è esclusa la punibilità dello straniero che commette il fatto all'estero.

Provvigioni sono i viveri. Le altre cose di cui si parla nella norma comprendono gli strumenti bellici, le munizioni, il vestiario, gli animali, i veicoli e relativi accessori, le materie prime. La somministrazione deve essere fatta allo Stato nemico, eventualmente a mezzo di privati che agiscano come intermediari, ma non ai privati come tali.

La perfezione del delitto si verifica nel momento in cui avviene la somministrazione: non si richiede che un danno sia derivato allo Stato italiano.

L'elemento psicologico, dolo generico, consiste nella volontà di effettuare le consegne, sapendo che le forniture sono destinate ad uno Stato nemico e, quando non si tratti di provvigioni ma di altre cose, sapendo pure che possono essere usate a danno del nostro Paese. Il dolo è escluso se la consegna non è volontaria, come nel caso di requisizione.

La sanzione prevista è la reclusione non inferiore a 5 anni.

Partecipazione ai prestiti a favore del nemico. Incorre questo delitto (favoreggiamento economico del nemico)

chiunque, in tempo di guerra, partecipa a prestiti od a versamenti a favore dello Stato nemico, od agevola le operazioni ad essi relativi.

L'incriminazione mira ad impedire che siano accresciute le disponibilità finanziarie del nemico e ne risulti rafforzata l'efficacia bellica.

Il codice in modo espresso esclude la punibilità dello straniero che commette il fatto all'estero.

La partecipazione implica il concorso con altri nel fatto configurato dalla legge, ma tale concorso non è indipensabile. Non si esige che il prestito sia emesso direttamente dallo Stato nemico e che i versamenti siano effettuati direttamente ad esso: basta che gli uni e gli altri vadano a favore dello Stato medesimo.

Il reato si perfeziona col solo fatto di effettuare prestiti o versamenti oppure con l'agevolare le operazioni relative, favorendole o facilitandole in qualsiasi modo.

Il dolo generico consiste nella volontà di compiere le azioni sopra delineate, con la consapevolezza che i prestiti ed i versamenti vanno a profitto dello Stato in guerra col nostro Paese.

La sanzione è la reclusione non inferiore a 5 anni.

Commercio col nemico. Il reato è costituito dal fatto del cittadino o dello straniero dimorante nel territorio dello Stato

il quale, in tempo di guerra e fuori dei casi indicati nell'articolo 248, commercia, anche indirettamente, con sudditi dello Stato nemico, ovunque dimoranti, ovvero con altre persone dimostranti nel territorio dello Stato nemico.

Il commercio non deve avere per oggetto

provvigioni ovvero altre cose le quali possano essere usate a danno dello Stato italiano

perchè in tal caso sarebbe applicabile l'articolo 248 che riguarda il cosiddetto favoreggiamento bellico indiretto.

Scopo dell'incriminazione è di eviare che siano aumentate le disponibilità economiche del nemico e, quindi, ne risultino accresciuti i mezzi di resistenza e di lotta contro lo Stato italiano.

Soggetto attivo del reato può essere non solo il cittadino italiano, ma anche lo straniero, alla condizione che dimori nel territorio del nostro Stato.

Per la perfezione del reato non si esige il passaggio della cosa nella disponibilità dell'altro contraente: basta che sia compiuto un atto di commercio.

Il dolo sussiste anche senza il fine di danneggiare il nostro Paese. In base alle regole generale esso è escluso non solo quando l'agente ignori che la persona con cui commercia è un suddito di uno Stato nemico o dimora nel territorio dello stesso, ma anche se, interpretando in modo erroneo una legge diversa dalla legge penale, si ritiene legalmente autorizzato all'atto di commercio che compie.

La molteplicità degli atti di commercio, succedutisi nel tempo e formati un complesso unitario, non importa pluralità dei reati, trattandosi di uno di quei delitti che comunemente si dicono abituali.

Le sanzioni sono la reclusione da 2 a 10 anni, nonchè la multa pari al quintuplo del valore della merce e, in ogni caso, non inferiore a 1.032 euro.

Inadempienze e frodi nelle forniture in tempo di guerra.[]

Inadempimento di contratti di forniture in tempo di guerra. Allo scopo di impedire che la potenza bellica o la forza civile di resistenza della nazione siano indebolite, viene punito

chiunque, in tempo di guerra, non adempie, in tutto od in parte, gli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura di cose o di opere concluso con lo Stato o con un altro ente pubblico o con un'impresa esercente servizi pubblici o di pubblica utilità, per i bisogni delle forze armate dello Stato o della popolazione.

Rispondono del reato anche i subfornitori, i mediatori ed i rappresentanti dei fornitori, allorchè essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno cagionato l'inadempimento del contratto di fornitura.

Il fatto è punito a titolo di colpa, cioè quando l'inadempimento è dovuto a semplice negligenza od imprudenza.

QUesto delitto costituisce una sottospecie di quello previsto fra i reati contro la Pubblica Amministrazione dall'articolo 355 del codice. Ne differisce: perchè presuppone il tempo di guerra; perchè oggetto del contratto devono essere cose od opere destinate ai bisogni delle forze armate dello Stato o della popolazione; perchè non si richiede che lo Stato o l'ente destinatario della fornitura sia rimasto, in tutto od in parte, privo di ciò che doveva essere somministrato.

Le sanzioni sono la reclusione da 3 a 10 anni, nonchè la multa pari al triplo del valore della cosa od opera che si sarebbe dovuta fornire, multa che in ogni caso non può essere inferiore a 1.032 euro. Per il delitto colposo le anzidette pene sono ridotte alla metà.

Frode in forniture in tempo di guerra. Questo delitto è una forma aggravata di quello contemplato nell'articolo 251 e si verifica quando, in tempo di guerra, si

commette frode nell'esecuzione dei contratti di fornitura o nell'adempimento degli obblighi contrattuali indicati nell'articolo stesso.

Deve tenersi presente che, se la frode sia commessa allo scopo di fornire le operazioni militari del nemico o di nuocere altrimenti alle operazioni militari dello Stato italiano, come nel caso che per quel fine sia fornitura una notevole quantità di armi mal costruite, non sarà applicabile l'articolo 252, ma l'articolo 247.

Le sanzioni previste sono la reclusione non inferiore a 10 anni accompagnata da una multa pari al quintuplo del valore della cosa do opera che doveva essere fornita e, in ogni caso, non inferiore a 2.065 euro.

Manomissione di cose concernenti la sicurezza dello Stato.[]

Distruzione o sabotaggio di opere militari. Per l'articolo 253 è punito

chiunque distrugge, o rende inservibili, in tutto od in parte, anche temporaneamente, convogli, strade, stabilimenti, depositi od altre opere militari od adibite al servizio delle forze armate dello Stato.

Soggetto attivo del delitto può essere anche lo straniero, sia pure suddito di uno Stato nemico, ovunque esso dimori.

In ordine all'elemento oggettivo si osserva che la distruzione indica il disfacimento della cosa per cui questa cessa di sussistere per cui questa cessa di sussistere nell'esistenza che aveva anteriormente, mentre sabotaggio significa rendere inservibile, in tutto od in parte, la cosa, in modo che non sia più adatta, anche in via temporanea, allo scopo a cui era destinata. Il fatto senza dubbio può essere realizzato anche mediante omissione. Quanto all'oggetto materiale dell'azione criminosa, in base alla ratio legis deve ritenersi che nel termine strada rientrino le vie d'acqua e nella dizione opere adibite al servizio delle forze armate dello Stato anche le linee telegrafiche, telefoniche e le teleferiche.

Per il dolo basta la volontà di porre in essere il fatto descritto nella norma incriminatrice, qualunque sia il fine propostosi dall'agente, il quale deve sapere che la cosa distrutta o sabotata era al servizio delle forze armate dello Stato.

Il delitto è aggravato in due casi: se il fatto è commesso nell'interesse di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano; se il fatto ha compromesso la preparazione la preparazione o l'efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

L'articolo 254 prevede un'ipotesi colposa del delitto di danneggiamento o sabotaggio di opere militari. Essa si verifica quando l'esecuzione del delitto in parola è stata resa possibile o soltanto agevolata da chi era in possesso od aveva la custodia o la vigilanza delle cose sopra indicate. Si tratta di un reato autonomo colposo, il quale presuppone che, ad opera di un'altra persona e senza intesa con la stessa, sia stato commesso dolosamente il fatto previsto dall'articolo 253. La responsabilità colposa sussiste anche se questo è dovuto a persona non imputabile o non punibile, essendo semplicemente assurdo che in tal caso l'autore dell'imprudenza o della negligenza che ha reso possibile la distruzione od il sabotaggio di opere militari, sfugga alla sanzione penale.

Le sanzioni sono per il delitto doloso, nella forma semplice, la reclusione non inferiore a 8 anni e, nella forma aggravata, l'ergastolo. Per il delitto colposo, la reclusione è da 1 a 5 anni.

Soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato. Incorre in questo reato

chiunque, in tutto od in parte, sopprime, distrugge o falsifica, ovvero carpisce, sottrae o distrae, anche temporaneamente, atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato od altro interesse politico, interno od internazionale dello Stato.

La consumazione del reato, il quale può essere commesso pure in tempo di pace ed anche dello straniero, si verifica nell'istante? in cui? è avvenuta la manomissione del documento e, nel caso di un semplice impossessamento, allorchè lo stesso è entrato, sia pure solo temporaneamente, nella disponibilità di colui che lo ha carpito, sottratto o distratto.

Il dolo, oltre alla volontà di realizzare i fatti indicati nella norma incriminatrice, implica la conoscenza che il documento soppresso, falsificato riguarda la sicurezza od altro interesse politico dello Stato.

In base alle regole generali il delitto in parola assorbe i reati che sono necessariamente contenuti in esso, come il danneggiamento, il falso, il peculato ed il furto. Si avrebbe concorso di reati qualora il fatto fosse commesso mediante un'azione criminosa che non presenti quel carattere. Se l'impossessamento del documento avviene a scopo di spionaggio, non si applicherà la norma in esame, la quale ha carattere generico, bensì quella speciale che prevede la forma di spionaggio che corrisponde al fatto commesso.

Un'ipotesi colposa del delitto di cui ci stiamo occupando è delineata nell'articolo 259 che riguarda anche altri reati. Essa si verifica allorchè l'esecuzione del delitto è stata resa possibile o soltanto agevolata per colpa di chi era in possesso del documento. Tanto per il delitto doloso quanto per quello colposo, costituisce aggravante speciale la circostanza che il fatto abbia compromesso la preparazione o l'efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

Le sanzioni sono per il delitto doloso, nella dorma semplice, la reclusione non inferiore a 8 anni e, nella forma aggravata l'ergastolo. Per il delitto colposo si applica la reclusione da 1 a 5 anni, e, ricorrendo l'aggravante, la reclusione da 3 a 15 anni. Questa maggiore pena si applica anche quando l'esecuzione del delitto? è stata resa possibile o soltanto agevolata da chi aveva la custodia o la vigilanda dei luoghi o delle zone di terra, di acqua o di aria, nelle quali è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato.

Spionaggio.[]

Sotto questa denominazione vengono riunite le figure delittuose contemplate negli articoli dal 256 al 262 del codice.

Scopo comune di tali incriminazioni è di tutelare il segreto di determinate notizie che hanno una particolare importanza per lo Stato, e cioè di impedire che tali notizie siano apprese da persone diverse da quelle che legalmente debbono o possono averne conoscenza. Esse mirano a prevenire e reprimere il triste fenomeno dello spionaggio, e ciò può giustificare la denominazione corrente.

Le notizie considerate dal codice penale riguardano o manifestazione della potestà sovrana o cose che sono oggetto di tale potestà, e possono essere di due specie.

La prima categoria concerne le notizie che debbono rimanere segrete, vale a dire, devono restare celate ad ogni persona celata ad ogni persona diversa dai depositari delle stesse e da coloro che hanno il dovere o la facoltà di conoscerle. Per esplicita disposizione della legge

fra le notizie che debbono rimanere segrete nell'interesse politico dello Stato sono comprese quelle contenute in atti del Governo, da esso non pubblicati per ragioni di ordine politico, interno od internazionale.

Queste notizie si dicono comunemente segreeti di Stato.

La seconda categoria concerne le notizie che non devono essere divulgate per esplicita disposizione delle Autorità. Per quanto simili fatti cadono sotto gli occhi di una rilevante quantità di persone, può interessare allo Stato che la conoscenza di essi sia circoscritta al minimo inevitabile e perciò ne è vietata la diffusione. Anche queste notizie devono concernere la sicurezza od altro interesse politico od internazionale dello Stato.

Mentre rispetto alle notizie del primo gruppo il vincolo del segreto deriva in modo diretto dalla natura dei fatti o della cosa a cui si riferisce, per le notizie riservate non si può prescindere dall'espresso divieto dell'Autorità.

In ordine ai segreti di Stato, va posto in rilievo che il codice vi ha compreso le notizie che

comunque, nell'interesse politico, interno od internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete

e ciò per il più ampio criterio di tutela adottato dal legislatore nel titolo I del libro II del codice. La legge 24 ottobre 1977 numero 801, sollecitata da un'importante sentenza della Corte costituzionale che aveva delimitato le aree di interesse legittimamente segretabili, aveva chiarito che sono coperti da segreto di Stato

gli atti, i documenti, le notizie, le attività ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno all'integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati ed alle relazioni con essi, alla preparazione ed alla difesa militare dello Stato.

La tutela del segreto di Stato veniva affidata al Presidente del Consiglio dei ministri ed era espressamente stabilito che tale segreto non può in nessun caso investire

fatti eversivi dell'ordine costituzionale.

La legge numero 801/1977 non interveniva direttamente a modificare le norme del codice penale a tutela del segreto di Stato, ma l'articolo 18 precisava che

sino alla data di emanazione di una nuova legge organica relativa alla materia del segreto, le fattispecie previste e punite dal libro II, titolo I, Capi I e V del codice penale, concernenti il segreto politico interno od internazionale debbono essere riferite alla definizione di segreto di cui agli articoli 1 e 12 della presente legge.

Nessun dubbio che la nuova definizione di segreto di Stato dovesse valere anche agli effetti della disciplina codicistica, generando una nozione oggettiva di segreto, fondato cioè non sulla mera potestà del detentore della notizia, ma su specifiche aree di interesse, che consentissero un vaglio sulla fondatezza dell'opposizione del segreto di Stato all'autorità giudiziaria.

La riforma lasciava aperti alcuni interrogativi. Anzitutto parte della dottrina non aveva mancato di criticare l'eccessiva ampiezza degli interessi indicati nell'articolo 12 rispetto ai criteri che la Corte costituzionale aveva indicato per la ridefinizione del segreto di Stato: in particolare a destare le maggiori perplessità era il richiamo al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, che rischiava di creare un ingiustificato scudo protettivo dell'attività del Governo. Un secondo ordine di problemi nasceva dalla mancanza di un chiaro coordinamento tra la legge di riforma ed il codice, in quanto le notizie riservate non erano più menzionate dalla legge numero 801/1977.

Da tempo si sollecitava una riforma organica della materia dei servizi di informazione, che coinvolgesse anche i profili penali. La recente legge 3 agosto 2007 numero 124 ha dettato una nuova disciplina del segreto, sostituendosi alla precedente legge numero 801/1977, che viene espressamente abrogata. è mancato l'auspicato disegno complessivo di riordino della materia, che continua a presentare nodi irrisolti.

L'articolo 39 comma 1 prevede che

sono coperti da segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all'indipendenza dello Stato rispetto rispetto agli altri Stati ed alle relazioni con essi, alla preparazione ed alla difesa militare dello Stato.

L'undicesimo comma precisa che

in nessun caso possono essere oggetto di Stato notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo od eversivi dell'ordine costituzionale od a fatti costituenti i delitti di cui agli articoli 285, 416 bis e 422 del codice penale.

Rispetto alla precedente disciplina, la norma estende l'ambito delle notizie non segretabili, includendovi anche i fatti di terrorismo, strage comune o politica, associazione di tipo mafioso ed accordo elettorale politico - mafioso. Si tratta di fattispecie particolarmente gravi, che possono presentare risvolti istituzionali, rispetto alle quali il legislatore ha ritenuto di dover assicurare la massima diffusione delle notizie ad esse relative.

Se non che il coordinatore con la disciplina penale presenta difetti ancor più gravi di quelli lasciati irrisolti dalla precedente riforma. Anche questa volta il legislatore non interviene sulle fattispecie del codice penale.

Analogamente alla riforma del 1977, la nuova legge tace a proposito di notizie riservate. Sono prospettabili due soluzioni. La prima condurrebbe a considerare ancora sussistente tale categoria di notizie, a condizione di riscriverne gli ambiti di riservatezza nei limiti fissati dal nuovo articolo 39 e sempre che l'ulteriore diffusione della notizia, al di là dell'ambito in cui la stessa? è nota, crei un effettivo grave pericolo per gli interessi tutelati. L'altra soluzione è leggere nel silenzio del legislatore una presa di posizione implicita a favore dell'abrogazione di tale categoria di notizie. A favore di questa lettura sembra deporre la stessa legge numero 124/2007 che è intervenuta espressamente a dettare una nuova disciplina del segreto, senza nulla disporre a riguardo delle notizie riservate. Un ulteriore argomento può essere tratto dall'articolo 42 di questa legge, che disciplina le classifiche di segretezza delle notizie in relazione alle necessità di circoscrivere in modo più o meno ristretto gli ambiti di conoscenza delle stesse. Il carattere riservato della notizia non sembra più essere un attributo che la differenzia qualitativamente dalla notizia segreta, ma una semplice graduazione dei limiti della sua diffusità, rispetto alle esigenze di tutela delle medesime sfere di interessi: esiste una sola categoria di informazioni, documenti, atti, attività, cose che possono essere coperte dal segreto di Stato. Se si segue questa seconda interpretazione le norme che il codice Rocco aveva posto a tutela delle notizie riservate perdono il loro oggetto e non trovano applicazione.

Come ogni altro segreto tutelato penalmente, i segreti di Stato non devono riferirsi a fatti notori, e cioè non devono essere a cognizione di un rilevante numero di persone oltre quelle che possono legalmente conoscerle. Il segreto cessa non solo quando l'Autorità esplicitamente lo abbia dichiarato, ma anche quando l'interessse a mantenere l'uno o l'altra sia venuto meno per le mutate condizioni, e cioè non sia più attuale. La legge numero 124/2007 ha introdotto limiti temporali di efficacia del segreto: decorsi 15 anni dall'apposizione del segreto di Stato o dalla sua opposizione all'autorità giudiziaria, confermata dal Presidente del Consiglio dei ministri, chiunque vi abbia interesse può richiedere al Presidente del Consiglio di avere accesso alle informazioni, ai documenti, agli atti, alle attività, alle cose od ai luoghi coperti dal segreto di Stato; è prevista la possibilità di prorogare il vincolo, ma per una durata complessiva che non può superare i 30 anni.

I tipi di reato che ci accingiamo ad esaminare presentano tutti le seguenti note: possono essere commessi sia in tempo di guerra che in tempo di pace; soggetti attivo può essere tanto il cittadino, quanto lo straniero, ovunque esso dimori.

Continuazione.[]

Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato.[]

è il delitto di colui che per qualsiasi scopo, escluso lo spionaggio

si procura notizie che, nell'interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell'interesse politico, interno od internazionale dello Stato, debbono rimanere segrete.

Il codice prevedeva che il reato potesse assumere due forme: una più grave e l'altra meno grave, secondo che le notizie procacciate costituiscano segreti di Stato o siano notizie di cui l'Autorità competente ha vietato la divultazione.

Perchè si possa parlare di procacciamento è necessario che l'agente sia venuto in possesso della notizia in seguito ad un'attività positiva diretta a tal fine e non già per semplice caso o per induzione da elementi o fatti notori: il mezzo con cui la notizia viene procacciata è indifferente.

Il delitto si consuma nel momento in cui il soggetto è pervenuto alla conoscenza della notizia.

Il dolo consiste nella volontà di procurarsi la notizia, sapendo che doveva rimanere segreta o non essere nell'interesse politico dello Stato. Se il colpevole ha agito per scopo di spionaggio non è applicabile l'articolo 256, ma l'articolo 257.

Dall'articolo 259 del codice si desume che è punita l'agevolazione colposa di questo delitto, la quale si ha quando l'esecuzione del reato è stata resa possibile, o soltanto agevolata, per colpa di chi era a cognizione del notizia segreta. Trattasi di un reato autonomo colposo, il quale presuppone che, ad opera di un'altra persona, e senza accordo con la medesima, sia stato commesso il fatto contemplato nell'articolo in esame. La responsabilità per il reato colposo non può essere negata se il detto fatto è commesso da persona non imputabile o non punibile, e ciò per la ragione che abbiamo indicato parlando dell'articolo 254.

Tanto per il delitto doloso doloso quanto per il delitto colposo il codice considera come aggravante speciale per la circostanza che il fatto abbia compromesso la preparazione e/o l'efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

Le sanzioni sono per il delitto doloso, se si tratta di segreti di Stato, la reclusione da 3 a 10 anni. Ricorrendo l'aggravante indicata, si applica l'ergastolo. L'agevolazione colposa nella forma semplice è punita con la reclusione da 1 a 5 anni e nella forma aggravata con la reclusione da 3 a 15 anni. Questa maggior pena si applica anche quando l'esecuzione del delitto è stata resa possibile o solo agevolata da chi aveva la custodia o vigilanza dei luoghi o delle zone di terra, di acqua o di aria, nelle quali è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato.

Spionaggio in senso diretto.[]

Allorchè il procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato viene commesso a scopo di spionaggio, si hanno i delitti di cui agli articoli 257 e 258. Il codice delinea due figure criminose: la prima riguarda il procacciamento di segreti di Stato ed è designata nella rubrica col nome generico di spionaggio politico o militare; la seconda concernente il procacciamento di notizie riservate, ed è denominata spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione. Quest'ultima dovrebbe considerarsi implicitamente abrogata dalla legge numero 124/2007.

Lo spionaggio, che deve costituire il fine dell'attività criminosa, può essere sia politico che militare. Non si esige che il soggetto abbia agito per mercede, nè che abbia avuto il proposito di portare la notizia a conoscenza di uno Stato straniero.

L'elemento materiale dei due reati non differisce da quello del delitto precedentemente esaminato.

Per la consumazione non è necessario che lo scopo di spionaggio sia stato conseguito, e cioè che le notizie segrete o riservate siano state palesate.

Il dolo è specifico.

Il codice all'articolo 259 contempla l'agevolazione colposa, per la quale vale quanto è stato detto parlando del delitto precedentemennte esaminato.

Sono previste due aggravanti speciali. La prima si ha quando il fatto è stato commesso nell'interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano; la seconda consiste nel fatto di avere compromesso la preparazione la preparazione o l'efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

La sanzione prevista è la reclusione non inferiore a 15 anni per lo spionaggio politico o militare e non inferiore a 10 anni per lo spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione. Ricorrendo l'una e l'altra delle aggravanti speciali, si applica per entrambi i delitti l'ergastolo. Per l'agevolazione colposa dei delitti in parola si applicano le pene che abbiamo indicato nell'illustrare la figura criminosa di cui all'articolo 256.

Spionaggio in senso stretto.[]

Allorchè il procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato viene commesso a scopo di spionaggio, si hanno i delitti di cui agli articoli 257 e 258. Il codice delinea due figure criminose: la prima riguara il procacciamento, per lo scopo indicato, di segreti di Stato ed è designata nella rubrica col nome giuridico di spionaggio politico o militare; la seconda concerne il procacciamento, sempre per quello scopo, di notizie riservate, ed è denominata spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione. Quest'ultima dovrebbe considerarsi implicitamente abrogata dalla Legge numero 124/2007.

Lo spionaggio può essere sia politico che militare, secondo l'indole della notizia a cui si riferisce. Non si esige che il soggetto abbia agito per mercede, nè che abbia avuto il proposito di portare la notizia a conoscenza di uno Stato straniero. Il delitto sussiste anche se il reo intendeva riferire la notizia ad un partito politico, ad avversari del Governo. Se, invece, il reo intendeva valersi del segreto a proprio profitto per mire personali, non crediamo che possa parlarsi di spionaggio, ma di semplice procacciamento.

L'elemento materiale dei due reati non differisce da quello del delitto precedentemente esaminato.

Per la consumazione non è necessario che lo scopo di spionaggio sia stato consentito, e cioè che le notizie segrete o riserve siano state palesate.

Il dolo è evidentemente specifico.

Il codice all'articolo 259 contempla l'agevolazione colposa, per la quale vale quanto è stato detto parlano del delitto precedentemente esaminato.

Sono previste due aggravanti speciali. La prima si ha quando il fatto è stato commesso nell'interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano; la seconda consiste nel fatto di avere compromesso la preparazione o l'efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

Le sanzioni sono la reclusione non inferiore a 15 anni per lo spionaggio politico o militare e non inferiore a 10 anni per lo spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione. Ricorrendo l'una o l'altra delle aggravanti speciali, si applica, per ambedue i delitti, l'ergastolo.

Per l'agevolazione colposa dei delitti in parola si applicano le pene che abbiamo indicato nell'illustrare la figura criminosa di cui all'articolo 256.

Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio.[]

Questa figura criminosa è destinata a prevenire e reprimere alcuni fatti che di regola vengono commessi a scopo di spionaggio, ma il più delle volte non potrebbero essere puniti come tentativo dei delitti ora esaminati:

I fatti contemplati dalla legge sono i seguenti:

  1. introdursi clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato;
  2. Essere colti in tali luoghi o zone, od in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 256, 257 e 258. Non è ritenuta necessaria la prova di uno scopo di spionaggio bastando il possesso dei mezzi in questione;
  3. essere colti in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell'articolo 256.

La consumazione del delitto, nel primo caso, avviene allorchè l'agente ha oltrepassato i limiti esteriori del luoghi in cui è vietato l'accesso; nelle altre due ipotesi, nel momento in cui egli è colto in flagrante. Poichè, per quasi unanime consenso della dottrina,  la sorpresa in flagranza è condizione oggettiva di punibilità, in queste due ipotesi non è concepibile il tentativo.

Nell'introduzione clandestina o fraudolenta il dolo consiste nella volontà di entrare nelle località indicate con la coscienza di agire senza autorizzazione e sapendo che l'ingresso è vietato nell'interesse militare dello Stato.

Nell'ipotesi contempata nel numero 2 il dolo esige la volontà di portarsi in luoghi in cui è vietato l'accesso od in loro prossimità, sapendo che l'ingresso è proibito e con la consapevolezza di detenere senza motivo mezzi idonei allo spionaggio. Nell'ipotesi prevista nel numero 3 per il dolo è sufficiente la volontà di detenere gli oggetti con la consapevolezza dello loro attitudine.

Qualora nel caso concreto possa ravvisarsi, in una delle ipotesi che rientrano nella previsione dell'articolo 260, una direzione univoca allo scopo di procacciarsi segreti di Stato o notizie riservate, ricorrono gli estremi di uno dei delitti previsti negli articoli 256, 257 e 258 ed il reato minore resterà assorbimento nel maggiore.

Il delitto è aggravato se è commesso in tempo di guerra.

La sanzione è la reclusione da 1 a 5 anni nella forma semplice e da 3 a 10 anni nella forma aggravata.

Rivelazioni di notizie concretanti la sicurezza dello Stato.[]

Come per lo spionaggio vero e proprio il codice spezzetta questa incriminazione in due figure di reati che differiscono solo in quanto la prima riguarda i segreti di Stato, mentre la seconda concerne le notizie di cui è stata vietata la divulgazione: per questa seconda figura di reato valgono i dubbi innanzi espressi nella sua attuale permanenza nel sistema dopo l'approvazione della Legge numero 124/2007.

Il fatto materiale in ambedue le ipotesi consiste nel rivelare le notizie anzidette. La rilevazione deve essere illegittima, e cioè non autorizzata dalle Autorità competenti. Il divieto della divulgazione sussiste anche per chi sia venuto in possesso delle notizie senza avere esplicato un'attività diretta a questo scopo ed anche rispetto a colui che le abbia apprese per semplice caso fortuito.

La persona che ottiene la notizia è punita al pari di chi la rivela. Si tenga però presente che ottenere la notizia, non equivale a riceverla: l'espressione implica un'attività del terza diretta allo scopo.

La consumazione si ha nel momento in cui la notizia è portata a cognizione di persone non autorizzate a prenderne coscienza.

Il dolo consiste nella volontà di rivelare la notizia, sapendo, nel reato di cui all'articolo 261, che essa costituisce segreto di Stato, e, nel reato di cui all'articolo successivo, sapendo che si tratta di notizia non divulgabile.

Gli articoli 261 e 262, ciascuno all'ultimo comma, prevedono per questi delitti l'ipotesi colposa, la quale si ha quando la rivelazione non avviene intenzionalmente, ma per semplice imprudenza o negligenza. Siccome il dolo nei reati in esame esige la conoscenza della segretezza della notizia, la responsabilità a titolo di colpa si ha anche nel caso di errore inescusabile su tale carattere della notizia.

Due circostanze aggravanti speciali il codice contempla, per questi delitti: la prima si ha quando il fatto è commesso in tempo di guerra, ovvero ha compromesso la preparazione o l'efficacia bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari; la seconda allorchè il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare.

Le sanzioni sono per la rivelazione dolosa di segreti di Stato la reclusione non inferiore a 5 anni. Ove ricorra la prima aggravante la reclusione non può essere inferiore a 10 anni; ove ricorra la seconda si applica in ogni caso l'ergastolo.

Per la rivelazione dolosa di notizie riservate, qualora si ritenga ancora in vigore la norma, la reclusione non può essere inferiore a 3 anni ed a 10 anni se ricorre la prima aggravante. Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio, nel caso di rivelazione semplice si applica la reclusione non inferiore a 15 anni, mentre si applica l'ergastolo se ricorre anche la prima aggravante.

Nella rivelazione colposa, tanto che si tratta di segreti di Stato quanto se si tratta di notizie riservate, la pena è la reclusione da 6 mesi a 2 anni, reclusione che va da 3 a 15 anni nel caso dell'aggravante nel tempo di guerra o della compromissione di interessi militri.

Introduzione abusiva in luoghi militari vietati.[]

Allo scopo di prevenire i delitti di spionaggio, il codice all'articolo 682 contempla come contravvenzione il fatto di

chiunque si introdce in luoghi, nei quali l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato.

Come è detto espressamente nella norma incriminatrice, questo titolo contravvenzionale è applicabile solo quando il fatto non costituisca un più grave reato, e cioè il delitto di cui all'articolo 260 o quello previsto nell'articolo 90 del codice penale militare di pace.

Il divieto di accesso deve risultare da una legge speciale o da un provvedimento dell'Autorità competente. E naturalmente deve trattarsi di provvedimento legittimo.

Trattandosi di contravvenzione, per la responsabilità basta la semplice colpa, sia in ordine al fatto materiale, sia in ordine alla natura dei luoghi ed all'esistenza del divieto.

La sanzione è l'arresto da 3 mesi ad 1 anno ovvero l'ammenda da 51 a 309 euro.

Utilizzazione dei segreti di Stato.[]

Per l'articolo 263 viene punito

il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che impiega a proprio od altrui profitto invenzioni o scoperte scientifiche o nuove applicazioni industriali che egli conosca per cagione del suo ufficio o servizio, e che debbano rimanere segrete nell'interesse della sicurezza dello Stato.

Questo delitto non è che forma specifica del reato previsto nell'articolo 325 del codice. Se ne distingue solo in quanto le invenzioni utilizzate devono riguardare l'interesse della sicurezza dello Stato, e cioè la preparazione o l'efficienza bellica o le operazioni militari dello Stato. Poichè l'articolo 263 non fa menzione dell'interesse politico, interno od internazionale dello Stato, l'utilizzazione di invenzioni, che riguardino tale interesse rientra nella norma generica.

Il reato si consuma nel momento in cui avviene l'utilizzazione. Non si esige che il profitto sperato sia stato conseguito, ma, se il soggetto non riesce ad utilizzare in alcun modo il segreto, potrà ricorrere un semplice tentativo.

Per l'esistenza del dolo, oltre alla volontà di impiegare a profitto proprio od altrui l'invenzione, scoperta, occorre la conoscenza che essa doveva rimanere segreta. Il soggetto deve altresì sapere che la segretezza era imposta dall'interesse della sicurezza statale.

Il delitto è aggravato se il fatto è commesso nell'interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano, come pure se in conseguenza di esso è stata compromessa la preparazione, o l'efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

Le sanzioni sono la reclusione non inferiore a 5 anni e la multa non inferiore a 1032 euro. Ricorrendo l'una o l'altra od ambedue le circostanze aggravanti speciali, si applica l'ergastolo.

Infedeltà in affari dello Stato.[]

Nell'articolo 264 si contempla il caso di colui che

incaricato dal Governo italiano di trattare all'estero affari di Stato, si rende infedele al mandato, se dal fatto possa derivare nocumento all'interesse nazionale.

Per affare di Stato deve intendersi un affare d'interesse pubblico che dà origine ad un negozio di carattere internazionale. Non rientrano nella previsione dell'articolo 264 gli affari, sia pure della massima importanza, che vengono trattati nel territorio italiano con rappresentanti di Stati esteri. In tal caso l'infedeltà non potrà punirsi che in base alle norme che contemplano i delitti contro la pubblica amministrazione.

L'incriminazione ha lo scopo di assicurare l'adempimento del particolare dovere di fedeltà che incombe delle persone che, per aver assunto l'incarico anzidetto, possono essere causa di gravi danni se non lo espletano con la massima scrupolosità.

Sul concetto di infedeltà la dottrina si è a lungo soffermata evidenziando, rispetto al mandato che ne identifica i contenuti, sia il profilo della non conformità del comportamento alle istruzioni e direttive ricevute, sia quello desumibile dai particolari scopi che hanno in concreto determinato l'agente.

L'infedeltà è rilevante solo se possa derivarne un pericolo per l'interesse nazionale. Quest'ultimo requisito è elemento essenziale del reato.

Il reato può essere commesso da chiunque, cittadino o straniero, sempre che abbia avuto dal Governo italiano l'incaricato di trattare all'estero affari di Stato, assumendo per tal modo la veste di mandatario.

L'elemento oggettivo consiste nel rendersi infedele al mandato, e cioè nel comportarsi in modo, in tutto od in parte, contrario alle direttive ricevute. La semplice infedeltà non basta: è necessario che dal fatto possa derivare nocumento agli interessi nazionali.

Il delitto si consuma nel momento in cui ha luogo l'inadempimento del mandato.

Per l'esistenza del dolo si richiede la volontà di non adempiere il mandato, e cioè la volontà di compiere una determinata azione od omissione con la consapevolezza che essa è contraria agli obblighi assunti. è necessario che il soggetto sappia che dal suo fatto può derivare un nocumento agli interessi nazionali, perchè tale possibilità, contrariamente all'avviso di alcuni autori, non è condizione di punibilità, ma costituisce elemento essenziale del reato. Il dolo sussiste anche se il soggetto, da un punto di vista politico diverso, ritiene che il suo comportamento corrisponda dell'interesse del Paese: basta che egli sappia che la possibilità del nocumento sussiste a giudizio delle persone che gli hanno affidato l'incarico.

La sanzione prevista è la reclusione non inferiore a 5 anni.

Disfattismo.[]

Si tratta di due reati che possono essere commessi soltanto in tempo di guerra.

Disfattismo politico.[]

Il reato consiste nel fatto di colui che

in tempo di guerra, diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possano detestare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico od altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico, o svolge comunque attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali.

Le voci o notizie false o tendenziose non deono riferirsi necessariamente alle operazioni militari; possono anche riguardare altri rilevanti interessi politici dello Stato.

Mentre pubblico allarme è ogni intesa emozionale o preoccupazione che invada la coscienza nazionale, depressione dello spirito pubblico significa scoraggiamento, abbattimento, sconforto tali da poter diminuire la resistenza del Paese nella guerra in corso.

Nell'ipotesi dell'attività tale da recare nocumento agli interessi della nazione rientrano i pronostici allarmanti, le ipotesi catastrofiche. La formula è tanto ampia che potrebbe ritenersi leso il principio di determinatezza.

Il reato si consuma col semplice fatto della diffusione e comunicazione delle voci o notizie anzidette, o con la realizzazione di atti pregiudizievoli per gli interessi nazionali.

Il dolo, oltre alla coscienza della falsità o tendenziosità delle voci, notizie o comportamenti, richiede la consapevolezza della possibilità che essi destino allarme, o deprimano lo spirito pubblico.

Il codice prevede tre aggravanti speciali, le quali ricorrono: quando il fatto è commesso con propaganda o comunicazioni dirette a militari; quando il colpevole ha agito in seguito ad intelligenze con lo straniero; quando il colpevole ha agito in seguito ad intelligenze col nemico.

Le sanzioni sono per il delitto semplice la reclusione non inferiore a 5 anni. Ricorrendo una delle prime due aggravanti la reclusione non può essere inferiore a 15 anni, mentre se ricorre la terza si applica l'ergastolo. Per la procedibilità è richiesta l'autorizzazione del Ministro della Giustizia.

Disfattismo economico.[]

Viene incriminato

chiunque, in tempo di guerra, adopera mezzi diretti a deprimere il corso dei cambi, od ad influire sul mercato dei titoli o dei valori, pubblici o privati, in modo da esporre a pericolo la resistenza della nazione di fronte al nemico.

Questo tipo di reato non è che una forma specifica del delitto di aggiotaggio, dal quale differisce perchè preusppone che il fatto sia commesso in tempo di guerra.

Per l'esistenza del dolo occorre che l'agente si renda conto di tale possibilità.

Il delitto è aggravato: se il colpevole ha agito in seguito ad intelligenze con lo straniero; se il colpevole ha agito in seguito ad intelligenze col nemico.

Le sanzioni sono la reclusione non inferiore a 5 anni, nonchè la multa non inferiore a 3098 euro. Ove ricorre la prima aggravante, la reclusione non può essere inferiore a 10 anni e non può essere inferiore a 15 anni, ricorrendo la seconda. Anche per procedere contro questo delitto occorre l'autorizzazione del Ministro della Giustizia.

Istigazione di militari a disobbedire alle leggi.[]

Per l'articolo 266 risponde di questo delitto

chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi od a violare il giuramento dato od i doveri della disciplina militare od altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l'apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina od ad altri doveri militari.

Scopo dell'incriminazione è di prevenire e reprimere un fatto che

insidia la compagine dell'esercito e quindi, attentando alla potenzialità militare della Nazione, cerca di colpirla nella sua parte più vitale, che è costituita dalla sua sicurezza esterna ed interna.

Questo delitto presenta molta affinità coi delitti previsti nell'articolo 415 e nell'ultimo comma dell'articolo 414.

Il confine tra la condotta incriminata ed il diritto di svolgere critica politica e di manifestare le proprie ideologie non è sempre agevole e ha creato problemi alla giurisprudenza ed alla dottrina. Quest'ultima ha elevato sospetti sulla legittimità costituzionale della norma in esame sotto i profili della libertà di pensiero e dei principi di eguaglianza e tassatività. La Corte costituzionale ne ha escluso l'illegittimità sottolineando il suprevo valore della difesa della Patria; ma ha riconosciuto un'ampia sfera di critica consentita.

Militari sono tutti coloro che, in attività di servizio od in congedo illimitato, sono arruolati nelle forze armate dello Stato, e cioè gli appartenenti all'Esercito, alla Marina, all'Aeronautica, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza, come pure coloro ai quali la legge attribuisce altrimenti la qualità di militari, i militarizzati, gli assimilati ai militari e gli appartenenti ai corpi civili militarmente ordinati se sono inquadrati nelle predette forze armate e muniti dei distintivi prescritti.

Le leggi alle quali il militare può essere istigato a disobbedire non sono solo le leggi militari e quelle di ordine pubblico, ma ogni legge dello Stato. è indifferente che il fatto sia diretto ad uno o più militari.

Il delitto è aggravato in due casi: se il fatto è commesso pubblicamente, vale a dire se è commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda, oppure in luogo pubblico od aperto al pubblico ed in presenza di più persone, od ancora, infine, se è commesso in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata; se il fatto è commesso in tempo di guerra.

Le sanzioni sono per il reato semplice la reclusione da 1 a 3 anni e per il reato aggravato per la circostanza di cui al numero 1 con la reclusione da 2 a 5 anni. Le suddette pene sono aumentate allorchè il fatto è commesso in tempo di guerra. Con una discussa sentenza additiva la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo in esame nellate in cui non prevede che per l'istigazione di militari a commettere un reato militare la pena sia sempre applicata in misura inferiore alla metà della pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione.

Associazione sovversiva.[]

L'articolo 270, nella formulazione originaria prevista dal codice Rocco prevedeva:

Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico o giuridico della società.

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.

Dalla formulazione della fattispecie, nonchè dai lavoratori preparatori del codice emergeva chiaramente che la norma era rivolta a colpire gli oppositori del fascismo, in particolare le associazioni comuniste, socialiste ed anarchiche. Dopo la caduta del regime, si discusse se la fattispecie in esame dovesse essere considerata abrogata per effetto della Legge 27 luglio 1944 numero 159, in forza della quale dovevano considerarsi abrogate tutte le norme poste a tutela delle istituzioni fasciste; prevalse in giurisprudenza l'orientamento favorevole a riconvertire il reato associativo in strumento di tutela della personalità dello Stato nelle sue esigenze fondamentali. La fattispecie era destinata a colpire quelle associazioni aventi come programma la diffusione delle ideologie rivoluzionarie che teorizzano il ricorso alla violenza; un'associazione dunque che si proponeva quella propaganda sovversiva che l'articolo 272 del codice penale vietava ai singoli.

Facendo leva sulla presenza dell'avverbio violentemente, è stata riconosciuta l'illiceità penale solo di quelle associazioni che si propongono un concreto programma di violenza per l'attuazione di finalità eversive dell'ordinamento, indipendentemente dal colore politico del programma. Questa lettura della norma, facendo venir meno lo specifico riferimento a diffusione dell'ideologia rivoluzionaria violenta, che in quanto tale gode delle garanzie costituzionali, non sollevava più dubbi di legittimità costituzionale, poichè non è consentito il ricorso alla violenza per il perseguimento di qualsivoglia finalità politica.

I problemi posti dalla presenza di una fattispecie scomoda si sono aggravati con l'approvazione della Legge numero 15 del 1980 che, senza abrogate l'articolo 270, ha introdotto nel codice penale l'articolo 270 bis, il cui ambito di applicazione copre gli stessi fatti già sanzionati attraverso l'interpretazione costituzionalmente orientata dall'associazione sovversiva.

Considerato che le esigenze di tutela erano già adeguatamente soddisfatte dall'articolo 270 bis, recuperare uno spazio applicativo all'articolo 270 significava riproporre quell'interpretazione di mera diffusione dell'ideologia politica violenta, che solleva innegabili dubbi di legittimità costituzionale.

Soggetto attivo può essere chiunque: si trattava quindi di un reato comune.

Sono previste diverse condotte, punite più gravemente quelle di promozione, costituzione, organizzazione e direzione, con una pena più basse quelle di semplice partecipazione. Su tali nozioni rinviamo a quanto abbiamo scritto a proposito delle analoghe condotte descritte nell'articolo 416 del codice penale. è necessario che il fatto sia commesso nel territorio dello Stato.

Elemento centrale della fattispecie è l'associazione, per la cui esistenza non basta un mero accordo, ma è necessaria un'organizzazione di mezzi ed uomini con caratteri di stabilità.

I dubbi in ordine all'idoneità dell'organizzazione al raggiungimento degli scopi sono stati risolti dalla Legge numero 85/2006, che ha espressamente inserito tale elemento all'interno della fattispecie, facendo così proprio l'orientamento interpretativo che, in omaggio al principio di offensività, richiede in tutti i reati associativi l'idoneità dell'organizzazione rispetto al perseguimento delle finalità. Nella valutazione dell'idoneità dell'associazione si deve tener conto dei mezzi, dei collegamenti, delle disponibilità finanziarie, del numero degli associati.

Il programma dell'associazione sovversiva si connota in relazione alle modalità di attuazione ed agli scopi.

Quanto alle modalità di attuazione del programma è rimasto immutato il riferimento alla violenza. Anche rispetto alla nuova formulazione della fattispecie si pone il problema del ruolo della violenza all'interno dell'associazione. L'unica interpretazione costituzionalmente conforme della norma è quella che fa della violenza non il mero elemento di un'ideologia sovversiva propugnata dall'associazione, ma lo strumento di attuazione del programma politico.

La riforma ha eliminato i riferimenti che più connotavano politicamente il programma dell'associazione, ossia il fine di stabilire la dittatura di una classe sociale sulle altre o di sopprimerne una. L'attuale formulazione prevede un fine duplice: sovvertire gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato o sopprimere l'ordinamento politico e giuridico dello Stato. Si tratta dello sconvolgimento o della soppressione dei principi fondamentali, di ordine economico, sociale, politico o giuridico, che sono alla base dell'ordinamento costituzionale: le finalità sovversive descritte dall'articolo 270 non sembrano quindi differire da quelle di eversione dell'ordine democratico di cui all'articolo 270 bis, da interpretare, nel senso di eversione dell'ordine costituzionale.

Costituisce circostanza aggravante il fatto di ricostituire, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni delle quali sia stato ordinato lo scioglimento. La riproposizione nel nuovo articolo 270 di questo comma è sintomo di quella sciatteria alla quael il legislatore ci ha da tempo abituati. La disposizione si giustificava in base all'articolo 210 TULPS, che prevedeva il potere di scioglimento delle associazioni da parte dell'autorità amministrativa; considerato tuttavia che tale norma è stata da tempo dichiarata incostituzionale, tale aggravante non può ovviamente operare. Inutile, pertanto, la sua permanenza.

Appare particolarmente articolato il rapporto con gli altri reati associativi. La giurisprudenza riconosce il concorso sia con la banda armata, che con la cospirazione politica mediante associazioni. Più complesso è il rapporto con l'articolo 270 bis, specie a seguito delle riforme intervenute su entrambe le fattispecie.

Le sanzioni sono la reclusione da 5 a 10 anni per la promozione, costituzione, organizzazione e direzione dell'associazione; la reclusione da 1 a 3 anni per la partecipazione.

I delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico.[]

Sul finire degli anni '70 il legislatore si trovò a dover affrontare il fenomeno del terrorismo. Sebbene nel codice Rocco non mancassero le norme necessarie alla nuova emergenza, specie con riferimento al ricco apparato dei reati associativi, non di meno il legislatore è intervenuto con un complesso apparato di norme che sono andate ad incrementare il titolo I del libro II della parte speciale. Le nuove fattispecie incriminatrici sono tutte connotate dalla finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, a cominciare dall'articolo 289 bis, introdotto dalla Legge 18 maggio 1978 numero 191 di conversione, con modifiche, del Decreto Legge 21 marzo 1978 numero 59, poi seguito dalla Legge 6 febbraio 1980 numero 15, di conversione del Decreto Legge 15 dicembre 1979 numero 625, che ha introdotto la circostanza aggravante comune della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, nonchè un nuovo delitto di attentato, anch'esso per finalità terroristiche o di eversione e di associazione, finalizzata al compimento di atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico. All'inasprimento del trattamento sanzionatorio ha fatto da contrappunto una serie di norme a contenuto premiale, che agli autori dei reati soggettivamente connotati come indicato ha offerto, in casi di collaborazione con l'autorità giudiziaria e di dissociazione dal terrorismo, riduzioni di pena o cause di non punibilità.

Non tutte le fattispecie penali in materia di terrorismo sono collocate nel capo dedicato ai delitti contro la personalità internazionale dello Stato, in quanto i delitti contro la personalità interna. è questo un segno evidente dei limiti della funzione classificatoria della distinzione fra personalità internazionale ed interna dello Stato.

Innanzitutto questa particolare finalità opera all'interno del sistema sia come elemento costitutivo di alcune fattispecie, sia come circostanza aggravante. L'articolo 1 della Legge 6 febbraio 1980 numero 15 contempla l'aumento della pena di una metà per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico punibili con pena diversa dall'ergastolo, sempre che tale finalità non costituisca elemento costitutivo della fattispecie. Si tratta di una circostanza riferibile a tutti i reati, ma in particolare per la sua natura a quelli contro la personalità dello Stato. In ossequio al disposto del comma 3 del medesimo articolo ed in deroga ai principi dell'articolo 69 del codice penale, le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con la suddetta aggravante, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa ed alle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o ne determina la misura in modo indipendente da quella ordinaria del reato e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti. L'attuale formulazione del comma 3 è quella risultante dal testo dell'articolo 4 comma 2 della Legge 14 febbraio 2003 numero 34; quella originaria sembra invece escludere, in presenza della circostanza aggravante della finalità di terrorismo o di eversione, qualsiasi considerazione delle circostanze attenuanti, il che avrebbe creato un regime irragionevolmente speciale per i reati di stampo terroristico. La Corte costituzionale nella sentenza 13 febbraio 1985 numero 38, aveva tuttavia dichiarato infondata una questione di legittimità di tale comma, fornendone l'interpretazione corretta, secondo la quale la norma consentiva comunque, nel caso in cui il giudice non ritenesse prevalente l'aggravante della finalità di terrorismo o di eversione, di apportare le diminuzioni di pena per le circostanze attenuanti dopo l'applicazione degli aumenti per le circostanze aggravanti. La nuova formulazione non fa che esplicitare il contenuto della pronuncia, prevedendo tuttavia, in presenza dell'attenuante della minore età o della minima partecipazione, il ritorno della disciplina dell'articolo 69 del codice penale.

Le Leggi numero 191/1978 e numero 15/1980, che avevano introdotto nell'ordinamento la finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, non definivano nè l'una nè l'altra.

Lo scopo di eversione si identifica con lo sconvolgimento dell'ordine costituzionale, attuato con il portare marasma nelle strutture sociali nell'intento di scardinarle. L'inciso ordine democratico ha appunto riguardo non ai contenuti di questa o quell'ideologia politica, ma alla dialettica democratica che trova il suo riferimento nei principi della Costituzione. Questa interpretazione è stata recepita dall'interpretazione autentica offerta dall'articolo 11 della Legge 29 maggio 1982 numero 304, il quale ha stabilito che all'espressione eversione dell'ordine democratico corrisponde per ogni effetto giuridico quella di eversione dell'ordine costituzionale, da intendere limitatamente all'ordinamento italiano. La finalità eversiva non sembra, quindi, riferibile a Stati esteri.

Mancava una definizione giuridica di terrorismo e gli interpreti dovevano fare ricorso agli incerti criteri elaborati dalla politologia e dalla sociologia, ravvisando in particolare il terrorismo in quegli atti, con i quali le vittime sono colpite per il solo fatto di essere membri della società e senza avere alcun rapporto personale col terrorista. Atti che hanno spiccata attitudine a generare angoscia e timori diffusi. Non sembra azzardato l'asserire che se oggi il terrorista è animato da finalità il maggior successo della sua azione è ravvisabile nell'atmosfera di paura generalizzata, capace di dilatarsi a macchia d'olio, che egli riesce a provocare.

L'orientamento prevalente in giurisprudenza distingueva finalità terroristica da finalità eversiva: il fatto che il terrorismo negli anni '70 avesse storicamente espresso una progettualità politica eversiva, non significa che debba essere sempre connotato in tal senso qualsiasi fatto di terrorismo; allo stesso modo il fine eversivo non richiede necessariamente il ricorso ad atti di terrorismo. Ma è stato soprattutto con gli sviluppi della nuova dimensione internazionale del terrorismo che si sono accresciute le difficoltà di definire un fenomeno complesso per le incriminazioni politiche.

Alla definizione di terrorismo ha poco contribuito anche la Legge numero 431 del 2001. Ha apportato certo un chiarimento in ordine al fatto che finalità di terrorismo e di eversione sono concetti distinti, richiamando espressamente nel testo dell'articolo 270 bis. Ha inoltre inserito all'interno di questo articolo un comma 3, che contempla una definizione generale valida anche ai fini della legge penale:

la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro lo Stato estero, un'istituzione od un organismo internazionale.

Il comma, nato della necessità di adeguare il sistema alla mutata fenomenologia del terrorismo internazionale, estende l'ambito di rilevanza della direzione offensia al di là della dimensione per così dire interna al nostro ordinamento, includendo anche gli atti di violenza diretti contro uno Stato estero, un'istituzione od un organismo internazionale. Questa estensione dell'ambito di tutela riguarda esclusivamente la finalità terroristica, non quella eversiva, che è mantenuta distinta: alla luce della riforma del 2001, dunque, le condotte finalizzate all'eversione di Stati esteri rimangono estranee all'ambito di tutela della disciplina penale italiana.

Al di là di questa estensione dei possibili obiettivi degli atti terroristici, la nozione di terrorismo non trova nella legge chiari riferimenti ed è proprio lo sviluppo del terrorismo internazionale a palesare le difficoltà di inquadramento giuridico di alcuni episodi di violenza commessi nell'ambito dei conflitti armati, dove non è agevole distinguere gli atti di terrorismo dai legittimi atti di guerriglia, specie quando tali atti di violenza sono realizzati a mezzo di strumenti non convenzionali come gli attacchi kamikaze. L'incertezza sui requisiti della nozione di terrorismo si è tradotta in pronunce giurisprudenziali contrastanti che hanno riconosciuto a tali atti ora la legittimità degli atti di guerriglia contro il nemico invasore ora carattere di illiceità penale.

La Convenzione di New York del 1999 contro il finanziamento del terrorismo identificava indirettamente una serie di atti come terroristici: oltre a tutti quelli che costituiscono oggetto di una serie di convenzioni internazionali, specificamente indicate nell'allegato della convenzione, viene considerato terroristico

qualsiasi altro atto destinato a cagionare la morte o lesioni personali gravi ad un civile od a qualsiasi altra persona che non partecipi direttamente alle ostilità nel corso di un conflitto armato, quando lo scopo di tale atto, per sua natura o per il contesto, sia di intimidire la popolazione o di costringere un governo od un'orgaizzazione internazionale a compiere od omettere un atto.

Considerato che tale convenzione è stata ratificata dall'Italia e resa esecutiva con Legge 14 gennaio 2003 numero 7, la definizione in essa contenuta deve considerarsi a tutti gli effetti efficace ed utilizzabile dal giudice per interpretare le norme interne.

Il legislatore è intervenuto con la Legge 31 luglio 2005 numero 155, di conversione del Decreto Legge 27 luglio 2005 numero 144 a definire nell'articolo 270 sexies le condotte di finalità di terrorismo:

sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese od ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici od un'organizzazione internazionale a compiere od astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzazione o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonchè le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni od altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia.

L'articolo dà una definizione generale, che connota la condotta terroristica in relazione al profilo oggettivo ed alla direzione soggettiva del fatto.

Oggettivamente si richiede una condotta che sia idonea, per la natura degli oggetti realizzati o per il contesta in cui sono tenuti, a causare un grave danno ad un Paese od ad un'organizzazione internazionale: non è necessario che il danno si sia effetticamente prodotto, ma è sufficiente una situazione di pericolo.

Soggettivamente le condotte terroristiche si qualificano per una triplice finalità: intimidire la popolazione, costringere i poteri pubblici od un'organizzazione internazionale a compiere od astenersi dal compiere un qualsiasi atto, destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale.

Il legislatore si è sostanzialmente limitato a riprodurre la definizione contenuta nella decisione quadro innanzi citata, se non fosse per un più ampio riferimento al pericolo di un grave danno, che parte della dottrina non ha mancato di criticare per l'eccessiva genericità, a fronte dell'indicazione più puntuale dei fatti rilevanti nella disciplina di fronte comunitaria.

La seconda parte della definizione viene lasciata in bianco e consente l'automatico adeguamento del nostro ordinamento alle possibili definizioni elaborate in convenzioni internazionali od in altre norme internazionali vincolanti per l'Italia: appare evidente l'intento del legislatore di apprestare una disciplina duttile, capace di adattarsi alle mutevoli forme di aggressione in cui il terrorismo è in grado di manifestarsi, come ha evidenziato il suo sviluppo in questi ultimi anni. Il riferimento alle fonti convenzionali consente di ribadire l'efficacia della nozione contenuta nella Convenzione di New York del 1999, la quale potrà in particolare essere utilizzata per dirimere i legittimi atti di guerra dalle condotte terroristiche, quando si tratta di offese alla vita ed all'incolumità fisica compiute in occasione di conflitti armati, dove diventa decisivo accertare la direzione della condotta lesiva: la qualifica di terroristici va esclusa solo agli atti rivolti esclusivamente nei confronti delle forze impegnate nel conflitto armato; se invece l'azione è riolta contro civili o contro chi non prende parte attiva al conflitto, o qualora il coinvolgimento di soggetti terzi si presenti come inevitabile, in presenza delle indicate finalità soggettive, la qualifica si configura come teroristica.

Dottrina e giurisprudenza tendono ad integrare la definizione di terrorismo con un elemento non presente nè nei testi sovranazionali, nè nell'articolo 270 sexies, ossia un movente di natura politica, ideologica o religiosa: in effetti tale elemento potrebbe essere desunto dalla nozione consuetudinaria di terrorismo, che considera tale non qualsiasi violenza, per quanto efferata e distruttiva possa essere, ma solo quella ideologicamente motivata.

La definizione di terrorismo contenuta nell'articolo270 sexies del codice penale ne amplia il contenuto. Se l'interpretazione prevalente aveva tenuto distinta la finalità di terrorismo da quella di eversione, soluzione confermata dalla riforma del 2001 che nell'articolo 270 bis aveva espressamente distinto le due finalità, la riforma del 2005 si muove in direzione opposta: include la finalità eversiva in quella terroristica, che ora risulta essere comprensiva della destabilizzazione o distruzione delle scritture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale. La scelta del legislatore produce un rilevante effetto estensivo della nozione di terrorismo: la nozione di eversione, che era in origine riferibile solo all'ordinamento costituzionale italiano, dal 2005 può interessare anche un altro Paese od un'organizzazione internazionale. L'ampliamento della norma definitoria produce un effetto mediato sulle norme incriminatrici, nelle quali tale elemento è presente, con ciò che ne consegue in relazione all'applicazione dell'articolo 2 del codice penale.

C'è da chiedersi se la nuova definizione delle condotte a finalità di terrorismo sia ancora compatibile con il titolo dei delitti contro la personalità dello Stato, in cui sono comprese le fattispecie che la contengono: la dimensione del terrorismo, infatti, attinge sfere di interessi che vanno al di là degli interessi politici dello Stato.

Con riferimento ai reati aggravati dalla finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale sono preiste particolari disposizioni premiali in presenza di diverse forme di dissociazione e collaborazione.

è prevista una particolare attenuante nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adoperi per evitare conseguenze ulteriori dell'attività delittuosa od aiuti in modo concreto la polizia o la magistratura a raccogliere prove determinanti per l'individuazione e la cattura dei responsabili. L'attenuante, se concessa, esclude l'applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 1.

Ai delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione si applica anche una particolare disciplina nel caso di ravvedimento del colpevole. Se questi non solo impedisce volontariamente l'evento, ma fornisce elementi di prova determinanti per l'esatta ricostruzione del fatto e per l'individuazione degli eventuali concorrenti, il suo operoso pentimento, al di là dei benefici dell'articolo 56 ultimo comma del codice penale, lo rende non punibile.

La pena è assai ridotta per chi, in qualsiasi stato o grado del processo, renda piena confessione ed aiuti la polizia e la magistratura nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura degli autori ovvero fornisce comunque elementi di prova rilevanti per l'esatta ricostruzione del fatto e la scoperta degli autori ed è prevista la non punibilità per i reati di cui agli articoli 270, 270 bis, 204, 305 e 306 del codice penale e per quelli ad essi connessi concernenti armi, munizioni ed esplosivi e di favoreggiamento, nei confronti di coloro che, non avendo concorso alla commissione dei reati per cui l'associazione o la banda si è costituita, prima della sentenza definitiva di condanna  determinano lo scioglimento di queste ultime, si ritirano da esse e forniscono ogni notizia sulla loro struttura ed organizzazione o, infine, impediscono l'esecuzione di reati. Con la legge 18 febbraio 1987 numero 34 si andò più in là e si richiese, per ottenere i benefici, la semplice dissociazione, intesa come definitivo abbandono delle organizzazioni terroristiche ed eversive. espresso con l'ammettere le attività svolte, col tenere condotte incompatibili col permanere del vincolo e col ripudio della violenza come metodo di lotta politica. La disciplina di favore si applicò però, soltanto, ai reati commessi entro il 31 dicembre 1983, sempre che gli atti di resipiscenza fossero stati posti in essere entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge.

A completare la strategia di contrasto al terrorismo, intervengono misure di prevenzione e misure amministrative, che incidono soprattutto sui beni patrimoniali.

Con la Legge numero 438 del 2001 è stato escluso il tradizionale apparato di misure di prevenzione personali e patrimoniali, già utilizzato nei confronti dei sospettati di gravi reati di natura politica, a coloro che, operanti in gruppi od isolatamente, pongono in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale.

Il contrasto ai flussi di finanziamento del terrorismo, senza i quali le organizzazioni non possono operare, è stato affidato ad un sistema di congelamento delle risorse finanziarie di persone od organizzazioni sospettate di terrorismo ed inserite in apposite liste predisposte dall'Onu e recepite dall'Unione europea, che vi dà attuazione attraverso regolamenti: tale inclusione determina il congelamento dei fondi e delle risorse economiche di tali soggetti. Si tratta di misure amministrative a contenuto patrimoniale, che non hanno incidenza sul piano penale e che, considerata l'assoluta discrezionalità della decisione di includere un soggetto nella lista, sollevano indubbi problemi di rispetto delle garanzie. Questa articolata procedura di blocco delle risorse finanziarie è stata disciplinata dal Decreto legislativo 22 giugno 2007 numero 109: spetta al Ministero dell'economia e delle finanze, su proposta del Comitato di sicurezza finanziaria, disporre con decreto il congelamento dei fondi e delle risorse economiche dei soggetti inseriti nelle liste; si impongono a carico dei soggetti operanti all'interno dei circuiti finanziari obblighi di comunicazione dei provvedimenti di blocco disposti; sanzioni amministrative intervengono in caso di trasgressione ai divieti derivanti dal decreto di congelamento ed in caso di mancata tutela giurisdizione dinnanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio avverso i provvedimenti adottati ai sensi del decreto legislativo.

Per i delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, previsti dal codice penale e dalle leggi speciali, la Legge 14 gennaio 2003 numero 7 ha esteso la responsabilità amministrativa degli enti, con applicazioni di sanzioni pecuniarie ed interdittive.

Nel dibattito internazionale sui limiti di legittimità degli strumenti di contrasto al terrorismo è stata profilata da Jakobs la legittimazione di una drastica riduzione delle garanzie in nome della tutela della collettività e della sicurezza: il ragionamento seguito dall'autorevole penalistica tedesco si fonda sul principio che solo chi mostra fedeltà all'ordinamento può essere trattato come cittadino ed essere destinatario delle relative garanzie; chi, invece, per la sua pericolosità tradisce la fiducia dei consociati in aspettative di comportamenti conformi alle norme, si autoesclude dalla comunità e perde il diritto alle garanzie:

chiunque presti in qualche modo fedeltà alla norma ha diritto ad essere trattato come persona e chi non dà questa garanzia è destinato ad essere eterodiretto, il che vuol dire che non viene trattato come persona.

Il terrorista diventa pertanto un nemico e ciò giustifica una disciplina penale speciale, un diritto penale del nemico che si contrappone ad un diritto penale del cittadino, che deve continuare a mantenere le garanzie tradizionali. Le riflessioni di Jakobs non hanno mancato di suscitare una vivace discussione non solo in Germania, ma anche a livello internazionale con dure critiche da parte della dottrina.

L'idea di un diritto penale speciale per il terrorismo non costituisce una novità: la storia del diritto penale politico mostra quanto radicata sia l'idea che una lotta efficace contro fenomeni terroristico-eversivi richieda un apparato normativo con regole che derogano ai normali standards di garanzia adottati contro altri fenomeni criminali: sarebbe d'altra parte illusorio pensare di adottare sempre ed in ogni caso le medesime strategie a fronte della complessità e varietà dei fatti.

è l'idea stessa di un diritto penale del nemico ad apparire contraddittoria, in quanto nega gli stessi postulati su cui si fonda la responsabilità penale: non è dunque diritto penale, è altro, appartiene alla logica della guerra, il cui scopo è l'annientamento dell'avversario e non l'accertamento della responsabilità penale, che è e deve rimanere individuale ed ancorata a singoli fatti. L'idea di un diritto penale del nemico finisce per avere un contenuto emozionale, che evoca esigenze massime di sicurezza ed in nome della sicurezza rischia di giustificare pericolose derive sul terreno delle garanzie, quanto ampie e diffuse non è nemmeno in grado di prevederlo chi questa prospettiva auspica.

Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico.[]

Advertisement